In occasione della presentazione del corto Upside down dancers al San Francisco Dance Film Festival, abbiamo intervistato il regista e produttore Pietro Pinto.
Pietro Pinto è un regista e produttore estremamente dinamico, autore di numerosi cortometraggi. Tra questi ricordiamo Adam (2020), che ha avuto la sua première alla 35° Settimana Internazionale della Critica all’interno della Mostra del Cinema di Venezia; The Golden Gate (2020), vincitore del premio Best in Show e Best Narrative al CSU Media Arts Festival; Rosita (2017), selezionato nell’ambito della rassegna I Love GAI per la 74° Mostra del Cinema di Venezia. Con il documentario Jerusalem in Between, proiettato in oltre 20 festival in tutto il mondo, esordisce anche al Jerusalem Film Festival. Ad oggi si è stabilito a San Francisco, ma il suo animo attivo ed intraprendente lo ha portato a formarsi in diverse città e Paesi, tra cui Gerusalemme, Parigi, New York e Cuba. Tra le esperienze che lo hanno formato, si annovera una collaborazione nel 2019 con il celebre Marco Bellocchio in quanto Line Producer nel suo cortometraggio Se posso permettermi (2021). Inoltre, Pietro Pinto insegna come professore di cinema presso la San Francisco Film School e ha creato una serie di Masterclass di cinema con importanti professionisti dell’industria in partnership con UCLA, UCS, CalArts, SFSU e SFFS.
Ciao Pietro, parlami un po’ del nuovo corto Upside down dancers.
P: Il corto Upside Down Dancers è stato realizzato nei mesi più cupi della pandemia, ho voluto raccontare il drammatico periodo della pandemia tramite la danza. I protagonisti del corto sono il primo ballerino del San Francisco Ballet, Angelo Greco e la prima ballerina Misa Kuranaga. I ballerini hanno ballato sulla collina di San Francisco, Twin Peaks. Hanno ballato raccontando questa fase tra sogno e realtà, il poter ballare in contesti informali ma non poterlo fare professionalmente a causa del Covid e delle rigide regole.
Questo corto mi sembra molto affine a quello precedente, Icarus. C’è legame o continuità tra i due?
P: Sì, assolutamente. Icarus racconta la storia di un giovane ballerino, Angelo Greco, e di come, a causa del Covid, si sia trovato costretto alla solitudine e privato della danza. Inoltre, per Angelo è stato un periodo particolarmente difficile, come tutti noi che ci trovavamo lontani dal paese natale, a causa delle terribili notizie che gli arrivavano ogni giorno. Il corto era andato molto bene ed era circolato abbastanza, le foto sono anche state proiettate al Fine Art Museum. Così, visto il buon successo ottenuto, abbiamo deciso di realizzare Upside Down Dancers, in cui abbiamo inserito anche la prima ballerina del San Francisco Ballet, Misa Kuranaga.
Com’è nata la collaborazione con i ballerini?
P: Personalmente non mi ero mai interessato al balletto prima d’ora. Ma l’incontro con Angelo, la sua eleganza nel muoversi e la sua devozione per il mondo della danza mi hanno colpito profondamente. Ci siamo conosciuti per caso in un ristorante di San Francisco: il suo portamento e la sua bellezza hanno subito attirato la mia attenzione. Così, gli ho chiesto chi fosse e Angelo ha risposto: “I am the principal dancer of the San Francisco Ballet”. Ma ho subito notato l’accento italiano, infatti era di origine sarda. Da lì a poco ci siamo trovati tutti confinati a causa della pandemia. Il lockdown è stato un periodo duro, in cui tutti siamo rimasti senza lavoro, sia registi sia ballerini: basti pensare che Angelo è passato dal fare spettacoli con migliaia di persone a non avere pubblico. Avevo pensato di girare un corto per raccontare questo periodo e, lì per lì, ho pensato subito che Angelo potesse essere il protagonista perfetto. Un giorno sono uscito per fare jogging e casualmente l’ho incontrato: era destino! Così, abbiamo iniziato a lavorare insieme ed è nato Icarus.
