Kurosawa: tra difficoltà produttive e l’eredità del suo cinema

Akira Kurosawa è una figura di assoluto rilievo nella storia del cinema mondiale, la cui eredità può essere considerata pari a quella dei più grandi maestri di numerose cinematografie nazionali, dal nostro Federico Fellini allo svedese Ingmar Bergman. Tuttavia, nonostante abbia realizzato infiniti capolavori, la sua filmografia è caratterizzata da un andamento altalenante, a causa di diversi fattori. Tra questi emergono le difficoltà produttive: sono note, infatti, le lotte di Kurosawa con i produttori, che spesso hanno tentato di limitare la visione creativa del regista per contenere il budget. Inoltre, il gradimento nei confronti delle sue opere è stato caratterizzato da una certa discontinuità nel corso del tempo, influenzato in parte, ma non solo, dalle vicissitudini produttive precedentemente menzionate.

Il caso di Rashomon è emblematico: quando uscì nelle sale giapponesi nel 1950 riscosse poco successo; tuttavia, a insaputa del regista stesso, il film venne presentato in concorso l’anno successivo alla Mostra del Cinema di Venezia vincendo il Leone d’Oro e successivamente l’Oscar per il Miglior film straniero.

Un altro esempio è il film più celebre di Kurosawa, I sette samurai, presentato alla 15ª edizione della mostra veneziana, che vinse il Leone d’Argento, nonostante quella proiettata fosse una versione che aveva subito pesanti tagli. Sono dovuti passare oltre 30 anni affinché venisse distribuita la versione integrale di 207 minuti, voluta dal regista stesso, l’unica versione che rende giustizia a questa monumentale opera.

È ben noto, inoltre, che i film di Kurosawa abbiano ispirato una vasta gamma di omaggi e remake, alcuni dei quali meno leciti di altri, come nel caso di Per un pugno di dollari, che si rivelò essere un vero e proprio plagio del film del 1961 La sfida del samurai.

Il punto in questione riguarda la continua sfida affrontata da questo cineasta nella realizzazione di ogni film, e la possibilità di garantire al pubblico l’autentica visione dell’autore. Una lotta che ha avuto sia esiti positivi che negativi. Ricordiamo l’adattamento de L’idiota di Dostoevskij, che originariamente durava 4 ore e 30 minuti, ma venne rimontato in una versione di sole 2 ore e 45 minuti, l’unica esistente.

Più di un’ispirazione: uno spettacolo umanista e stratificato

Con La fortezza nascosta, invece, ci troviamo di fronte a un caso ancora diverso. Il film ha il merito di aver ispirato la realizzazione del primo capitolo della saga di Star Wars, influenza che il regista George Lucas stesso ha dichiarato. Anche se è innegabile che La fortezza nascosta non possa competere in termini di notorietà con il cult del 1977, sarebbe ingiusto ridurlo semplicemente a una fonte di ispirazione. In realtà, esso rappresenta un ulteriore esempio del genio cinematografico di Akira Kurosawa.

Ambientato nel Giappone feudale, il film racconta la storia di due contadini (Minoru Chiaki e Kamatari Fujiwara) che, mossi dall’avidità, entrano in una brutale guerra civile per cercare di arricchirsi con le armi. Successivamente, vengono assoldati da Rokurota Makabe (Toshiro Mifune), generale del feudo di Akizuki, per riportare la principessa Yuki (Misa Uehara) e l’oro che le appartiene nella sua regione, cercando di sfuggire al crudele clan Yamana.

La peculiarità principale del film risiede in una sorta di doppia linea narrativa che Kurosawa adotta. Lo spettatore si trova quindi ad assistere alla vicenda dal punto di vista dei contadini, i quali, pur accettando di aiutare Makabe nell’impresa, vengono spesso tentati dall’opportunità di entrare in possesso della ricchezza che trasportano, talvolta allontanandosi dal convoglio. Questa scelta permette a Kurosawa di approfondire ulteriormente la vicenda, mostrando il contesto della guerra non solo attraverso le sue implicazioni sulla vicenda principale, ma anche attraverso gli effetti che ha sui personaggi estranei.

