Quanto ci piacciono i cattivi. Da quando nel 1999 la serie televisiva I Soprano ha completamente ribaltato quelle che fino ad allora erano state le caratteristiche tipiche del protagonista del racconto seriale televisivo, mostrandoci un antieroe dalla moralità spudoratamente corrotta, noi spettatori ci siamo immersi sempre più anima e corpo in quelle che lo studioso americano Jason Mittell ha definito “lunghe interazioni con uomini schifosi”. Infatti a differenza dei personaggi cinematografici, quelli televisivi occupano la vita degli spettatori per settimane, mesi, e, nei casi più fortunati, addirittura anni, e verrebbe da chiedersi perché mai dovremmo decidere di passare il nostro tempo con uomini così spudoratamente negativi. Eppure la formula ha avuto grandissimo successo e da allora il piccolo schermo si è popolato di una marea di questi “uomini schifosi”: da Dexter Morgan (Dexter) a Walter White (Breaking Bad), passando per Don Draper (Mad Man)  e tanti altri che hanno inciso in maniera più o meno profonda nella cultura popolare e nell’immaginario collettivo. Una delle caratteristiche comuni che salta più agli occhi è però che, almeno fino a poco tempo fa, sono sempre stati tutti maschi. A causa di norme culturali dei generi televisivi ma anche sociali più ampie, i personaggi femminili sono ancora associati a ruoli passivi, altruisti e materni, e quando deviano da alcune di queste caratteristiche vengono categorizzate attraverso le etichette, altrettanto restrittive, di “donna ribelle” o “donna forte”. 

Negli ultimi anni tuttavia qualcosa sta cambiando, e alcune antieroine femminili che sovvertono gli stereotipi tradizionali hanno cominciato a comparire nelle serie televisive, sfidando la convenzione che le donne debbano essere necessariamente carine e gentili,  e dandoci la possibilità di vedere personaggi femminili complessi e pieni di contrasti, al pari dei loro corrispettivi maschili. 

Diverse sono le ragioni per cui finalmente ciò sta avvenendo. Innanzitutto l’espansione del mercato televisivo e il conseguente cambiamento del suo sistema industriale, soprattutto negli Stati Uniti. Gli ultimi decenni hanno visto una diminuzione del potere delle reti televisive tradizionali basate sul sistema del broadcasting; esse sono state affiancate da nuove reti via cavo e dalle piattaforme in streaming, con un pubblico sempre meno generalista e sempre più frammentato, ognuno con i suoi gusti e le sue sensibilità. Negli ultimi anni sono stati prodotti centinaia di nuove serie televisive: viene da sé che all’interno di un mercato sempre più ampio e variegato riescano a trovare spazio anche proposte più radicali e innovative, che non devono puntare a raggruppare un pubblico particolarmente vasto ma piuttosto a essere apprezzate da quel segmento specifico verso il quale sono indirizzate.

I nuovi spazi che si vengono a creare hanno quindi cominciato ad essere riempiti grazie al lavoro di una schiera di produttrici e sceneggiatrici donne che hanno cominciato a raccontare storie e personaggi femminili in maniera diversa rispetto al passato. Dalla casa di produzione di Shonda Rhimes sono arrivati due personaggi come Olivia Pope, protagonista di Scandal, e Annalise Keating de Le regole del delitto perfetto, due donne nere che occupano posizioni di potere e disposte a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi, ostacolate da un mondo e una società che le vorrebbe buone e al loro posto. Phoebe Waller-Bridge, attrice, produttrice e sceneggiatrice inglese, ha invece ricevuto il plauso della critica per le sue serie Fleabag, che ci fornisce il ritratto di una donna disfunzionale, dissacrante e crudelmente reale (qui trovate la nostra recensione), e Killing Eve, in cui una delle due protagoniste – Villanelle – è una spietata serial killer che ha spinto la corruzione etica e morale di un’antieroina femminile davvero al pari dei suoi corrispettivi maschili. Jenna Bans invece è la creatrice di Good Girls, che racconta la storia di tre donne e madri che si danno al crimine per sopperire alle loro difficoltà economiche, e che per questo motivo è stata comparata da alcuni a Breaking Bad.

Se nel caso degli antieroi maschili l’allineamento dello spettatore con un protagonista moralmente corrotto è spesso facilitato dall’accostamento di quest’ultimo con altri personaggi ancora più negativi, nel caso di queste prime antieroine femminili il personaggio è parzialmente riscattato dall’accostamento ad un mondo di personaggi maschili inadeguati, mediocri, inetti e grotteschi, che in mancanza di nuovi modelli di mascolinità si rifanno ad altri ormai vecchi e datati per riaffermare il loro potere. Secondo la studiosa Amanda Lotz questo elemento della mascolinità in crisi è centrale nei discorsi sui ruoli di genere e sulla loro rappresentazione televisiva, e per questo fa notare la mancanza di proposte innovative su nuovi modelli di mascolinità in televisione poiché, essendo gli uomini stati protagonisti di ogni aspetto della storia del medium per sessant’anni, non è stato portato avanti nessun discorso specifico sul loro nuovo ruolo all’interno di un panorama che cambia velocemente. 

Questi sono solo pochi esempi e spunti di un panorama vario ed in espansione che spinge verso la creazione di protagoniste femminili finalmente sfaccettate che rispecchiano la complessità del mondo reale. Perché la parità di genere passa anche dal diritto a non essere delle “brave ragazze”. 

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Giovanni Atzeni, Redattore