L’arte teatrale nella società, il rapporto tra cinema e teatro e le ultime novità sul nuovo film di Edoardo De Angelis. Abbiamo parlato con l’attore Lorenzo Frediani della sua carriera, dagli albori fino al raggiungimento di traguardi importanti e della sua visione del cinema e del teatro.

Gaia Fanelli (Framescinema.com): Vorrei iniziare chiedendoti del tuo ultimo lavoro. So che ultimamente stai lavorando a un film diretto da Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino, Comandante, che uscirà nel 2023. Che ruolo ha il tuo personaggio?

Lorenzo Frediani: Sì, le riprese sono terminate e il film uscirà nella seconda metà del 2023, io interpreto il timoniere Armando Dalicani, un personaggio realmente esistito come tanti nella storia. Sono i ruoli di alcuni dei membri dell’equipaggio del sommergibile Cappellini, il vero protagonista del film. Il racconto è molto incentrato su Pierfrancesco che interpreta l’eroe di guerra Salvatore Todaro, ma è anche un film corale poiché è ambientato tutto sul sottomarino, quindi siamo quasi sempre tutti presenti perché è uno spazio molto stretto e condiviso, e in qualche modo quando il comandante si muove ci siamo sempre noi intorno. È una narrazione portata avanti dal personaggio di Pierfrancesco, dall’equipaggio e dal sommergibile.

GF: Quindi hai un ruolo abbastanza austero e importante nel film. È stato complicato immedesimarti? E ti sei ispirato a qualcuno in particolare?

LF: È stato soprattutto impegnativo dal punto di vista tecnico. Le riprese sono state eseguite per metà all’aperto e per metà al chiuso: l’interno del sommergibile, interamente ricostruito, è stato realizzato in uno studio a Roma. La parte esterna è stata girata a Taranto, al porto, anche in questo caso completamente ricostruita dal reparto scenografia. Quindi diciamo che il grosso dell’impegno è stato capire come funzionasse la vita in un sottomarino e come si comportasse il mio personaggio in quel contesto. Per quanto riguarda il mio ruolo io ero sempre di fronte al timone e a vari comandi, leve, lancette e la maggior parte delle mie battute erano connesse al funzionamento di questo macchinario. Abbiamo fatto una formazione di due giorni con i sommergibilisti di Taranto, di fatto un reparto della marina militare. Abbiamo visitato un sommergibile moderno e imparato bene come funzionasse questo lavoro: quanto si stesse fuori di casa, gli spazi vitali, come si condividessero i bagni, le brande, le mense… e siamo stati poi trasportati su questo set in cui gran parte del lavoro l’ha fatta la vita insieme agli altri attori, perché eravamo sempre tutti presenti. Quindi gran parte della resa del film è dovuta al fatto che noi siamo diventati una specie di equipaggio in questi due mesi trascorsi in gruppo.

GF: Quindi un film a livello tecnico molto articolato e dettagliato

LF: Molto complicato, sì. So anche che il reparto effetti speciali, che solitamente lavora in post-produzione, è stato coinvolto per un progetto d’avanguardia, perché si trovava lì sul set, e credo sia stata provata per la prima volta in Italia una maniera di lavorare l’effetto speciale direttamente “live”. Quindi in qualche modo nel reparto regia loro riuscivano a vedere simultaneamente alla ripresa l’effetto che ci sarebbe stato sull’immagine. 

GF: Comandante si distacca un po’ dalle tue interpretazioni precedenti. Ricordo ad esempio State a casa di Roan Johnson, in cui ti sei trovato ad interpretare Nicola, un ragazzo che ha vissuto situazioni purtroppo familiari a molti giovani nel periodo COVID, oppure hai impersonato un giovane attore nel film del 2010 di Carlo Mazzacurati La passione. Tra le tue diverse interpretazioni cinematografiche qual è stata la tua preferita?

