Nell’estate dei suoi 19 anni la giovane americana Lucy (Liv Taylor) si reca in viaggio nelle splendide campagne toscane, vicino Siena. Era stato suo padre a spingerla a tornare in Italia, soggiornando a casa di vecchi amici di sua madre. Il pretesto di questo viaggio era di aiutare Ian, proprietario del terreno e artista, a realizzare una scultura prestandosi come modella. La permanenza in Toscana però si rivela molto più di questo per Lucy.
Quello che la giovane protagonista riuscirà a conquistare sarà il passaggio all’età adulta, sperimentando nuove esperienze e sensazioni e superando i propri limiti. La perdita della propria verginità e il significato che questo atto porta con sé sarà il fulcro del racconto, imponendo una chiave di lettura che verrà sottolineata ed enfatizzata da tutti gli elementi del film.
Bertolucci trae ispirazione da un’esperienza vissuta in prima persona, data dall’amicizia che tempo prima lo aveva legato a un gruppo di artisti che si erano ritirati nel Chianti negli anni ‘60. Tra questi, in particolare, Matthew Spender, autore delle bellissime sculture presenti nell’opera.
IO BALLO DA SOLA E L’ARTE
L’arte in Io ballo da sola è un elemento fondamentale, la cui importanza è sottolineata non solo dall’apporto dei lavori di Spender, ma anche da come questi, insieme ad altre forme artistiche, contribuiscano a evidenziare il messaggio principale del film nonché colonna portante del racconto: la perdita della verginità di Lucy.
È in funzione della creazione di una scultura che la protagonista s’imbarca in un viaggio da cui non tornerà uguale a prima. E il profondo cambiamento che avverrà in lei, appunto grazie al contributo intrinseco delle opere, è evidente in una conversazione con Ian, lo scultore che la ritrae.
“Mi assomiglia almeno?”
“Non deve assomigliarti.”
È interessante inoltre far caso ai richiami stilistici presenti nelle sculture di Spender. Le influenze che si possono notare vanno dal primitivismo all’arte bizantina ed etrusca, e ciò sembra spingere verso la definizione di un ambiente genuino e spontaneo, atto a recuperare un legame con i sensi e con la spiritualità della terra. Un’attenzione posta all’immediatezza sacra del momento, che in un altro contesto Lucy avrebbe forse accantonato. È l’intero trasloco in campagna degli ospiti della protagonista che in realtà sembra caricarsi di questo significato, enfatizzando un modo di vivere e sentire il mondo che essi condivideranno con lei.
Importante in particolare è l’inquadratura della statua di San Sebastiano, presente all’interno della casa, durante una conversazione al telefono tra un giovane scrittore amico di famiglia e il personaggio di Noemi (Stefania Sandrelli). Quest’ultima (una donna quasi di mezza età) nel corso del film sembra, quasi al pari di Lucy, voler provare l’ebbrezza di una frequentazione giovanile, ma stavolta per riesumarne le sensazioni, non per scoprirle. Intrattiene conversazioni con Michele, il figlio di un amico di famiglia, lo sente per telefono, commenta il libro scritto da lui sull’amore e la passione. Ed esprime la sua opinione sul suo lavoro pochi passi più avanti della statua del martire.
“No, è un libro assolutamente deprimente!”
Dice Noemi prima di voltarsi per lanciare uno sguardo al santo. Un’occhiata che sembra caricarsi di desiderio e aspettative di sensazioni grandi quanto quelle espresse dalla raffigurazione.
SAN SEBASTIANO: L’ICONOGRAFIA DEL MARTIRE
San Sebastiano era un militare romano nato nel 256 d.C. e vissuto sotto l’impero di Diocleziano. Ebbe a cuore di contribuire alla diffusione del cristianesimo grazie al suo ruolo di tribuno della corte pretoria, occupandosi della sepoltura dei martiri, dei cristiani incarcerati e divulgando la religione tra i funzionari di corte. Diocleziano, profondamente avverso al cristianesimo, si sentì fortemente deluso quando seppe dell’opera di propagazione di Sebastiano, e lo condannò a morte. Così quest’ultimo venne denudato e legato a un palo sul colle Palatino, dove venne trafitto da un gran numero di frecce. Ma secondo la leggenda sopravvisse nonostante il martirio grazie all’opera salvifica di Dio, e la sua fede fu così grande da spingerlo a proclamarla al cospetto dell’imperatore piuttosto che lasciare la città. Fu questo tuttavia a costargli la vita, che gli venne tolta definitivamente tramite una cruenta flagellazione.
La figura di San Sebastiano porta con sé una storia ricca e articolata, che ha visto la sua simbologia evolvere e ridefinirsi nell’arco di quasi mille anni. Rappresentato inizialmente come un anziano trafitto da frecce, spesso veniva dotato della clamide militare, tratto distintivo dei soldati. È al tramonto dell’epoca gotica che lo si inizia più frequentemente a raffigurare nudo, e a partire dal XV secolo anche più giovane. Se il simbolismo (dalla sua origine per diverso tempo) era sempre stato riferito all’idea di un martirio, di un sacrificio per fede e amore di Cristo, l’aspetto estetico nel corso dei secoli influisce anche sul significato. Non sarà più tanto quindi un atto di devozione quanto una rappresentazione del dolore in sé, con la volontà di suscitare sensazioni forti negli spettatori. L’eccitazione legata alle più recenti figurazioni di San Sebastiano non è necessariamente di natura sessuale, ma spesso e volentieri può contribuire a sottolineare quest’ultima dove si volesse, come nell’opera di Bertolucci.
La delicatezza e allo stesso tempo l’intensità della storia di Lucy contraddistinguono e definiscono Io ballo da sola. Un’estiva tranche de vie agreste, che nonostante l’importanza e profondità del tema scelto riesce a mantenere, senza appesantirsi mai, una fresca e giovanile leggerezza.
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