Quella dello scenografo è una figura professionale centrale all’interno di una produzione cinematografica, capace di dover conciliare la propria creatività artistica con le richieste tecniche fatte da sceneggiatori e registi.
Prima di tutto lo scenografo visiona la sceneggiatura così da capire come poter realizzare le scene, soprattutto nel caso di ambienti interni. Decide come disporre gli arredi, i mobili, dunque la location e gli oggetti, si confronta con il direttore artistico o il direttore della fotografia per la disposizione delle luci, in una fase preliminare realizza delle bozze per avere un’idea generale del progetto, poi commissiona la creazione di oggetti ad eventuali ditte con cui collabora e gestisce l’avanzamento dei lavori nel caso in cui si lavora all’interno di un teatro di posa.
Per sua fortuna è appoggiato da assistenti e altre figure professionali che lo supportano: l’arredatore ad esempio si occupa di reperire i mobili, tendaggi e oggetti visibili, mentre l’attrezzista si occupa della manutenzione della location, pulendo, spostando o riordinando oggetti e del rifornimento di oggetti di scena come bevande, sigarette e simili, che all’inizio di ogni take devono essere bevuti o fumati dall’inizio.
Si può immaginare dunque quanto questa figura professionale sia da sempre stata imprescindibile nella lavorazione di un film. Già altrettanto importante nel teatro, non poteva essere da meno nel cinema, dove bisogna creare una tridimensionalità scenica e far sì che lo spettatore creda di trovarsi in quel luogo, o in quell’epoca storica, sebbene non sia oggettivamente possibile. Ad oggi la figura dello scenografo è stata in parte soppiantata dalla CGI per le grandi produzioni, in cui non gode più di quella sua centralità che lo ha caratterizzato in passato. Non bisogna però dimenticare che la credibilità di una location non consiste nel suo essere fantastica o appariscente, ma nella sua essenzialità ed efficacia.
Approfondiamo tale concetto prendendo come esempio due straordinari registi come Federico Fellini e Robert Bresson.
Il Casanova di Federico Fellini
Il primo faceva spesso uso di scenografie vistose realizzate dal premio Oscar Danilo Donati, il quale collaborò con Fellini per moltissimi film come Roma o Il casanova che gli valsero la notorietà a livello internazionale; i suoi lavoro sono un esempio di scenografie vistose, visivamente belle, ben fatte. Lo spettatore non può far a meno di lodarle e di contemplarle. Ricollegandoci a ciò che si è detto prima sull’essenzialità e l’efficacia, alcuni film di Robert Bresson sono un esempio perfetto di questo tipo di scenografia. Ad esempio in Lancillotto e Ginevra, di cui non abbiamo scenografie visibili o lodabili, la costruzione dello spazio è basata sulla frammentazione, sull’idea di luogo e non sul luogo in sé.
Qui vengono utilizzate inquadrature molto strette quando ci si trova in determinati spazi, per non far notare il “trucco”, ovvero che alle spalle non vi è una vera e propria scenografia. Dunque si evitano campi lunghi, totali e simili per far si che lo spettatore crei un suo spazio idealizzato, veicolato dalla voce e dai rumori circostanti.
Con tale esempio dunque si vuole sottolineare quanto non sia necessario spendere molte risorse per realizzare una scenografia se poi non si coglie il nucleo tematico del film.
Per portare avanti questa fantastica professione, per chi è interessato sono presenti molti percorsi formativi accademici e universitari: qualsiasi accademia di belle arti offre la possibilità di studiare interior design o scenografia, una formazione dunque, che non può e non deve esaurirsi sui libri, ma deve proseguire sui set cinematografici o televisivi che siano.
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