“Se dovessero dirmi: ti restano vent’anni da vivere, cosa vuoi fare delle ventiquattro ore di ogni singolo giorno di vita?, risponderei: datemi due ore di vita attiva e ventidue di sogno, a patto di potermene ricordare poiché il sogno esiste soltanto attraverso la memoria che lo accarezza.”
Luis Buñuel è un regista, sceneggiatore e produttore spagnolo naturalizzato messicano. Autore di importanti produzioni, ha segnato la storia del cinema come uno dei principali esponenti del surrealismo cinematografico. Lungo la sua carriera ha esplorato i territori più profondi dell’inconscio tramite un uso innovativo e imprevedibile del mezzo cinematografico, proponendosi di spogliare della loro sacralità il sesso, l’ordine imposto dalla società, la borghesia, la religione, ma anche sogni, paure, visioni e trasgressioni.
Ma facciamo un passo indietro. Chi è Luis Buñuel?
Il cineasta surrealista è nato in una cittadina della Bassa Aragona nel 1900 da una famiglia che godeva di un’agiata condizione economica. Il rigido clima religioso-borghese della provincia e l’osservazione di una società superstiziosa, con evidenti differenze sociali, hanno fortemente contribuito al suo atteggiamento critico e distaccato.
Sin dall’adolescenza ha dimostrato un temperamento irriverente, certamente non placato nel corso degli anni trascorsi presso un collegio di gesuiti, in cui è entrato in contatto con le regole ferree dell’educazione religiosa. Questa esperienza ha radicalizzato il suo carattere anticlericale che si manifesterà chiaramente nelle sue produzioni.
“Io sono profondamente e coscienziosamente ateo […] Non è Dio che mi interessa, ma gli uomini“
Durante gli anni universitari ha conosciuto il celebre artista Salvador Dalí e Federico García Lorca, uno dei più importanti drammaturghi del teatro novecentesco. I due sono diventati per lui fonte di confronto sugli argomenti più vari, tanto che ad oggi si fatica a comprendere chi abbia influenzato chi.
L’incontro con il surrealismo
Il suo primo contatto con il mondo del cinema è avvenuto a Parigi, dove ha scritto per riviste del settore e ha frequentato l’Académie du cinéma. È proprio in questi anni che ha iniziato a frequentare vari circoli parigini, tra cui il gruppo surrealista, la cui frequentazione ha ulteriormente incoraggiato la ribellione verso una società che era per lui claustrofobica e la curiosità verso la dimensione irrazionale. Il movimento, quindi, si proponeva di esplorare il genere umano tramite una libera espressione del pensiero non filtrato dalla ragione.
I film riconosciuti come pienamente surrealisti sono pochi, secondo alcuni solo due: Un chien andalou (1929) e L’âge d’or (1930), dedicati entrambi al tema dell’“amour fou”.
Il primo è il cortometraggio con cui Buñuel ha esordito al cinema e che sarebbe poi diventato il manifesto del movimento surrealista, scritto e prodotto con l’amico Dalí ma accolto non senza critiche. In particolare, il simbolo del movimento è la scena iniziale della pellicola: l’occhio di una donna tagliato da un rasoio, metafora dello squarcio operato dai surrealisti sullo sguardo degli spettatori; un taglio atto a mostrare loro ciò che non hanno mai visto o che, forse, non hanno voluto vedere, anche a costo di generare sofferenza.
Così il regista descrive l’origine della scena non appena descritta:
“Dissi a Dalí che avevo sognato una nuvola lunga e sottile che tagliava la luna e una lama di rasoio che spaccava un occhio. In risposta lui mi raccontò che la notte prima aveva visto in sogno una mano piena di formiche. Aggiunse che avremmo dovuto ricavare un film dai due sogni. La sceneggiatura fu scritta in meno di una settimana secondo una semplicissima regola, ossia non accettare alcuna idea, alcuna immagine in grado di condurre a una spiegazione razionale, psicologica o culturale”
Il risultato è una pellicola di 21 minuti in cui vengono stravolte le regole base di costruzione di una storia, in cui si susseguono scene di cui è difficile rintracciare il nesso logico. Privilegia le libere associazioni tra elementi di mondi apparentemente inconciliabili, causando lo smarrimento dello spettatore.
