Il 26 ottobre 1890 moriva prematuramente Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Scrittore e giornalista fiorentino, Collodi ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della letteratura per ragazzi con il suo romanzo più celebre, Le avventure di Pinocchio. Pubblicato a puntate sul Giornale per i Bambini dal 1881 al 1882, edito in volume nel 1883 dalla Libreria Editrice Felice Paggi, Pinocchio ha plasmato l’immaginario collettivo ed è annoverato tra i libri più tradotti e venduti della storia della letteratura italiana. Secondo le stime più recenti della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, il romanzo è stato tradotto in oltre 240 lingue del mondo.
Altrettanto numerosi sono gli adattamenti e le riletture di questo classico per l’infanzia: basti pensare che l’ultima trasposizione risale al 2022, quando viene distribuito nelle sale cinematografiche e su Netflix Pinocchio di Guillermo del Toro, film d’animazione in stop-motion vincitore dell’Oscar nella sua categoria, di cui abbiamo già parlato qui su Frames Cinema.
A ben 133 anni dalla scomparsa di Collodi, rievochiamo alcune delle trasposizioni più salienti della storia del cinema e della televisione, ponendo particolare accento sulle produzioni italiane, ma senza disdegnare le più celebri versioni d’oltreoceano.
Pinocchio di Giulio Antamoro (1911): il primo burattino cinematografico
Prodotto dalla fu Cines, Pinocchio è un film muto diretto da Giulio Antamoro che vede l’attore comico Ferdinand Guillaume, detto Polidor, rivestire i panni del celeberrimo burattino. La storia produttiva è oltremodo originale. Al fine di dare nuovo lustro all’opera collodiana, la casa editrice Bemporad e la Cines raggiungono un accordo: la prima realizza un’edizione di lusso delle Avventure, con i disegni a colori di Attilio Mussino; la seconda il primo adattamento cinematografico del libro, che pur ottenendo molte licenze sull’opera – ci ritorneremo tra poco – si ispira direttamente ai disegni di Mussino, specialmente per quanto riguarda l’aspetto e l’abbigliamento di Pinocchio. L’intento è duplice: da un lato si cerca di standardizzare l’immagine del burattino collodiano per renderlo facilmente riconoscibile dal grande pubblico; dall’altro, la scelta di adattare uno dei testi più celebri della letteratura italiana converge con lo scopo di “istruire” gli italiani (esemplificativo, in tal senso, la produzione del film L’Inferno di Bertolini, De Liguoro e Padovan uscito nelle sale nel 1911).
Oltre all’indubbio fascino che il Pinocchio di Antamoro produce nel pubblico di oggi e di allora, molte “licenze poetiche” non possono passare inosservate. Sapevate che il protagonista delle Avventure, dopo essere sfuggito dal Pescecane, arriva sulle sponde dell’America e viene accolto come una divinità dai nativi? E che finisce in prigione dopo una zuffa col Gatto e la Volpe? No? Forse perché questi episodi sono solo due delle “libere interpretazioni” del film di Antamoro. Se a un occhio contemporaneo queste scelte possono sembrare inconcepibili, resta naturalmente il fascino del primato di questo film muto e degli espedienti scenici adottati che, seppur rudimentali, mettono in luce la volontà di tradurre in linguaggio cinematografico le Avventure di Collodi.
Pinocchio Disney (1940) e il Pinocchio perduto
Una delle reinterpretazioni più celebri resta sicuramente quella disneyana: una rilettura che, nonostante si discosti moltissimo dall’originale di Collodi, ha saputo universalizzare il romanzo e i suoi insegnamenti; primo fra tutti, l’obbedienza e la capacità di distinguere il bene dal male, requisiti essenziali per diventare “bambini veri”. Certamente il successo e l’ampia fruizione del classico Disney ha inficiato la conoscenza del romanzo: non ci si stupisce se moltissime persone abbiano come punto di riferimento la struttura narrativa e i personaggi creati dagli Studios della Disney. Fra l’altissima qualità tecnica – strabiliante sia all’epoca che nella nostra contemporaneità – e canzoni rimaste celebri – tra le quali l’iconica When you wish upon a star – è facile perdonare molte scelte discutibili: la più evidente è sicuramente il cambio di nazionalità di Pinocchio, che da romanzo per ragazzi ambientato nella Toscanina Granducale di Collodi diventa un Bildungsroman situato nei pressi di Monaco di Baviera.