Questa struttura narrativa è uno degli elementi che Lucas ha deciso di riprendere nel suo film. Infatti, proprio come in Star Wars, anche qui la storia si apre con i due contadini – destinati a diventare C-3PO e R2-D2 – che, dopo essersi salvati dalla battaglia, si separano affamati in una zona desertica, per ritrovarsi poco dopo in un campo di prigionia. Le pellicole condividono anche l’ambientazione bellica, in cui  una fazione sanguinaria sembra prevalere sull’altra, mentre la principessa svolge un ruolo cruciale per la risoluzione del conflitto.

Il film presenta quindi quattro protagonisti distinti: i due contadini, il generale Makabe e la principessa Yuki, ognuno con la propria caratterizzazione e significato simbolico all’interno dello scenario bellico.

I contadini Tahei e Matakashi, costituiscono il vero elemento di novità nella filmografia di Kurosawa. Subdoli e truffaldini, hanno dei tratti comici che alleggeriscono e arricchiscono il film senza mai risultare inappropriati. Il loro percorso non è mai sminuito dal regista, che li rende ridicoli nel carattere ma non nella loro condizione, la quale viene anzi accentuata dalla guerra in cui si ritrovano, costretti per un periodo a lavorare come schiavi. Tuttavia, l’occhio umanista di Kurosawa si posa anche su tutte le vittime della guerra, compreso chi sembra ricoprire ruoli di potere.

La principessa Yuki, invece, si ritrova a dover gestire una grande responsabilità a soli sedici anni, ancor prima di aver potuto conoscere il mondo. Proprio per questo il suo temperamento testardo sembra poter rappresentare un problema per la missione, ma dimostra una straordinaria capacità di adattamento e una curiosità che la porta a confrontarsi direttamente con gli orrori della guerra, sviluppando così una profonda sensibilità verso la popolazione che un giorno dovrà governare.

La maturità della ragazza è evidente sin dall’inizio, quando rimprovera duramente Makabe per la sua mancanza di compassione nei confronti della sorella, la quale si è sacrificata fingendosi la principessa Yuki, consentendo ai protagonisti di organizzare la loro fuga. La quantità di personaggi così ben caratterizzati, a cui si aggiungono le vicende che coinvolgono personaggi secondari, permette a Kurosawa di restituire allo spettatore un affresco umano ricco e complesso. L’interesse per l’uomo non è certo una novità per chi conosce il regista, ma è un tema che qui trova una declinazione più ampia.

D’altra parte, Kurosawa è riconosciuto e apprezzato anche per lo spettacolo offerto dalle sue opere, e La fortezza nascosta mantiene le aspettative. L’atmosfera epica evocata da alcune sequenze ribadisce il talento e la maestria del regista nell’utilizzo delle tecniche cinematografiche, spesso combinate con elementi narrativi per garantire un coinvolgimento massimo dello spettatore. Nella prima parte del film, assistiamo alla rivolta dei prigionieri, i quali, attaccando di notte, mettono a ferro e fuoco il forte dove sono rinchiusi, in una complicatissima sequenza che coinvolge centinaia di comparse perfettamente orchestrate che seminano il caos. Altrettanto complesso, ma in modo del tutto diverso, è il duello con le lance tra Makabe e il generale Tadokoro. Una sequenza di circa 8 minuti, intensa e meticolosamente diretta, che conferma Kurosawa come pioniere del cinema d’azione.

Il film si rivela così una vigorosa opera di avventura, che offre una riflessione umanista estremamente raffinata. Kurosawa bilancia abilmente la comicità grottesca dei contadini con inquadrature evocative che sottolineano la drammaticità del racconto, in un film che trionfa sia nelle sue ambizioni epiche che comiche e picaresche.

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Riccardo Fincato,
Redattore.