LF: Be’ sicuramente sono molto affezionato al lavoro svolto con Roan Johnson, perché abbiamo veramente costruito il racconto con il regista. È stato un film che noi abbiamo girato durante il COVID e che era ambientato nello stesso periodo storico. Noi quattro protagonisti siamo stati coinquilini per il tempo delle riprese, per questioni di sicurezza sanitaria, e tutti insieme quindi ci spostavamo dalla casa in cui vivevamo alla casa in cui giravamo. Il film ha sicuramente goduto dell’intesa reale che si è creata con i miei compagni di scena, e con Roan abbiamo fatto due settimane di preparazione in cui lui veniva a casa nostra, rileggevamo la sceneggiatura, ridiscutevamo insieme alcune scene… quindi i personaggi ce li siamo un po’ cuciti addosso durante la fase preparatoria. Ho voluto bene al personaggio di Nicola, un ragazzo molto vitale nella sua follia, un ruolo che mi ha divertito molto impersonare, perché tutti durante la quarantena ci siamo trovati in quella condizione di rabbia nei confronti del mondo che ti porta a fare delle cavolate come fa lui… quella è stata sicuramente un’interpretazione a cui sono molto affezionato, e come hai detto tu anche il film di Mazzacurati è un film a cui mi sento legato, perché è stata un’esperienza fantastica da fare all’età di diciassette anni come avevo io. Mi hanno praticamente preso dalla strada, io facevo dei laboratori con l’associazione che loro avevano contattato per avere il teatrino in cui avrebbero girato alcune scene. Fecero uno street casting e mi scelsero per questo ruolo molto piccolo, ma io feci comunque nove giorni sul set Fandango con Mazzacurati che è stato un grandissimo regista, con un cast di attori straordinari che comprendeva Silvio Orlando, Battiston, Stefania Sandrelli, Marco Messeri, Corrado Guzzanti… era veramente un film importante… andò a Venezia infatti.

GF: Quindi a livello cinematografico è stato il tuo esordio. Com’è stato entrare nel mondo del cinema circondato da artisti così affermati?

LF: All’inizio non mi rendevo conto del livello a cui fosse quel set. Ero incantato dall’aria che si respirava, ma non capivo bene. Mi ricordo che avevo fatto amicizia con Sergio Pierattini, un bravissimo attore con cui dopo ho di nuovo lavorato. Un giorno gli chiesi come avrei potuto fare il lavoro dell’attore e lui mi parlò delle accademie… io non sapevo nulla, non sapevo esistessero le scuole di recitazione per poter diventare attori per davvero e in cui studiare. Mi ricordo che una volta stavamo aspettando di girare, era uno degli ultimi giorni e io gli dissi: “senti ma noi qui a che livello siamo?” e lui mi rispose: “qui siamo a livello molto alto. Stai lavorando con una persona davvero brava su un set di altissimo livello”. È stato tra l’altro l’ultimo film che Mazzacurati ha girato per intero perché poi è purtroppo morto. Era veramente un set bello, c’era un’atmosfera di grande umanità.

GF: Un esordio importante insomma, e poi ti sei trovato a interpretare diversi ruoli in particolare con Roan Johnson con cui hai lavorato per I delitti del BarLume

LF: Su quel set, sul set dei Delitti io rincontrai Pierattini, con cui avevo fatto La passione. Dieci anni dopo lui non si ricordava di me, e io un giorno gli dissi, mentre eravamo in camerino: “Sergio io ti devo dire una cosa, io sono qua grazie a te, perché noi dieci anni fa abbiamo fatto un film insieme” e lui non ci credeva, era felicissimo di rivedermi ma incredulo, fu molto bello.

GF: Certo, immagino sia divertente quando si rincontrano per caso persone con cui si aveva lavorato tanti anni prima.

LF: Eh sì. Comunque, mi dicevi?

GF: Con Roan Johnson, che poi ti ha richiamato e con cui hai lavorato a stretto contatto durante il COVID, immagino si sia sviluppato anche un rapporto di amicizia.

LF: Sì certo, ci sentiamo spesso. Tra l’altro ha iniziato ieri a girare la nuova stagione dei Delitti. Io in questo momento sono a Piombino, che è la mia città, e credo che quest’anno gireranno parte dei film qui da me; quindi, insomma…siamo entrambi innamorati di questi luoghi.

GF: Sicuramente molto pittoreschi.

LF: Esatto. Ci lega il nostro legame alle zone marittime.

GF: Allora, fino ad ora abbiamo parlato più accuratamente della tua carriera cinematografica, però come abbiamo detto tu hai lavorato anche ai Delitti del BarLume e anche soprattutto a Doc – Nelle tue mani. E poi anche a teatro, hai avuto soprattutto una formazione molto intensa e articolata a teatro. C’è un ambito tra questi tre, cinema, teatro e serialità in cui ti trovi più a tuo agio?

