Lee Chang-dong è uno dei registi più importanti del cinema contemporaneo, che ha ampiamente contribuito a portare all’attenzione della critica e del pubblico internazionale il cinema sudcoreano. L’arte ha sempre fatto parte della vita di questo artista in varie forme. Da ragazzo desiderava diventare un pittore e solo più tardi ha scoperto la sua passione per la scrittura. La sua carriera artistica è iniziata dal teatro, scrivendo e dirigendo opere. Solo a quarant’anni, sebbene non avesse mai studiato cinematografia, ha scritto la sceneggiatura di due film che sono divenuti molto celebri nella sua patria, To the Starry Island (Park Kwang-su, 1993) e A single Spark (Park Kwang-su, 1995).
Il suo debutto alla regia, invece, avviene nel 1997 con Green Fish, accolto molto bene dalla critica e al quale sono seguite opere che hanno consacrato le sue qualità registiche.
Stile
Lee Chang-dong ha diretto appena sei film in circa venti anni, ma gli sono bastati per essere incluso nel pantheon dei registi più ammirati del cinema internazionale. Quattro delle sue opere sono state presentate al Festival di Venezia e la critica ne ha immediatamente riconosciuto il carattere singolare.
Nella sua filmografia è possibile individuare degli elementi ricorrenti. Tra questi, vi è indubbiamente la struttura dei personaggi: Lee scrive e dirige opere i cui protagonisti vivono delle situazioni psicologicamente complesse e lottano nel percorso di realizzazione personale in contesti socio-economici non particolarmente favorevoli. Lo stesso regista ha spiegato che i suoi protagonisti sono sempre alle prese con una lotta contro cause interne ed esterne (ingiustizia, pregiudizio, violenza), che però non sono destinati a vincere. Il regista infatti è convinto che l’uomo sia costantemente coinvolto in battaglie che non può vincere, come quella contro il destino, il tempo o le costrizioni sociali. I suoi protagonisti, però, continuano a lottare, nonostante appaia molto facile abbandonarsi al senso di impotenza. Di conseguenza, al centro delle sue narrazioni ci sono sempre tragedia, trauma e rabbia. Non a caso, il suo stile cinematografico è stato descritto dal MoMA di New York come “cinema of trauma”. Ospite al Lumière Film Festival nel 2022, ha affermato che il motivo per cui mette in scena personaggi che affrontano situazioni dolorose è da rintracciare nelle sue origini:
“People sometimes ask me why I always tell stories centered on characters who are suffering. Trust me, I am not sadistic. But it takes us back to the notion of family [which is central to all my films]: I grew up in a poor family, and I’m familiar with suffering”.
Un altro elemento che lega le sue produzioni è il suo Paese di origine, la Corea del Sud, setting delle storie che dirige e rappresentato in tutte le sue contraddizioni. La sensibilità a cogliere l’incompatibilità tra il proprio modo d’essere e l’ambiente circostante deriva dall’aver vissuto in prima persona una giovinezza caratterizzata da contraddizioni che ne hanno plasmato la personalità e lo stile artistico. Lee è infatti nato a Daegu, una città conservatrice e politicamente destrorsa, mentre la sua famiglia era di sinistra. Inoltre, proviene da una famiglia appartenente alla classe medio-bassa, mentre il padre proveniva da una famiglia nobile.
Nella maggior parte dei casi, i protagonisti vivono relegati in piccoli comuni al confine della capitale, condizione di isolamento che diventa anche metafora della loro alienazione sociale. I suoi film sono lo specchio quindi della repressione sociale e politica sudcoreano.
Lee Chang-dong fa uso di un’estetica realistica, in cui prevalgono lente panoramiche, piani sequenza e i silenzi. Ciò si unisce ad inquadrature suggestive e di forte impatto visivo ed emotivo, che permettono l’identificazione da parte dello spettatore. Infine, un tratto distintivo delle sue opere è il labile confine tra l’arte cinematografica e letteraria. La critica infatti riconosce al regista un’incredibile capacità evocativa, in cui i dettagli della realtà si elevano a simboli di significati più profondi e suggestivi.
Le caratteristiche descritte sono presenti nelle pellicole presentate qui di seguito.
Oasis (2002)
Oasis è il terzo lungometraggio diretto da Lee Chang-dong. Si tratta di una delle sue pellicole più coraggiose, in cui mette in scena una storia d’amore assolutamente singolare.
Il protagonista è Hong, un ragazzo con una lieve disabilità mentale appena uscito da prigione per omissione di soccorso dopo aver investito un uomo. Tornato a casa, deve ritrovare il suo spazio nella quotidianità dei familiari che nel frattempo avevano riadattato le proprie abitudini abituandosi alla sua assenza. Decide di andare a trovare la famiglia dell’uomo che ha investito per manifestare il suo dispiacere per quanto accaduto e conosce così la figlia, Gong-ju, affetta da una paralisi cerebrale. La ragazza vive da sola in una casa in affitto ed è decisamente trascurata da parte della famiglia. Riempie le sue giornate ascoltando la radio e con l’unica facoltà che la malattia non le ha rubato: la capacità di immaginare. Per esempio, i giochi di luce che si infrangono sull’arazzo in salotto che dipinge un’oasi sono fonte di stimolo intellettivo e sensoriale. Tra i due nasce una storia d’amore che entrambe le famiglie non sono disposte ad accettare. Ciononostante, Hong si mette sulle spalle Han (fisicamente e metaforicamente) e le fa scoprire la bellezza del mondo, anche se non può risparmiarle la sordità di cui la società è capace. I due vivranno dei momenti felici nell’oasi che Hong ha reso finalmente reale, fatta di sentimenti sinceri e spensieratezza.
