Abbiamo intervistato l’attore Tommaso Sacco, che ci ha parlato della sua esperienza su set di grandi produzioni e dei suoi sedici anni trascorsi a Los Angeles per vivere a contatto col mondo del cinema. Come vengono percepiti negli Stati Uniti le vittorie e, dall’altro lato, gli insuccessi di un aspirante attore? Con delicatezza e acuità abbiamo riflettuto su stereotipi del mestiere della recitazione e sulle pressioni che comporta, delineando infine i veri valori da tenere a mente all’interno di questo ambito lavorativo.

Gaia: Ciao Tommaso, vorrei iniziare chiedendoti del tuo ultimo progetto. Attualmente stai lavorando a Dostoevskij, la prima serie tv dei fratelli d’Innocenzo, che verrà trasmessa su Sky. Puoi anticiparci qualcosa della trama?

Tommaso: Purtroppo non posso ancora rivelarvi molto. Mi è stato chiesto di mantenere il segreto, ma anche volendo il mio ruolo è piccolo e chiaramente solo gli attori con le parti principali hanno avuto accesso al copione di tutte le puntate, quindi sarei davvero poco d’aiuto. So solo che non ha niente a che vedere con il vero Dostoevskij. È stata però un’esperienza molto formativa, bella e quasi surreale. Ho lavorato a fianco di Filippo Timi che è un maestro ed è stato bellissimo confrontarsi con lui anche fuori dal set; sono stati dei giorni molto particolari ed entusiasmanti, poi i fratelli d’Innocenzo sono dei veri geni visionari, è stato divertente girare con loro e vederli insieme. Si avvertiva una sensazione di armonia sul set data dalle loro idee e dalla loro capacità di coordinare in perfetta sintonia cast e troupe. Devo dire che è stata una delle esperienze più belle vissute su un set, a livello sia formativo sia umano. Spero di lavorare ancora con loro.

Gaia: Le riprese ora sono terminate?

Tommaso: Le mie sì purtroppo, il progetto sapevo dovesse finire ad aprile. Quindi a meno che non ci siano stati ritardi penso abbiano concluso.

Gaia: Invece si sa per quando sarà prevista l’uscita?

Tommaso: Io so molto poco, credo per settembre ma non vorrei dirti una bugia.

Gaia: Certo, non preoccuparti. Comunque, si tratta di una produzione italiana importante quale Sky, però tu hai lavorato anche con HBO, che è una produzione straniera molto nota, per la serie tv del 2005 Rome. Quindi hai potuto fare tante esperienze diverse, mettendo a paragone Italia e Stati Uniti. Hai notato grandi differenze tra le due case? E ti sei trovato meglio con una delle due?

Tommaso: Allora, ai tempi di Rome io ero davvero un ragazzino. È stata forse la mia prima esperienza cinematografica. All’epoca studiavo all’Accademia dentro Cinecittà, in teoria non potevamo ancora lavorare, e io mi fingevo malato per correre sul set e sperare di essere preso per fare la comparsa, perché ne reclutavano molte ogni giorno… quindi iniziai in questo modo ed ebbi poi questa escalation di ruoli… che è durata un bel po’, sono stati inizialmente tutti ruoli piccoli, ma all’epoca per me fu davvero appassionante. “Ce l’ho fatta, sono arrivato” pensavo, perché comunque era un set enorme, in Italia tra l’altro… la televisione in quegli anni non era molto aggiornata, c’erano pochi network che trasmettevano programmi buoni. Credo fosse il periodo di Lost, che è stata la prima a cambiare le regole della serialità televisiva. In Italia ci siamo arrivati molto dopo, io nel frattempo ricordo di aver fatto Incantesimo… ed era strano passare da Incantesimo a Rome, senza nulla togliere alla prima ma le differenze tra i set erano notevoli. Era diverso come mole di lavoro, di set, di costumi… Rome è stato massacrante ma molto bello. Diciamo che l’esperienza in sé fu elettrizzante ma perché fu proprio la mia prima volta in un ambiente così importante, mi sembrava di aver coronato il sogno che avevo da piccolino. Non ho ricordi comunque di colleghi sul set, di momenti che si creano come magari è successo durante le riprese di Dostoevskij ed è avvenuto per tanti altri film più recenti.

Gaia: Be’ certo comunque era l’inizio. Quindi fare la comparsa per HBO è stato il tuo esordio?

Tommaso: Sì, è stato quello il mio ingresso nel mondo dello spettacolo.

Gaia: A livello di esperienze hai iniziato alla grande perché hai lavorato anche al film del 2005 Mary di Abel Ferrara. Com’è stato avere a che fare con una personalità importante come lui?