Guardando il corto, tramite le tecniche registiche, sembrava quasi che spiassi i ballerini. Qual è la ragione di questa scelta?
P: Esattamente. L’idea era mantenere un punto di vista esterno, molto obiettivo, che non influenzasse il mondo in cui mi stavo addentrando. Il fine era quello di utilizzare un’inquadratura bella e curata, ma restandone sempre fuori. La danza portata in scena rappresenta il sogno che hanno entrambi, in un periodo in cui ancora le cose non si vedono in modo chiaro. La danza è un prendersi, lasciarsi, stare insieme, un abbandonarsi fino a questo abbraccio. Poi c’è il risveglio nella “normalità”. Per questo ho scelto di girare la scena in long exposure, che tra l’altro è una tecnica che mi piace molto perché ti da questa aura di sogno. Inoltre, con la musica di Fabio Vassallo diventa qualcosa di molto poetico e tremendamente malinconico. A questo proposito, è stata molto bella la possibilità di lavorare con Daniel Miramontes, direttore della fotografia, e Chiara Trimarchi, responsabile della promozione.
Per i ballerini non sarà stato semplice ballare in contesto diverso rispetto a quello teatrale, sbaglio?
P: Assolutamente. A livello cinematografico, è stato molto difficile lavorare con dei ballerini. Il cinema non ha filtri, invece il teatro è più recitato. Quindi abbiamo dovuto lavorare per restituire naturalezza ai loro movimenti nelle scene di vita quotidiana. Poi indubbiamente gli mancavano le loro attrezzature, come un pavimento adatto. Li ho fatti ballare mezzi nudi a Twin Peaks alle 19, con tanto freddo e a piedi nudi sul cemento. Ciò testimonia la loro grande professionalità, devozione, amore. Si è subito stabilito un rapporto molto speciale con loro, siamo stati uniti dalla tanta voglia di fare.
Chi ha curato la coreografia?
P: Un altro ballerino del San Francisco Ballet ha collaborato con noi, Davide Occhipinti. Angelo mi ha indicato questo ballerino che avrebbe potuto curare la coreografia. Gli ho spiegato cosa volevo, cioè una coreografia che trasmettesse malinconia. Anche in questo caso, la scena girata in long exposure si è confermata la scelta migliore.
Il corto è stato girato durante i mesi della pandemia. Avete riscontrato particolari difficoltà nella realizzazione?
P: Non si poteva uscire, trovare l’attrezzatura, la paura di prendere il virus. Inoltre, tutti stavano chiusi in casa e dovevamo trovare il momento giusto per “scappare” fuori e andare nelle location, come Twin Peaks, uno dei landmark di San Francisco, in cui però non c’era nessuno. Figata! È sempre pieno di gente perché tutti vanno lì a vedere il tramonto, ma in quel periodo era vuoto.
Il corto ha già fatto un bel percorso, cosa vi aspetta ora?
P: Il corto è già circolato in alcuni festival. L’anno scorso è stato presentato al CortoLovere, diretto da Gianni Canova. Poi ha continuato a circolare ad eventi, in gallerie e ora sarà presentato alla serata di Gala al Lucasfilm Premier Theater. Sono tra i pochi selezionati per la première e tengo particolarmente al festival di San Francisco Dance Film Festival perché, oltre alla possibilità di essere candidato a dei premi, verrà trasmesso in un canale privato d’arte Marquee tv (ndr. piattaforma streaming che trasmette le più importanti performance teatrali inglesi e statunitensi), quindi sì avrà un riscontro televisivo in America. Una volta che saremo tutti lì, la cosa bella sarà rincontrarsi dopo un anno con i ballerini e chi ha collaborato al corto per festeggiare tutti insieme.
Qui trovate il sito ufficiale di Pietro Pinto.
Credits corto Upside down dancers:
Regia: Pietro Pinto
Produttore: Pietro Pinto, Daniel Miramontes, Leonardo Govoni
Direttore della fotografia: Daniel Miramontes
Ballerini: Angelo Greco, Misa Kuranaga
Musica: Fabio Vassallo
Promozione: Chiara Trimarchi
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