Il Natale è finalmente arrivato e con lui il momento di avvolgersi nel plaid e gustare i soliti film a tema che la televisione o le piattaforme streaming ci propinano. Ogni anno è la stessa storia e noi, puntualmente, finiamo per rivederli: senza di essi, ormai, il periodo natalizio non sarebbe percepito come tale. Sembra quasi che siano i film a definire il Natale, non viceversa. Tra i tanti titoli spicca sicuramente La Vita è Meravigliosa, il classico intramontabile che porta la firma di uno dei registi più geniali e amati del cinema americano: Frank Capra.
«Sono Frank Capra, vengo da Hollywood”. […] La prima volta che ho messo l’occhio sul mirino di una cinepresa, ho avuto come un’illuminazione. Il mondo intero si è all’improvviso inscritto nel rettangolo dello schermo. Ancora oggi provo lo stesso senso di meraviglia. »
[ “Il nome sopra il titolo, Frank Capra.]
IL CINEMA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE: REGISTI IN PRIMA LINEA
It’s a Wonderful life (La vita è meravigliosa) è una pellicola del 1946 che ha segnato una svolta non indifferente nella carriera di Frank Capra. Si tratta, infatti, del primo film realizzato dal regista dopo l’esperienza drammatica della seconda guerra mondiale. Durante il conflitto Capra ha prestato servizio nell’esercito degli Stati Uniti D’America all’interno della sezione “Orientamento Cinema” dedicata alla propaganda. Gli fu affidato il compito di documentare il conflitto bellico attraverso docu-film finalizzati a spronare i soldati e i civili americani in quegli anni difficili. Da questo presupposto tra il 1942 e il 1945 nacque “Why We Fight!” (perché combattiamo?), una serie di documentari divulgativi realizzati con la specifica intenzione di spiegare agli americani le ragioni e i principi per cui l’America avesse scelto di combattere e di entrare in guerra. Furono un successo e una straordinaria operazione di propaganda. Accanto a Capra vi furono anche altri grandi registi che imbracciarono la macchina da presa e scesero sul campo di battaglia per documentare in prima linea la drammaticità del conflitto: William Wyler, John Ford, George Stevens e John Huston. Tutti loro, ritornati dalla guerra, dovettero confrontarsi con numerose difficoltà, prima tra tutte il ritorno ad una normalità che oramai più non gli apparteneva. L’esperienza sul campo li aveva cambiati nel profondo dando loro modo di scoprirsi in quanto uomini, esseri fragili pieni di zone d’ombra. Spinti dal desiderio di raccontare ciò che avevano visto e affrontato e di esorcizzare il terrore del conflitto e della morte, i Cinque fecero ritorno ad Hollywood ritrovandosi davanti un panorama cinematografico profondamente mutato e non più disposto ad includerli né a valorizzarli.
«Per un regista non è possibile ritornare nella stessa Hollywood per due volte. Dopo un’assenza di quattro anni i cambiamenti si rivelavano sconvolgenti. La cosa più sconcertante era del resto essere presentato ad attrici e registi dell’ultima ora e sentirsi chiedere: “Frank chi?”. Negli anni della guerra la produzione di film al risparmio aveva conquistato tutto il mercato […] mi preparavo a rientrare in una Hollywood dove il sistema collettivo era tornato in auge. Decisi che era tempo che il nome del regista riacquistasse il posto che gli apparteneva. […] l’idea della Liberty Films era nata sotto le armi: mettere insieme dei registi- produttori ancora in servizio in una associazione indipendente di realizzatori cinematografici indipendenti che avrebbe cominciato ad essere attiva nel dopo guerra. I primi candidati furono W. Wyler, J. Ford, G. Stevens, J. Huston, G. Kanin e F. Capra.»
[“Il nome sopra il titolo, Frank Capra.]
LA LIBERTY FILMS: ROMPERE LA CATENA HOLLYWOODIANA DELL’IDENTICO
Uomo testardo, tenace e ambizioso, Capra è stato il primo regista hollywodiano a ribellarsi al sistema dello studio system. Egli fece propria l’espressione “un uomo, un film”, espressione che, successivamente, sarà alla base della politica degli autori dei Cahiers du Cinéma. Tornato dal servizio militare, Capra portò avanti una battaglia personale per emancipare la figura del regista da quella del produttore e fu anche il primo ad inserire il proprio nome sulle locandine del film, accanto a quello degli attori. A questo punto, il regista non fu più un semplice operaio sotto contratto e alla mercé del produttore, ma divenne responsabile dei propri film.