LF: Diciamo che il teatro è un po’ il posto dove mi sento più a casa. Perché comunque mi sono formato in una scuola che è fondamentalmente una scuola di teatro, e ho un legame più stretto con il palcoscenico e con gli spazi teatrali che non con il set, con i tempi del cinema, con la tecnica del cinema. A livello interpretativo i due mestieri sono uguali, però il mondo in cui ti muovi ha delle regole completamente differenti. Al cinema le cose si fanno una volta, mentre a teatro tutti i giorni fai sempre la stessa cosa. Il tipo di esperienza da attore è completamente diversa. Il teatro oggi coinvolge per lunghi periodi e richiede anche un certo tipo di attitudine anche “alla giornata” che porta poi al momento in cui dello spettacolo, mentre al cinema c’è quel giorno in cui magari hai da fare una scena e poi per quella settimana hai finito. Quindi il teatro è sicuramente l’ambito in cui mi trovo più a mio agio. Però mi piace molto fare cinema e tv, mi diverte. C’è quella caratteristica del cinema per cui tu sei come gli spettatori quando vai a vedere il film. Io del Comandante so poco più delle persone che lo vedranno. Noi eravamo in un porto e con gli effetti speciali simuleremo di essere nell’oceano Atlantico, sono curioso tanto quanto gli spettatori!

GF: Certo, immagino. C’è una scena molto bella di Effetto notte di François Truffaut, film che racconta di una troupe cinematografica che lavora ad una messa in scena, in cui gli attori confrontandosi tra di loro si dicono “quando guardo un mio film io non riesco a credere di aver fatto tutto questo, ho soltanto detto un paio di battute e loro hanno fatto tutto questo”. Quindi ecco immagino che a teatro sia molto diverso. 

LF: Sì certo, perché a teatro tu sei consapevole del processo giorno per giorno, non ci sono sorprese. O meglio, la sorpresa è in come ti relazioni con il pubblico, però di fatto quello che il pubblico vede è ciò che tu tutti i giorni hai eseguito, mentre al cinema quello che vedrà lo spettatore non è minimamente quello che hai fatto.

GF: Quindi è attraverso il teatro che si è sviluppata la tua passione per la recitazione?

LF: Sì, io ho frequentato una scuola di canto qui a Piombino, con cui abbiamo iniziato a fare degli spettacoli dove c’erano anche delle parti recitate. Da lì mi sono interessato alla recitazione e ho iniziato a fare dei corsi amatoriali, finché poi non è arrivata quell’esperienza con Mazzacurati che mi ha fatto pensare: “mi piacerebbe farlo di lavoro”, e poi la scelta della Paolo Grassi ha deciso un po’ per me, sono andato in un’Accademia prevalentemente teatrale in cui ci si prepara anche per il cinema ma soprattutto si studia recitazione per il teatro, drammaturgie teatrali… quindi è stata quella la mia chiave d’accesso al mestiere.

GF: Quindi non hai sempre desiderato essere un attore ma col tempo e studiando ti sei appassionato sempre di più. 

LF: Sì, quando sono andato in Accademia ero già appassionato, perché comunque per iscriversi a una scuola triennale che richiede un impegno giornaliero costante è chiaro che si deve avere voglia di farlo, però attraverso la Grassi ho scoperto molto del perché il teatro mi piace, e sono entrato in contatto con caratteristiche specifiche del teatro che un ambiente amatoriale non ti può dare. Sicuramente recitare da ragazzino è stupendo, è una disciplina che ti libera e ti porta a conoscere te stesso, però poi cosa sia davvero il teatro è difficile impararlo in un contesto amatoriale. Mentre un ambiente accademico ti fa ragionare sul fatto che sia qualcosa che esiste da quando esiste la civiltà; quindi, in questo senso ti fa appassionare a delle questioni più profonde di cosa sia l’arte teatrale. Noi spesso lo diamo per scontato, ma è una cosa che l’uomo fa dall’antichità, e studiando seriamente recitazione ti chiedi perché lo fai, perché le situazioni cambiano, ti interroghi sulla grandezza dei teatri, sui tipi di produzione, sulle drammaturgie, sul perché la gente venga o non venga agli spettacoli, cosa stai dando quella sera… sono tutte domande che quando hai quindici anni e lo fai per gioco non ti poni, ti diverti a farlo ma non ti chiedi “perché”.

GF: Sicuramente, poi, studiandolo seriamente ci si rende conto di tante cose e la passione cresce. E hai un testo teatrale preferito?

LF: Bella domanda questa. Allora, ho un debole per la tragedia di Shakespeare, quella che comincia con la M e dicono che porti male dirla.

