L’armata Brancaleone è una commedia all’italiana del 1966, diretta da Mario Monicelli e sceneggiata dallo stesso regista e dal duo Age & Scarpelli. E’ il primo di due capitoli dedicati alla figura strampalata del cavaliere Brancaleone da Norcia. L’unicità di questo film si riscontra nella scelta dell’ambientazione medievale in chiave parodica, ma anche dalla caratterizzazione dei personaggi, interpretati da alcuni tra i più grandi attori italiani, come Vittorio Gassman nel ruolo di Brancaleone da Norcia e Gian Maria Volonté in quello del suo avversario, e poi compagno, Teofilatto dei Leonzi. Celebri sono i titoli di testa e di coda, illustrati dall’artista Emanuele Luzzati e accompagnati dalle musiche iconiche di Carlo Rustichelli. I titoli di testa sembrano preannunciare l’aspetto satirico della storia poiché le figure di Luzzati combattono, si percuotono con bastoni, si rincorrono, marciano in modo scomposto allo stesso modo dei personaggi del film.
Come si evince dal titolo, il film segue le gesta del poco rinomato Brancaleone da Norcia, un cavaliere sfortunato e maldestro, e della sua cenciosa “armata”, composta da un barbaro, un imbroglione, un vecchio notaio ebreo di nome Abacuc e un po’ rincitrullito, un bambino mingherlino con una ridicola armatura raffazzonata e, infine, Teofilatto dei Leonzi, un borioso principe bizantino, che è stato diseredato dalla propria famiglia e alla quale cerca di estorcere del denaro, fingendosi un ostaggio della compagnia. Inizia così la grande avventura di Brancaleone da Norcia e della sua schiera di valorosi… più o meno.

Lo verbo medievale: tra sperimentalismo linguistico e comicità

Glorioso cavaliere, sanza lo tuo valore or non sarebbe quivi a ringraziarti et salutarti con tutte le sue genti Brancaleone da Norcia, patrone e signore di Aurocastro, sue vigne et suoi armenti. Concedimi dolce signore la permissione di ospitarti per lo manducare et per lo bevere allo mio castello!
– Brancaleone 

L’originalità della lingua parlata dai personaggi è uno degli elementi che ha contribuito a rendere esemplare questo film e a diffonderne la fama. Si tratta di un idioma immaginario tra il latino maccheronico, la lingua volgare medievale e le espressioni dialettali della Tuscia.
I tre sceneggiatori hanno attuato un lavoro di ricerca minuzioso per costruire il verbo popolare del film. A tal proposito, Mario Monicelli ha raccontato:

Come parlavano nell’anno 1000? L’unica cosa che si ha di quel periodo è un atto notarile a cui ci siamo rifatti. Poi ci siamo ispirati a San Francesco, anche se posteriore e poi a Jacopone da Todi. Parlavano Latino… non credo, o forse sì. Così ci siamo inventati un latino maccheronico, ci si divertiva ad inventare parole inesistenti, ma che ci stessero bene… abbiamo lavorato molto anche sui dialetti, noi eravamo specializzati in questo. La verità è che durante la stesura della sceneggiatura ci si divertiva a recitare le battute e veniva abbastanza spontaneo parlare questa lingua inventata.

Ai personaggi stessi sono stati attribuiti dei nomi “parlanti” che, già di per sé, dicono qualcosa del loro carattere o scimmiottano celebri personaggi storici o dei poemi cavallereschi. Ad esempio, si veda Abacuc, che gioca con la parola “bacucco”, ossia “rimbecillito dall’età”; oppure Brancaleone che sembra richiamare il mitico condottiero Riccardo “Cuor di Leone”, quando in realtà allude alla località di Norcia, patria del protagonista, dove gli abitanti erano specializzati nella produzione di salcicce e salumi.

L’Italia rurale è lo scenario ideale in cui ambientare l’eroica impresa di Brancaleone da Norcia e dei suoi “prodi” compagni di viaggio. Nello specifico, sono state scelte le zone laziali del Viterbese, alcune location in Toscana, Umbria, Puglia e Calabria.
Come se la lingua e l’ambientazione non fossero già sufficienti per restituire e ridicolizzare i cliché medievali, la squadra di Monicelli ha lavorato anche sul piano visivo e scenografico. Allo sperimentalismo linguistico si accompagna anche quello estetico, a cominciare dai costumi bizzarri e stilizzati di Piero Gherardi, per terminare con le pose bidimensionali e evanescenti della famiglia di Teofilatto, un chiaro riferimento alla regale staticità dei mosaici bizantini.