La drammatica esperienza bellica fu linfa vitale per Capra, il quale nell’Aprile del ’45, insieme a Samuel Briskin, maturò l’idea di fondare una casa di produzione indipendente, la Liberty Films. Alla base della fondazione di questa nuova casa di produzione vi fu l’idea di Capra secondo cui il regista dovesse avere completa libertà artistica durante il processo creativo. Per troppi anni il regista era stato al gioco del produttore. Molti altri registi seguirono l’esempio della Liberty Films poiché stanchi di vedere schiacciate le loro idee originali. Da lì a poco anche William Wyler e George Stevens si unirono alla casa di produzione di Capra.
In questo contesto si colloca “It’s a Wonderful Life” (La vita è meravigliosa), il primo film ad essere prodotto dalla Liberty Films, una pellicola nata dalle ceneri della drammatica esperienza bellica.
«Era il film per la mia gente, il film che avevo voluto fare da quando avevo posato per la prima volta l’occhio contro il mirino della macchina da presa»
[“Il nome sopra il titolo, Frank Capra.]
La pellicola è tratta dal racconto “The Greatest Gift”, scritto nel 1939 da Philip Van Doren Stern. Nel 1945 il soggetto capitò tra le mani di un entusiasta Cary Grant che propose alla RKO Pictures, cui era associato in quanto attore, di comprarne i diritti per realizzare un adattamento cinematografico con lui come protagonista. La RKO accettò la richiesta di Grant ma, successivamente, li rivendette a Capra per 10.000 dollari mettendo a disposizione del regista persino le sceneggiature già stese da Marc Connelly, Dalton Trumbo e Clifford Odets. Frank Capra si mise subito all’opera e riuscì a completare la versione finale della sceneggiatura nel 1946 grazie all’aiuto di Jo Swerling. Malgrado tutti gli sforzi e la sua dedizione, “I’ts a Wonderful Life” fu un insuccesso clamoroso al botteghino, nonché uno dei motivi per il quale la Liberty Films chiuse i battenti nel 1951 con appena due film prodotti. Il flop della pellicola sconfortò incredibilmente Capra, Il quale, però, non mise mai in dubbio la validità del film, dimostrando sempre di avere nei suoi confronti un amore smisurato al punto da definirlo il migliore che avesse mai realizzato e, addirittura, la storia più bella che sia mai stata portata sullo schermo. Attraverso “Its a Wonderful Life” Capra ha potuto approfondire le tematiche che lo affascinavano del cinema e degli esseri umani, creature fragili ma tenaci in grado di rialzarsi dinanzi alle cadute e alle difficoltà della vita. Ha inserito dentro la storia tutto ciò che era, tutto ciò che sapeva, tutto se stesso. E’ stata una pellicola che gli ha permesso di esplorare il cuore degli uomini non con la forza della logica ma con quella della pietà. Per questo motivo spesso Frank Capra è stato accusato di eccessivo buonismo e sentimentalismo.
SAREBBE STATO MEGLIO NON ESSERE MAI NATO?