Ma se il Pinocchio Disney detiene a tutti gli effetti il primato di primo adattamento animato del romanzo collodiano, non possiamo non citare il primo vero tentativo di tradurre in disegni animati il classico per ragazzi. Per far fronte all’incredibile successo mondiale degli Studios di Walt, il politico Alfredo Rocco ingaggia la CAIR (Cartoni Animati Italiani Roma) per realizzare una fedelissima versione animata del romanzo di Collodi. Gli ingenti problemi finanziari e le difficoltà produttive minano il progetto fin dagli albori, il quale, alla fine, rimane incompiuto; nel frattempo, la Disney acquisisce i diritti del romanzo e inizia a lavorare alla sua versione…
La doppia rinascita del burattino
Tralasciando alcune versioni meno note – come Le avventure di Pinocchio di Giannetto Guardone del 1947) – è negli anni Settanta che il burattino collodiano vive una doppia rinascita. Nel 1971 esce Un burattino di nome Pinocchio, film animato diretto da Giuliano Cenci che ambisce alla massima fedeltà al romanzo. Un anno dopo è la volta della miniserie televisiva Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini. Andata in onda dall’otto aprile al sei maggio 1972 sul Programma Nazionale, l’adattamento di Comencini è forse, insieme alla versione disneyana, la trasposizione di maggior successo del romanzo (specialmente per quanto riguarda il pubblico italiano) che, mediante la suddivisione in puntate, non solo fidelizza il pubblico, ma rievoca anche la storia editoriale dell’opera originale.
Un altro elemento di successo è certamente il coinvolgimento, nei ruoli principali, di alcuni tra i volti più noti della televisione e del cinema italiani: fra questi, Nino Manfredi (Geppetto), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (rispettivamente il Gatto e la Volpe), Gina Lollobrigida (Fata dai Capelli Turchini) e Vittorio De Sica (il Giudice-Scimmione). Questi, insieme ad Andrea Balestri (Pinocchio), sono calati in ambienti estremamente poveri che riflettono l’intento realista delle illustrazioni di Carlo Chiostri del 1901 (i cui disegni compaiono nei titoli di testa di ogni puntata): la marca realista è unita all’alternanza di momenti comici e malinconici, mentre le soluzioni narrative tradiscono in parte il Collodi, rispettando tuttavia il pragmatismo caratterizzante l’intero adattamento.
Anni Duemila: tra grande e piccolo schermo
Dal 2002 al 2009 si registrano una serie di adattamenti fra i più disparati delle Avventure: infatti fingeremo, per un istante, che Pinocchio 3000, film d’animazione del 2004 diretto da Daniel Robichaud, non esista. Sul fronte produttivo italiano, nel 2002 esce nelle sale cinematografiche il Pinocchio di Roberto Benigni. L’attore, che ivi veste anche i panni del burattino collodiano, trae direttamente spunto dai disegni di Enrico Mazzanti per ricreare un’atmosfera fiabesca contestualizzata nella Toscana ottocentesca. Forse l’enorme affezione del pubblico italiano verso la versione comenciniana mina le fondamenta di un progetto che, al tempo, era stato scelto come rappresentante italiano per la corsa ai Premi Oscar.
Nel 2009 è la volta della serie in due puntate Pinocchio, diretta da Alberto Sironi, con il buon Bob Hoskins nei panni di Geppetto e Luciana Littizzetto in quelli del Grillo Parlante. Ciò che ne sortisce è un pastiche di spunti colti un po’ dall’adattamento di Comencini, un po’ dalla versione Disney, un po’ dal romanzo, condito con effetti “molto” speciali e un dubbio doppiaggio dovuto dalla presenza di un cast internazionale. Tuttavia, il “piccolissimo” merito di questo adattamento è di riportare Pinocchio dal grande al piccolo schermo, sottolineando con vigore l’estrema fertilità della storia del burattino collodiano in un pubblico rinnovato, rispetto a quello del 1972.
Anni recenti: Pinocchio vola agli Academy Awards
Dal 2012 al 2022, l’incremento degli adattamenti delle Avventure si fa più consistente che mai. Nel 2012 è la volta della versione animata di Enzo D’Alò – con i disegni originali di Lorenzo Mattotti e colonna sonora di Lucio Dalla – presentata nel corso del Festival di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Una versione che, seppur non particolarmente memorabile, ha il vantaggio di “svecchiare” il burattino dai suoi cent’anni e adattarlo a una fruizione da parte di adulti e piccini.
Nel 2019, Pinocchio continua a parlare italiano, ma questa volta in un film in live action. Stiamo parlando della versione di Matteo Garrone, nella quale Roberto Benigni veste i panni non più del burattino, bensì di Geppetto, in quello che risulta essere sì un fedele adattamento al romanzo originale, ma anche un’acuta reinterpretazione dello stesso come moderno racconto di formazione.
Nel 2022, infine, Pinocchio torna sul grande schermo in due versioni: la prima – già ampiamente analizzata nel nostro articolo – si configura come l’ennesima operazione, da parte di Disney, di riadattare i suoi classici per la nuova sensibilità del pubblico. Radicalmente opposta, invece, è la posizione assunta da Guillermo Del Toro, che con il suo Pinocchio dimostra come sia possibile rivisitare un grande classico della letteratura per ragazzi in modo da farne scaturire riflessioni e interpretazioni ulteriori: una decisione – giustamente, aggiungiamo! – premiata con l’Oscar nella categoria Miglior Film d’Animazione.
Un classico intramontabile
La Storia di un Burattino usciva per la prima volta 142 anni fa, e da allora non ha smesso di affascinare, ispirare e coinvolgere lettori grandi e piccoli. E la sua fertilità nella Settima Arte, evidenzia tutta la sua forza che pare non sentire il peso dei suoi cent’anni.
Scrivi un commento