La pellicola ha avuto un’ottima accoglienza da parte della critica, che ha esaltato soprattutto la sensibilità nel dare voce a coloro che sono incompresi e vivono ai margini della società. I protagonisti sono infatti due disabili, invisibili agli occhi della società, che tentano di dare concretezza a dei sogni semplici e assolutamente legittimi ma purtroppo non per tutti garantiti. Ha incantato alla 59esima edizione del Festival del Cinema di Venezia ed è stato definito dalla critica come il gioiellino nascosto della filmografia del regista. La pellicola ha vinto il Leone d’argento per la miglior regia, il Premio Marcello Mastroianni per la migliore interpretazione femminile a Moon So-ri e il Premio della critica internazionale.
Poetry (2010)
La protagonista è la signora Yang Mi-ja, un’elegante donna di 70 anni sudcoreana che si prende cura del nipote, dato che la madre dopo il divorzio si è trasferita in un’altra città. Come preannuncia il titolo stesso, è appassionata di poesia e decide di iscriversi ad un corso perché desidera fortemente scriverne una. La sua vita viene però stravolta da una scioccante notizia: il nipote si è reso complice di un grave omicidio. Sente di non avere scelta, se non farsi carico di questa difficile situazione e tentare di salvare il futuro del giovane. Di fronte ad una notizia drammatica, la poesia rappresenta per lei l’unico rifugio. Per riuscire a scriverne una, Mi-ja l’insegnante del corso chiede agli allievi di osservare attentamente ciò che li circonda, di sentire con tutti i sensi e mettere per iscritto ciò che provano. Per far sì che anche lo spettatore possa fare tutto ciò, nel film il silenzio prevale sui dialoghi, la natura e i luoghi sono ripresi con un fare quasi documentaristico, così da stimolare un’osservazione che favorisca una fusione con la natura stessa.
Ma la signora Mi-ja riuscirà a trovare l’ispirazione in una società e in un mondo che inizia a percepire come avvelenati da egoismo e valori utilitaristici? In cui i colpevoli cercano la via per uscire da questa complicata situazione senza preoccuparsi del triste destino che è spettato alla ragazzina? È evidente l’irrimediabile contrasto tra la corruzione morale dei genitori dei ragazzi e i solidi valori della protagonista. Mi-ja è una donna combattente e allo stesso tempo consapevole della sua impotenza, ma non è assolutamente disposta ad abbandonare i suoi principi.
Burning (2018)
Burning è la pellicola più recente diretta da Lee Chang-dong. Il film è l’adattamento cinematografico del racconto breve di Haruki Murakami “Barn Burning”. Protagonista è il giovane Jong-su, un aspirante scrittore che rincontra per caso una sua amica d’infanzia, Hae-mi. Lei è una misteriosa ragazza insoddisfatta del suo lavoro e che viaggia non appena possibile. Dopo un viaggio a Nairobi torna con Ben, un nuovo amico ricco ed enigmatico. Il trio tenta di costruire un’amicizia, ma Jong-su si sente estremamente a disagio. Una serie di eventi drammatici si innescheranno quando la ragazza scompare senza lasciare tracce.
In Burning, il regista abbandona la messa in scena di un dramma personale, in favore di un thriller in cui sembra impossibile individuare una via d’uscita. Jong-su e Hae-mi sono accomunati da un senso di insoddisfazione e solitudine che li spinge alla ricerca di un cambiamento, anche se sono perseguitati dai fantasmi del passato. Entrambi sono sopraffatti dall’assenza di certezze sul futuro, dall’assenza di legami affettivi e di punti di riferimento. L’unico che non rientra in questo quadro è Ben, che ha tutto ciò che per loro è desiderabile: conduce una vita agiata, possiede una bella casa e un auto di lusso. Ben e Jong-su sono apparentemente molto lontani, ma sono accomunati dall’attrazione per il fuoco: il primo ha la singolare passione per bruciare serre, il secondo invece lo userà per fare ciò che solo le fiamme possono fare, vale a dire purificare e azzerare per poter ricominciare.
Conclusione
Come descritto precedentemente, nel cinema di Lee Chang-dong i protagonisti sono al centro di situazioni complesse e spesso drammatiche, vivono in una realtà non pronta (o disposta) ad accoglierli. In mezzo a tanto dolore, si rivelano degli strenui combattenti che cercano di riscattarsi da un passato travagliato e se il reinserimento sociale non sarà sempre possibile, tentano comunque di costruirsi un angolo in cui poter sopravvivere. Una piccola oasi in cui poter essere finalmente se stessi.
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