Il lato grottesco dell’epica cavalleresca


Brancaleone: Silenzio! Io vi sono duce! E però mi dovete obbedienza e dedizione. Lo nostro cammino sarà cosparso di sudore, lacrime et sanguine. Siete voi pronti a tanto? Respondete a una voce.  Siete voi pronti a morire pugnando? Noi marceremo per giorni, settimane et mesi, ma infine averemo castella, ricchezze et bianche femmine dalle grandi puppe. Taccone: ‘nnalza le insegne!
Taccone: No le tengo!
Brancaleone: Bene! E tu levale in alto! E voi, bifolchi, ponetevi all’ombra di esse, escite dalla fanga, che io farò di voi cinque un’armata…
Abacuc: Duce, semo quattro.
Brancaleone: Be’ io farò di voi quattro un’armata veloce et ardita che sia veltro e lione al tempo istesso! Avanti verso Aurocastro, nel core di Puglia! Avanti miei gagliardi! In marcia! Seguite!

Abacuc: Ma dove va quello là?
Pecoro: De qua!

La pellicola si rifà alla tradizione dei poemi cavallereschi, dei romanzi cortesi delle novelle di Boccaccio e delle satire di Plauto e Molière per creare una storia corale, goliardica e grottesca, che molto ricorda, per schemi e personaggi, I Soliti Ignoti, altro celebre capolavoro di Monicelli.
Non è un caso che all’interno del cast siano presenti due tra gli attori principali del film, cioè Vittorio Gassman e Carlo Pisacane.
L’Armata Brancaleone si fa beffa dell’epoca cavalleresca rielaborandone i cliché e contestualizzandoli all’interno di un contesto scanzonato e improbabile. Il Medioevo di Monicelli è dissacrante, goliardico, bestiale e violento nonché popolato da personaggi miserabili e grotteschi: cialtroni, santoni e falsi profeti, cavalieri goffi e codardi e, infine, dame disinibite e tutt’altro che innocenti. Quella di Brancaleone è un’epoca stilizzata ed estremizzata, ma non per questo meno credibile. Rispetto alla scelta dell’ambientazione, Monicelli ha affermato in un’intervista alla metà degli anni ‘70:

La verità è che noi non volevamo far vedere l’Alto Medioevo che si raccontava a scuola, nei romanzi di Re Artù, della Tavola Rotonda… tutti belli, nei loro castelli. Un Medioevo fatto di cortigiani, di dame, di duelli e tornei, insomma: un Medioevo molto raffinato, colto, dove tutti stavano bene. Tutto questo non era vero: la verità è che il Medioevo era una epoca selvaggia, ignorante, priva di cultura.

Il mondo di Brancaleone è molto diverso da quello glorioso descritto nel ciclo arturiano o nell’Orlando Furioso; al contrario è molto più vicino all’estetica di Boccaccio, mescolata all’anima popolare della Commedia dell’Arte. Brancaleone, benché si reputi un valoroso cavaliere, non possiede alcuna delle virtù cavalleresche: non è prode, né nobile, né umile né onorevole. Malgrado i suoi grandi sogni e le sue aspirazioni, non riesce neppure a domare il proprio cavallo! E’ un cavaliere ignorante dal gran cuore, ma è anche un cretino. Affronta le sue giornate nell’illusione che il suo nome sia leggenda. Vive di miti, illudendosi che le sue gesta saranno cantate in una qualche ballata, ma ovviamente non è così. E’ un personaggio esageratamente drammatico, che spesso si lancia in pomposi sproloqui come fosse un tragico eroe shakespeariano.

Brancaleone: Voi sapete chi io sia?
Pecoro: None.
Brancaleone: Avrete sentuto, suppongo, lo nome di Groppone da Ficulle.
Mangold: Mai coverto.
Brancaleone: Groppone da Ficulle fue lo più grande capitan di Tuscia. E io son colui che con un sol colpo d’ascia lo tagliò in due. Lo mio nome – stare attenti! – lo mio nome est Brancaleone da Norcia!

Quello che ci colpisce di Brancaleone è, tuttavia, la sua perseveranza. Egli è convinto di essere un cavaliere valoroso e tira sempre dritto verso la sua strada, sebbene sia costretto ad affrontare numerose disavventure. La sua storia personale è, infatti, molto drammatica ed è costruita su alcuni cliché letterari: l’abbandono da parte della madre, la (finta) nobiltà d’animo, il patrigno malvagio, la sete di riscatto del proprio titolo, il forte istinto di sopravvivenza, la vita trascorsa “errando e pugnando”. Con questi presupposti, Brancaleone dovrebbe essere il perfetto ideale del cavaliere errante e inquieto. Et, dunque, cos’è ito storto?