Tommaso: Quello me lo ricordo molto bene, c’è anche una storia divertente dietro. Perché Abel è proprio una figura paterna per l’attenzione che presta ad ogni membro del cast. Si vede che gli piace quello che fa e lo fa con tutto il cuore, ogni scena era davvero sentita. Lui si assicurava che anche tutte le comparse stessero bene; molte volte, soprattutto in grandi produzioni, questi aspetti sono un po’ trascurati, mentre lui era molto preciso, curava ogni dettaglio di ogni ruolo. Mi ricordo che lavorammo al teatro Troisi di Roma con Matthew Modine. Abel un giorno ci si avvicinò nel cinema e prima di girare ci fece un discorso di cui non ricordo bene le parole, però riuscì a creare un’atmosfera proprio bella, era come se dicesse “siamo noi, questo è il nostro progetto, stiamo facendo noi questa cosa, portiamola a casa tutti insieme”. Aveva un atteggiamento molto amichevole e protettivo. Era particolarmente attento nell’assicurarsi che tutti stessimo bene. Anche con Matthew trascorsi dei momenti belli, anche lì ero piccolo e confrontarmi con lui che comunque era un grande della scena attoriale di Hollywood, che ha lavorato con personaggi grandiosi, mi ha fatto sentire di aver raggiunto una vetta molto alta. Ricordo che mi disse una cosa molto bella, che prima o poi avremmo lavorato di nuovo insieme. E io anni e anni dopo lo rincontrai a Los Angeles, dove ho vissuto a lungo. Andai da lui e lui fu carinissimo, passammo tutto il pomeriggio insieme
e mi fece un sacco di domande su ciò a cui stavo lavorando. Poi Abel lo rividi a Toronto a un film festival, lo salutai e fu gentilissimo come sempre.

Gaia: Dà l’impressione di essere una persona davvero gentile e molto precisa.

Tommaso: Sì, proprio così. Condividemmo un taxi quella sera.

Gaia: È molto interessante il fatto che tu abbia vissuto a Los Angeles, anche perché se non sbaglio hai proprio la residenza lì, no?

Tommaso: Sì, sono doppio cittadino, italiano e americano.

Gaia: Vorrei chiederti qualcosa sulle tue origini, perché sei madrelingua inglese no?

Tommaso: Sono madrelingua americano. Io sono in realtà originario di Napoli, ma i miei genitori sin da piccolino mi iscrissero ad una scuola americana, quindi ho fatto tutte le scuole in lingua inglese e poi ho completato gli studi a Los Angeles dove ho vissuto sedici anni, e ora sono rientrato.

Gaia: È interessante come percorso. E nel corso della tua vita com’è nata la passione per la recitazione?

Tommaso: Ho la passione per la recitazione da sempre, è quasi un’ossessione. Ero piccolino quando è nata. Avevo intorno ai 5 o 6 anni, vidi Indiana Jones e il tempio maledetto per la prima volta e ne rimasi affascinato. Era surreale per me. Io poi sono sempre stato un bambino abituato a giocare all’aria aperta, passavo spesso le giornate nel giardino di casa mia, quindi vedere quel film con una trama del genere e quelle ambientazioni fu una rivelazione. Chiesi a mio padre come fare per diventare come Indiana Jones. Lui mi disse “lui fa l’archeologo”, e quando risposi che avrei voluto diventarlo anche io lui mi frenò: “si però considera che bisogna studiare molto, e sicuramente non vai in giro con la frusta a saltare. Non è davvero così l’archeologo. Lui è un attore. Gioca solo a fare l’archeologo”. Ed così ebbi questa illuminazione: “allora voglio fare l’attore”. Da quel momento in poi ogni giorno chiedevo a mio padre chi fosse un attore e chi no tra le persone che vedevo in tv. Decisi così di voler essere “Uno nessuno e centomila”, di interpretare tutti questi personaggi. Un giorno volevo essere Indiana Jones, un altro giorno Batman, un’altra volta scappare dai dinosauri, volare su una bicicletta con un extraterrestre, viaggiare nel tempo su una macchina. Quello è stato il momento in cui si è innescata in me la passione.

Gaia: Quindi finita la scuola ti sei iscritto ad un’accademia?

Tommaso: Finito il liceo sì, ho fatto un’accademia a Roma. Dopodiché mi sono trasferito a Los Angeles dove ho studiato produzione cinematografica e sceneggiatura, ambiti che si sono rivelati un’alternativa molto interessante che mi ha portato grandi soddisfazioni in passato. Nel frattempo ho comunque continuato ad esercitarmi, non mi sono mai fermato con lo studio della recitazione. È necessario un aggiornamento costante, un lavoro sulle emozioni… è un percorso molto interessante proprio a livello psicologico.

Gaia: Hai sceneggiato molti testi?

Tommaso: Sì, sì, parecchi. C’è una serie che ho scritto, e sta nascendo un nuovo progetto ora.

Gaia: Andando a Los Angeles avevi in mente anche idee di lavoro da attuare?Tommaso: Mi ci sono trasferito per studio, ma è comunque stato a cavallo dell’onda di Rome. Perché in quegli anni, dal 2005 in poi, l’Italia è stata un po’ ferma a livello cinematografico e televisivo, si producevano un po’ le stesse cose… Io penso ci sia stato quel passaggio di testimone generazionale per cui anche il pubblico stava mutando, e il Paese si è dovuto adeguare a questi cambiamenti. Quindi io con la padronanza della lingua inglese, con Rome fresco d’uscita ho pensato di tentare questo sogno e andare ad Hollywood. Poi da lì è stata una montagna russa per sedici anni, con momenti di grande soddisfazione e momenti di buio totale.