GF: Allora non pronunciamo il suo nome, ma ho capito a quale ti riferisci. 

LF: Ecco quella è il mio pallino. E poi mi piace molto il teatro di Bertolt Brecht, e ho un’affezione particolare a Vita di Galileo di Brecht. Trovo molto appassionante la sovrapposizione di arte e scienza.

GF: Sono d’accordo con te, il teatro di Brecht è molto interessante e affascina per come porta a riflettere sull’uomo. 

LF: Quel tipo di funzione che il teatro epico brechtiano cerca di avere, quello strumento che ti fa vivere la storia ma costantemente ti tiene fuori per farti riflettere sul tuo ruolo di spettatore, è qualcosa che il teatro moderno ancora può usare. Quando gli spettacoli funzionano il pubblico torna a casa emozionatissimo ma anche pienamente consapevole di aver svolto un “processo di pensiero” in ciò che stava vedendo. Su questo secondo me ancora il teatro ha una cosa in più del cinema. Tant’è che molto del cinema che ora funziona, penso soprattutto ai film di Adam McKay come Don’t look up o La grande scommessa, è un cinema che ha un certo tipo ora di sensibilità nei confronti di sceneggiature un po’ stranianti. Che abbiano un plot molto coinvolgente ma allo stesso tempo ti mantengano abbastanza distante per dirti “io ti sto facendo vedere questa storia perché tu devi riflettere su questo”. È un cinema che mi piace molto perché in un certo senso somiglia a Brecht. McKay ha realizzato Don’t look up, Vice che è un film politico su Dick Cheney, il braccio destro di Bush durante il periodo delle torri gemelle, e prima ancora La grande scommessa, un film di politica finanziaria sul crollo di Wall Street. Mi ricorda Brecht perché sono film in cui il narratore costantemente ti tira dentro e fuori dalla storia. Sono scritti come scriveva Brecht.

GF: È una riflessione molto affascinante, non ci avevo mai pensato in riferimento ai film di McKay. Io piuttosto ho associato Brecht a pellicole come La finestra sul cortile di Hitchcock che è -ci hanno anche scritto molto- un film sullo spettatore che guarda film, sul voyeurismo. E pur non interrompendo il processo dell’immedesimazione Hitchcock porta il suo pubblico a riflettere sul proprio ruolo. È un concetto, questo del teatro epico brechtiano, che si può ritrovare in molte forme artistiche. 

LF: Ed è ancora molto moderno.

GF: Sì assolutamente. Nel corso di questa tua articolata formazione teatrale hai avuto qualcuno che è stato un punto di riferimento importante per te? Considerando soprattutto che ti sei trovato in un modo o nell’altro in contatto con personaggi importanti a livello mondiale come il regista Peter Stein, c’è stato qualcuno che hai visto come un mentore?

LF: Sicuramente ci sono alcuni insegnanti della mia Accademia che sono stati i miei veri maestri, le persone i cui principi vado a mettere in atto nel momento in cui lavoro. Sono sicuramente Maurizio Schmidt, Marco Maccieri, Maria Consagra, bravissimi insegnanti della Paolo Grassi, e poi ho trovato dei punti di riferimento che mi hanno dato molto anche nel lavoro, sicuramente Stein è un grande maestro, Valerio Binasco è un bravissimo regista con cui ho lavorato e tutt’ora collaboro con una compagnia che si chiama Lacasadargilla e la regista si chiama Lisa Ferlazzo Natoli è una persona a cui sono molto legato perché abbiamo fatto tante cose insieme. Queste sono principalmente le persone a cui sono riconoscente per quello che ho imparato. 

GF: Per quanto riguarda il cinema invece, ci sono stati dei film che hai guardato da spettatore che hanno mosso in te il desiderio di diventare attore? 

LF: Be’ io sono un grandissimo fan del cinema di Nolan. Sempre per il discorso che sono affascinato dal rapporto tra l’arte e la scienza, è un tema che mi ispira molto e si ritrova nel suo cinema. Quindi ti direi lui, poi… ovviamente mi piacciono tutti i grandi maestri come Tarantino, Scorsese… però ecco, quello di cui aspetto il film al cinema è Nolan, e infatti non vedo l’ora di vedere Oppenheimer perché sono convinto sarà un po’ simile a Vita di Galileo.