Dopo una simile produzione era impensabile per Buñuel dirigere film più commerciali, così gira L’âge d’or (1930). Si tratta del suo primo lungometraggio sonoro, anche questo spiccatamente surrealista e sceneggiato con Dalí, finanziato grazie al contributo della famiglia Noailles, ricchi mecenati d’arte. Il film segue la storia di due innamorati che tentano di consumare la loro relazione platonica, ma vengono continuamente bloccati da tabù borghesi, dalla famiglia e da istituzioni religiose e militari. Qui, il carattere antiborghese e anticlericale è ancora più evidente e ciò ha scatenato indignazione, al punto da vietarne la proiezione nelle sale pubbliche fino al 1981.
L’onirismo incontra il realismo
Successivamente è tornato in Spagna, dove ha girato Terra senza pane (1932), documentario in cui denuncia le miserabili condizioni di vita della popolazione dell’Estremadura conosciuta come Las Hurdes. L’approccio alla regia è nettamente diverso, infatti ha apparentemente abbandonato lo stile surrealista in favore di un approccio documentarista, come testimoniamo i volti disperati e deformati dei montanari spagnoli immersi in un paese abbandonato e solitario.
Dopodiché, durante il conflitto mondiale Buñuel si è trasferito negli Stati Uniti e ha preso una pausa dalla macchina da presa. Dopo aver ripreso confidenza con il mezzo con qualche produzione più commerciale, in Messico è tornato alla regia con produzioni ben più impegnate, come Los olvidados (I figli della violenza, 1950), in cui osserva con estrema lucidità la vita dei ragazzi di periferia, catturata in tutta la sua durezza. Qui è tuttavia evidente come non abbia mai realmente abbandonato la spinta surrealista: in questo film, infatti, il realismo si fonde ai sogni e alle allucinazioni dei protagonisti.
Tra il 1952 e il 1960 è tornato a temi più impegnativi con film che gli sono valsi diversi premi. È il caso di Nazarín (1958), una delle sue produzioni più intense centrata interamente sul tema religioso, per cui ha ricevuto il Prix international al Festival di Cannes. Nel 1961 ha ricevuto la Palma d’Oro come Miglior film per Viridiana, film accusato di blasfemia che vede come protagonista una giovane suora che lascia il convento per prendersi cura dello zio malato, ma farà emergere la contraddizione tra la sessualità e la religiosità repressiva.
Infine, la sua carriera è stata coronata da un Premio Oscar per Il fascino discreto della borghesia (1972). Si tratta della trentesima pellicola girata da Buñuel e per molti è il suo film “più tipico”, poiché vi si ritrovano gli elementi che hanno caratterizzato le sue produzioni: la critica dissacrante della borghesia, l’onirismo, il surrealismo.
Conclusione
Luis Buñuel è uno dei registi più particolari della storia del cinema, che non ha certamente avuto paura di sperimentare con un linguaggio trasgressivo e a tratti di difficile comprensione. Nonostante la rigida censura che ha spesso tentato di metterlo a tacere, lungo la sua carriera ha portato avanti una lucida denuncia contro una realtà opprimente, contro una società che esercita soprusi verso le classi più deboli, contro lo stile di vita rigido imposto dalla chiesa cattolica e dalla borghesia. Sebbene abbia vissuto in diversi Paesi, questa dissacrante denuncia trova un’unica ambientazione, la sua Spagna, presente come clima ideologico, eventi storici e ambientazioni. Il Surrealismo, invece, è la sua esperienza artistica più significativa e anche se se ne è apparentemente allontanato, non ne ha mai abbandonato gli ideali perché per Buñuel è “la sola chiave di interpretazione del mondo e l’unica forma adeguata ad esprimerla”.
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