Cinquanta, cifra tonda. Un’età che non passa proprio inosservata, nella quale vale la pena fermarsi un attimo e riflettere sulle cose già fatte e le cose che vorremmo fare ancora.

Joaquin Phoenix, attore già rinomato in passato ma nell’albo dei migliori attori del ventunesimo secolo da quando vestì i panni del Joker di Todd Phillips, festeggia il 28 ottobre cinque decenni di vita e di carriera. Un attore adulto e cresciuto, si direbbe, oggi con l’amatissima moglie Rooney Mara e due bimbi di recente arrivo. Eppure, c’è qualcosa di molto bambinesco in lui: lo intuiamo dalle interviste, dall’interazione con una Lady Gaga un po’ più seriosa, o da un racconto di un tatuaggio fatto da ubriaco a Firenze in compagnia di Ben Affleck (ma questa è un’altra storia). C’è quel balbettio da recita di fronte all’intera scuola nel momento in cui ringrazia per l’Oscar, c’è quel modo giocoso di scherzare con i giornalisti di fronte a una domanda scomoda, c’è quel disadattamento sociale che, si pensa, a cinquant’anni si è imparato a superare. 

Joaquin Phoneix assieme alla moglie Rooney Mara

Ma forse c’è un momento che lo ha reso un uomo diverso, ed è un momento precisissimo nel tempo: la notte di Halloween del 1993, quando è costretto a soccorrere il fratello minore in fin di vita. River Phoenix, che in quel momento era professionalmente un passo avanti nei confronti del fratello maggiore, muore di overdose all’età di 23 anni

Il lutto segna da quel giorno non solo la vita di Joaquin, ma anche la sua carriera professionale. I suoi ruoli diventano già dai primi anni più tormentati, con personaggi donnaioli, assetati di potere ma tormentati da una forza maggiore che altera la salute psicologica del personaggio (To Die For, Inventing the Abbots, Il Gladiatore, Quills…). In una seconda fase della propria carriera Joaquin Phoenix si nasconde dietro a personaggi più sicuri di sé, che nella vita sembrano avercela fatta: Squadra 49, I Padroni della Notte, Io Sono qui. Spuntano in realtà tra la prima e la seconda fase due film che anticipano un Joaquin Phoenix più vulnerabile: da una parte abbiamo il lavoro di doppiaggio in Koda Fratello Orso, limpido omaggio al fratello scomparso, e dall’altra abbiamo The Village. In quest’ultima opera di M. Night Shyamalan Joaquin Phoenix interpreta Lucius Hunt, un personaggio introverso, disadattato e tormentato. Caratteristiche che anticipano la terza fase di Phoenix, che lo forma come l’attore che conosciamo oggi. 

Joaquin Phoenix nei panni di Arthur Fleck in “Joker”

Tra il 2012 e il 2019 l’attore di origini portoricane si può permettere di scegliere determinati ruoli che lo plasmino a suo piacimento. Sceglie quindi personaggi miserabili, soffocati dal mondo e in cerca d’identità (The Master, Her, Vizio di Forma). C’è infine un prima e un dopo Joker, in cui Joaquin Phoenix si inchina al mondo intero e dà prova di tutte le sue capacità attoriali, in una performance che gli vale giustamente la statuetta d’oro agli Academy Awards. La verità è che per quanto riguarda la scelta dei ruoli, Phoenix decide di rimanere sempre fedele a sé stesso, anche dopo l’enorme successo degli ultimi anni. Sicuramente il cachet sarà più alto (ricordiamo che per il ruolo in Joker venne pagato “solo” un milione), ma il cuore del personaggio rimane intatto: il primo ruolo che segue il grande incasso è quello di Johnny in C’Mon C’Mon di Mike Mills. Si tratta di un ruolo intimo, delicato e per niente pretenzioso, che non segue la scia del precedente ruolo, ma rallenta per ritrovare un Joaquin Phoenix che fa del minimo qualcosa di grandioso.

C’è dunque, da una parte, il Joaquin Phoenix diretto da Todd Phillips; ma c’è anche un Joaquin Phoenix più autentico, che ritroviamo in pellicole più autoriali, che non è altro che un bambino cresciuto senza la spalla del fratello. Vulnerabile come non mai, sceglie la strada del complesso, del profondo e dell’analitico nel momento in cui c’è da scegliere un ruolo. E omaggia così, anche indirettamente, il fratello scomparso: con la celebrazione di vite introverse, travagliate e alla deriva, come la sua infanzia del resto, trasformandole in qualcosa di magico ai nostri occhi. È forse solo un modo per abbracciare sé stesso. 

Lara Ioriatti,
Redattrice.