Gaia: Qual è stata tra tutte le esperienze vissute all’estero la più interessante, quella che ti ha segnato di più?

Tommaso: Ne ho molte in realtà. Perché poi io credo che quelle che all’estero mi sono servite di più paradossalmente siano quelle deludenti. Fondamentalmente perché ti portano a capire veramente quanto forte tu sia. È un ambiente che, è inutile dirlo, è difficile, ci sono più probabilità di andare sulla luna. E il lavoro dell’attore è un mestiere che richiede che tu venga rigettato ogni giorno, c’è sempre qualcuno che ti ripete che non vai bene, che non sei all’altezza. Chiaramente chi realizza un film cerca un determinato tipo di personaggio, dall’altra parte però c’è una persona che si è messa in gioco, che ha lavorato sulle sue emozioni e le sta mostrando. Questo senso di giudizio a lungo andare può portare le persone a una crisi. Negli Stati Uniti poi è tutto amplificato ed è tutto grandissimo. Se becchi il ruolo giusto arrivi alle stelle, se invece vieni rigettato ottieni l’opposto. Le grosse batoste o le grandi delusioni che possono avvenire a livello di carriera sono veramente toste perché poi coinvolgono anche tante persone. Quindi io mi ricordo queste esperienze ma semplicemente per come ne sono uscito. Mi è servito tornare in Italia e affrontare i colleghi all’interno di questo mondo in cui mi sono buttato e capire che riesco a sopravvivere alle delusioni. Ma ti parlo di farcela a livello più psicofisico che lavorativo. Quindi per rispondere alla tua domanda dopo questa digressione, ho avuto un paio di esperienze particolari, oltre quelle brutte che mi
hanno segnato. Una era sempre per l’HBO, c’era questo telefilm che dovevano realizzare ma non ricordo se uscì o lo cancellarono. Ad ogni modo feci un sacco di provini con loro, testing con il network, insomma ero un passo dal cogliere l’occasione. Venni infine avvisato di essere stato scelto, ero uno dei sei personaggi principali all’interno di questa storia di roommates a New York. Mi presero e praticamente una settimana prima dell’inizio delle riprese mi dissero che avevano cancellato il personaggio.

Gaia: No, che peccato!

Tommaso: Eh sì. Però come dicevamo, avere anche una cosa del genere per me vale molto, fa parte del lavoro. Un avvocato non vince tutte le cause, un medico non riesce in tutte le operazioni. Quindi questo mi ha rafforzato, e nel cinismo della cosa è stato anche meglio perché sono soprattutto le esperienze toste che è importante vivere.

Gaia: Sì certo, è un punto di vista molto valido ed è qualcosa di cui bisogna parlare. Soprattutto in questo ambito è necessario sapere che è possibile fallire, che probabilmente prima o poi si fallirà e sono queste le esperienze che ti formano, sono d’accordo con te.

Tommaso: Assolutamente, ma poi io non li considero neanche fallimenti, cioè è così, è il lavoro di tutti i giorni. Noi attori siamo messi al microscopio quotidianamente. Anche con i miei amici, io sono l’unico che parla del lavoro. È qualcosa che spesso ti fa sentire in difetto perché gli stili di vita sono inevitabilmente diversi. E anche il fatto di dover dire “quel provino non è andato bene”…Gli altri professionisti non parlano così spesso di ciò in cui riescono o falliscono. Noi invece siamo sempre un po’ al centro dell’attenzione da questo punto di vista, perché c’è questa concezione che un attore o lo vediamo con l’Oscar in mano oppure la recitazione è hobby. Però nel frattempo io lavoro, questo è il mio lavoro. Ci sono vari livelli. Dobbiamo anche un po’ normalizzare questo nostro mestiere, perché è anche molto forte per noi psicologicamente avere una pressione del genere fuori, che ti crea ancora più solitudine. Quindi ai colleghi voglio dire che non ci sono fallimenti nella recitazione, perché se ti cancellano un ruolo o tagliano una scena non è colpa tua. Basta essere preparati a tutto.

Gaia: Sì. Oltretutto chi non lavora all’interno di questo ambito non ha idea di quanto delicato sia l’equilibrio dell’interazione di così tante persone e di innumerevoli situazioni che vanno tenute sotto controllo, di cui una magari va male generando un effetto domino che può portare a dover annullare tutto.

Tommaso: Sì assolutamente.

Gaia: Vorrei terminare chiedendoti dei tuoi progetti futuri.

Tommaso: Allora, progetti futuri… tra qualche settimana vado a Cortina a girare un film americano con Danny DeVito. Si chiama A sudden case of Christmas, e per ora questo è il mio progetto principale. Attendo poi di vedere gli altri lavori che ho girato e che devono uscire come Dostoevskij. E poi stiamo aspettando risposte.

Gaia: Perfetto, allora abbiamo concluso. Ti ringrazio, è stato un colloquio davvero molto interessante. Ciao!

Tommaso: Ciao!

icona
Gaia Fanelli,
Redattrice.