Il film del 2013 di Giuseppe Tornatore racconta la storia di Virgil Oldman, un raffinatissimo battitore d’aste stimato da tutti i suoi conoscenti e colleghi, ma inesorabilmente e intimamente solo. Senza una famiglia, Virgil si apre quanto necessario soltanto con pochi ma fondamentali personaggi, come l’amico Billy Whistler (interpretato da Donald Sutherland), il restauratore Robert (di cui veste i panni Jim Sturgess) e Claire Ibbetson, una figura fondamentale che cambierà la sua vita.
Il giorno del suo compleanno Virgil riceve una strana telefonata da una ragazza, la quale lo prega di valutare i beni della casa dei suoi genitori ormai defunti. La richiesta avviene in un modo e in un contesto che non rispecchiano lo stile del battitore, che ne resta però segretamente affascinato, e decide di procedere. Scoprirà poi che sarà necessario concludere l’affare in maniera stravagante, perché Claire, la ragazza della telefonata, è affetta da agorafobia nella forma più estrema, e non è in grado di uscire di casa e di vedere altre persone.
L’idea di una crescita personale e del superamento dei propri limiti è centrale nel film, sottesa all’intera vicenda, e avviene nel confronto con le diverse ossessioni di Virgil e Claire. La prima, la più evidente ma allo stesso tempo la più nascosta e profonda, è quella di Virgil per le donne, con cui l’uomo ha un rapporto particolare, di ammirazione e timore. Se prova sentimenti positivi per loro ciò può avvenire soltanto da lontano. Sembrerebbe allora che il tipo di legame instaurato da Claire (a distanza, una comunicazione attraverso un muro) sia perfetto per lui.
Eppure proprio questo lo spingerà a superare i suoi limiti. Questo amore che necessita lontananza si manifesta nella collezione privata del battitore d’aste. In una stanza segreta della sua casa egli conserva il suo più grande tesoro, un’ampia raccolta di ritratti di donne nel corso della storia. La sua relazione quasi amorosa con i dipinti verrà resa evidente dalla frase che Claire dirà quando si lascerà convincere ad esplorare questo nuovo ambiente:
“Allora non sono la prima… hai avuto altre donne”
E la risposta di Virgil dichiara la fiducia e la forza che egli sente nel nuovo rapporto che sta costruendo.
“Sì, le ho amate tutte e loro hanno amato me. Mi hanno insegnato ad attenderti.”
Per quanto a un primo contatto con Claire Virgil sia rimasto stupefatto dalla sua schiettezza e (a sua detta) maleducazione, si renderà poi conto di essere simile a lei. La ragazza è terrorizzata da ogni essere umano e non riesce a uscire dalla sua stanza se c’è qualcuno in casa, mentre Virgil, pur senza arrivare ad una condizione così estrema, porta sempre con sé un paio di guanti per evitare di entrare in contatto con qualsiasi cosa venga da fuori, finanche le posate di un ristorante. I suoi ponti col mondo esterno sono tagliati in un modo invisibile ma possente, in primis col rifiuto di possedere un cellulare. E gli indizi di un cambiamento interiore si manifesteranno quando accetterà di averne uno, proprio per comunicare più velocemente con la giovane agorafobica.
L’emblema metaforico di come Virgil verrà cambiato dalla strana situazione è rappresentato dal tentativo portato avanti con Robert di ricostruire un automa antichissimo con dei pezzi trovati nella villa di Claire. Il battitore si rende conto di aver a che fare con un reperto di Jacques de Vaucanson, celebre inventore e artista francese del ‘700. Ammirando il prodigio, nel corso del suo restauro Robert farà un meraviglioso parallelismo, atto a rispecchiare l’interazione tra Claire e Virgil: i diversi pezzi di un congegno col tempo finiscono per richiamarsi a vicenda. Una volta entrati in rapporto l’uno con l’altro, e attivati per far funzionare il più grande meccanismo di cui sono parte, porteranno sempre con sé i segni l’uno dell’altro. Parole che colpiranno molto il battitore, che si sentirà protagonista di una situazione simile nel suo processo di evoluzione personale e di guarigione della ragazza.
L’essenza del film è racchiusa in una frase pronunciata dallo stesso Virgil Oldman, ripresa da una sua vecchia intervista.
“In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”
Un colpo di scena estremo alla fine del racconto metterà in crisi ogni certezza guadagnata dal protagonista, ma accostare arte e vita nell’esaltazione di questa massima sarà ciò che riuscirà a salvarlo. Nell’ultima scena (facilmente accostabile alla sequenza iniziale del ristorante) abbiamo la prova che la vicenda avvenuta, seppur drammatica, non ha lasciato indifferente colui che l’ha vissuta: può aver perso un’importante parte della sua vita, ma con essa sono spariti anche i limiti e gli ostacoli che ne erano comportati. La controprova di ciò sono i guanti ormai spariti dalle sue mani. Virgil non teme più di confrontarsi con l’esterno, la paura del contatto è svanita; e inoltre, come lui stesso dirà, stavolta attende qualcuno.
Come lo stesso Tornatore ha dichiarato in diverse interviste, non è un caso che la storia sia narrata dal punto di vista del solo protagonista. La volontà è quella di sottolineare la sua prospettiva di visione del mondo e la sua sensibilità, a cui partecipa un’attenta orchestrazione di ogni scena: il film non è un giallo, ma una storia d’amore. L’innamoramento del protagonista è però trattato come un giallo, un’esperienza avvolta nel mistero, adeguata ad un uomo ormai anziano che conserva la timidezza e la paura di un ragazzino.
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