Gli aspetti grotteschi del personaggio si riflettono nella sua compagnia, che è tutto fuorché un’armata. E’, piuttosto, un manipolo sgangherato e improbabile, composto da individui tutt’altro che eroici: sono straccioni, imbroglioni, vigliacchi, che si trovano alle prese con un’impresa più grande di loro.
Vi sono presenti numerosi topoi dei poemi cavallereschi: tra questi il viaggio intrapreso per ottenere la gloria, per riscattare il proprio onore (e un cospicuo bottino) e la fanciulla candida da salvare. All’interno della narrazione è presente anche un torneo, imprescindibile nell’immaginario dei cavalieri. E’ proprio in quel contesto che i personaggi incontrano Brancaleone, estremamente convinto di avere in pugno la vittoria, un ricco matrimonio e un titolo. L’intenzione e la tracotanza, però, non bastano e Brancaleone si ritrova ben presto a terra, durante la giostra, a causa dell’indisciplinatezza di Aquilante, il suo prode destriero.

Un altro elemento narrativo di grande importanza è la tematica storica delle crociate, che verrà approfondita nel sequel Brancaleone alle crociate (1970). Nel corso della loro avventura la compagnia di Brancaleone si imbatte nel monaco Zenone alla guida di un’improbabile crociata, composta anch’essa da un drappello di pellegrini miserabili, appestati e sfortunati, che marciano al ritmo di invettive per scacciare Satana. L’armata si unisce presto al convoglio nella speranza di purificare il proprio corpo dalla peste – che in realtà non hanno contratto – e di liberare la terra santa dai vili usurpatori. Il cammino è lungo e, a ogni minimo cedimento di spirito, il santone affranca la sua truppa con una frase che diventerà iconica: “Sarai mondo se monderai lo mondo!”.
Nonostante l’entusiasmo iniziale del gruppo, il povero Zenone è in realtà l’unico a credere veramente nella missione; al contrario, alla prima occasione Brancaleone e i suoi non ci pensano due volte ad abbandonare la marcia santa.

Il duello: Cedete lo passo!

Una delle scene più ilari e famose è, senza ombra di dubbio, quella del ridicolo e instancabile duello tra Brancaleone e Teofilatto, nato per il semplice desiderio di attaccar briga e dar sfoggio del proprio machismo cavalleresco:

Teofilatto: Cedete lo passo.
Brancaleone: Cedete lo passo tu!
Teofilatto: No, è a te cedere, io son cavaliere…
Brancaleone: Et io che sono? Le hai viste le schiere mie? O non hai occhi?
Teofilatto: Ne ho almeno quanto tu hai la lingua.
Brancaleone: Allora è lo cervello che ti ammanca!
Teofilatto: Mah, forse, ma non lo core… a piedi o a cavallo?
Brancaleone: No no, caballo no!

Da questa sequenza comprendiamo quanto Brancaleone e Teofilatto conoscano molto poco dell’arte del combattimento: ogni colpo sferrato con foga, e senza alcuna strategia tattica, finisce per andare a vuoto e falciare il campo di grano che li circonda e che molto ricorda le aride steppe di Cervantes.
Dopo ore di scontro, intervallato da tregue e consigli per curare l’indigestione, il duello si conclude alla pari per scelta dei due sfidanti.
Quello che Monicelli porta in scena non è solo un duello patetico tra due cavalieri fasulli, ma anche tra Gassman e Volontè. E’ una scena estremamente comica e finalizzata a celebrare la grandezza dei due attori all’interno del panorama cinematografico italiano.
Uno scontro tra titani che si conclude alla pari com’è giusto che sia.

Per concludere, come ricorda lo stesso Monicelli, L’Armata Brancaleone mette in scena un «Medioevo cialtrone, fatto di polvere, di ignoranza, di ferocia, di miseria, di fango, di freddo». E’ un film in cui la letteratura alta cortese e l’epica cavalleresca si mescolano con il popolare creando una narrazione originale e dei personaggi indimenticabili, che ancora vivono nelle citazioni quotidiane di molti italiani. L’armata è composta da antieroi sconclusionati che si ritrovano tra le mani un’impresa fuori dalla loro portata e che, a differenza di Brancaleone, sono disposti a mollare alla prima occasione. Come ci si può aggrappare al codice cavalleresco quando arrivano la peste e i pirati saraceni? Questo è il pensiero di gran parte dei membri della compagnia, ma non del cavaliere di Norcia, che dinanzi ad ogni sfida si lancia alla carica al grido di: “Branca Branca Branca, Leon Leon Leon!”.

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Benedetta Lucidi,
Redattrice.