Per poter comprendere la pellicola al meglio è necessario partire dal titolo che è espressione delle idee ma anche delle finalità cinematografiche di Capra. Egli ribadirà più volte che “It’s a Wonderful Life dice allo spettatore qualcosa su cui si presuppone nessuno possa eccepire”. Il titolo è il pilastro cui si regge il film e riassume l’insegnamento che vuole trasmettere: la vita è meravigliosa, unica, inestimabile ma è anche fatta di alti e bassi. In ciò sta la sua la bellezza che può essere compresa solo da chi è disposto ad accettare questa altalenante condizione. George Bayley (Jimmy Stewart) imparerà questo insegnamento sulla sua pelle e scoprirà che la vita umana è preziosa ma non per questo meno difficile. George è un uomo ambizioso, onesto e generoso che ha investito tempo e denaro per salvare la propria cittadina e difenderla dalle smanie dell’avido Potter, volto del capitalismo sfrenato di una società che venera il dio Denaro e dove contano più i beni materiali piuttosto che i valori e le accortezze verso gli altri. Prima di ogni altra cosa George è un grande sognatore che sarebbe disposto a fare di tutto per le persone che ama, persino a prendere la luna al lazo se glielo chiedessero. Tuttavia, quando tutto sembra andare per il meglio, un fulmine colpisce la serena vita del protagonista: arriva il 1929 e con esso la crisi economica che sconvolge Wall Street portandola al collasso. George perde il lavoro e nulla può più contro Potter. Improvvisamente, il protagonista si vede crollare addosso quel piccolo mondo che aveva costruito con tanta cura, dedizione e altruismo. George decide di togliersi la vita credendo di non poter fare più nulla per riparare la situazione e, soprattutto, di aver deluso i propri amici e l’amata moglie Mary (Donna Reed). In questo momento di estrema difficoltà entra in gioco Clarence (Henry Travers), il suo angelo custode, che gli farà dono di un’opportunità unica salvandolo da quel ponte da cui, disperatamente, stava pensando di buttarsi. George vedrà con i propri occhi come sarebbe stata la vita della sua cittadina e delle persone che ama senza di lui. Si accorgerà del vuoto che lascerebbe nei loro cuori e nelle loro esistenze. Si renderà conto che la vita di ogni uomo è scandita da ostacoli, i quali molto spesso si fanno via via più ardui ma non per questo insormontabili. Imparerà che “nessun uomo è un fallito se ha degli amici”. E riuscirà ad affrontare e superare gli ostacoli sulla sua strada con maggiore fiducia e ottimismo.
Frank Capra parla così del suo capolavoro, “It’s a Wonderful Life” (La vita è meravigliosa):
«Lessi l’idea originale: cinque pagine dattiloscritte con una rilegatura natalizia. Era la storia che avevo cercato per tutta la vita! Piccola città. Un uomo. Un uomo bravo e ambizioso, ma così preso ad aiutare gli altri che la vita pare dimenticarlo. Si deprime, e desidera di non essere mai nato. Desiderio esaudito. Attraverso gli occhi del suo angelo custode vede il mondo come sarebbe stato se lui non fosse mai nato. Che idea eccezionale! Il genere di idea per la quale quando sarei stato vecchio e malato, prossimo a morire, si sarebbe detto: Ha fatto It’s a Wonderful Life.»
Il film si chiude nel calore familiare con un George entusiasta, pieno di vita e solidale, circondato dai suoi cari e da un albero di natale adornato da luci e addobbi splendidi come a sancire la gioia che è tornata nel suo cuore spezzato.
LA VITA È MERAVIGLIOSA: UNO DEI GRANDI CLASSICI DI NATALE
La vicenda che lega ”It’s a Wonderful life” al periodo natalizio risale al 1974, anno in cui il copyright del film non fu rinnovato e decadde divenendo di pubblico dominio. Questo spinse numerose emittenti televisive ad approfittarne e a trasmettere il film ripetutamente durante il periodo natalizio. Nonostante questa anarchica situazione, le emittenti dovettero comunque versare una somma di denaro all’autore del racconto Philip Van Doren Stern, il quale nel frattempo era riuscito a riottenere i diritti.
Per tale ragione, la popolarità di “It’s a Wonderful Life” (la vita è meravigliosa) è cresciuta nel tempo al punto da guadagnarsi un posto di diritto tra i film più belli della storia del cinema… e non solo.
È diventato, infatti, uno dei grandi classici natalizi di cui non si può più fare a meno: un film pieno di speranza e di gioia di vivere, un film da condividere con i propri cari, una pellicola molto amara che ci fa dono di un grande insegnamento: “la vita di ogni uomo confina con la vita di molti altri”.
Per raggiungere questa serena consapevolezza, George si è messo in discussione ma, alla fine, ha compreso che la sua esistenza non è preziosa solamente per se stesso, in quanto individuo, ma anche per le persone che lo circondano e che sono influenzate dalla sua presenza, dalle sue azioni. Perciò, nessun essere umano può considerarsi un fallimento. In mezzo alla tempesta della vita, è necessario imparare a destreggiarsi e a trovare il giusto ritmo tra le onde così da poter assaporare la vita in ogni suo piccolo aspetto nonostante le cadute, spesso rovinose. C’è sempre tempo per una seconda possibilità, per rialzarsi.
«Sii come il promontorio contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile e intorno ad esso si placa il ribollire delle acque.
«Me sventurato, mi è capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna?»
[Marco Aurelio, “Colloqui con se stesso”.]
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