GF: E cosa ne hai pensato di Tenet

LF: Allora, è un film molto discusso e non del tutto riuscito, nella misura in cui può “non riuscire” un film di Nolan. Non è tra i miei preferiti, ma ho comunque ho apprezzato molto il fatto che sia un film in cui la sua riflessione sul tempo è andata avanti. Nonostante non sia riuscito a trattare il tema in maniera eccellente, lui dopo Interstellar e dopo Dunkirk ha detto: “Voglio dire anche qualcosa in più”. E ha introdotto il concetto dell’entropia, in una maniera ovviamente fantascientifica come fa sempre nei suoi film. Ha affrontato quindi un concetto che ancora non aveva introdotto nella sua riflessione sul tempo che è costante nei suoi film, Cavaliere oscuro escluso, da Memento a Tenet, è un suo pallino quello del tempo e in Tenet per quanto il film comunque non sia bello come gli altri però mi è piaciuto il fatto che lui abbia provato a fare una cosa difficilissima.

GF: Sono d’accordo con te. Il mio preferito di Nolan è Inception proprio per la questione del tempo che anche per me risulta molto affascinante, e anche per me in Tenet il tema sarebbe dovuto essere elaborato meglio per riuscire appieno, ma comunque è un ambito difficilissimo da esplorare. 

LF: Il mio preferito di Nolan è Interstellar.

GF: Be’ sì, Interstellar è veramente un grande film. Bene, per concludere ti vorrei chiedere dei tuoi progetti futuri, nei limiti entro cui puoi parlarne, anche a livello teatrale.

LF: Allora, sto ancora definendo tante cose, la verità è che non lo so bene. Ma approfitto di questa domanda per spiegare un progetto di cui non avevo ancora parlato. Da un anno ho aperto un’associazione qui a Piombino che si chiama Matan Teatro, e la gestisco con un socio della mia città. Io e lui ci conoscevamo da ragazzini, poi ci siamo separati per dieci anni e lui ha trascorso diverso tempo in una compagnia, e un anno fa ci siamo rincontrati. Abbiamo aperto questa associazione e abbiamo dallo scorso anno la direzione artistica della Stagione di Teatro Ragazzi al Teatro Comunale di Piombino, prodotta dal comune della città. L’associazione sta crescendo e stiamo lavorando ad alcune idee: dovremo fare la prossima Stagione di Teatro Ragazzi e metteremo in scena una nostra prima produzione teatrale, uno spettacolo per ragazzi su Leonardo da Vinci e la Monnalisa. È già terminato il primo periodo di prove, ed è uno spettacolo sui grandi fallimenti di Leonardo.

GF: Bello, molto significativo per dei ragazzi. Perché spesso la retorica di riuscire sempre nei propri obiettivi risulta davvero dannosa.

LF: Sì, e anche l’idea che i “grandi” non abbiano mai fallito. Lo spettacolo è ambientato durante il periodo della commissione della “Battaglia di Anghiari”, affresco che Leonardo da Vinci non ha mai realizzato perché avendo utilizzato una tecnica antica il suo lavoro si è sciolto, banalmente. Il testo è stato realizzato da noi e dagli attori in scrittura di scena, abbiamo lavorato con un cast composto da Ludovico Fededegni, Dalila Reas e me. Io e il mio socio Riccardo Bartoletti ci occupiamo anche della regia. È la storia della ricerca d’identità di Leonardo attraverso i suoi fallimenti mentre sta lavorando al quadro della Monnalisa. Lo spettacolo si chiama Io e Monnalisa e io interpreto due ruoli secondari, che sono Niccolò Machiavelli, che in quanto Gonfaloniere della Repubblica di Firenze commissiona l’affresco e Michelangelo Buonarroti che proprio in quel periodo aveva scolpito il David e a cui viene commissionato di dipingere la “Battaglia di Cascina” sulla parete di fronte a quella su cui Leonardo doveva realizzare quella di Anghiari. Neanche Michelangelo la farà, perché sarà chiamato da Roma lavorare alla Cappella Sistina, ma è comunque più “avanti”, tant’è che del Buonarroti abbiamo il cartone intero dell’affresco mentre di Leonardo non è rimasto niente. È stato bellissimo lavorare allo spettacolo perché, riprendendo il discorso di prima, Leonardo incarna perfettamente il legame tra arte e scienza, ma è stato interessante anche studiare il suo mondo mi ha permesso di scoprire lati della sua figura che sono molto più affascinanti dello stereotipo del genio “Re Mida” che faceva diventar oro ogni cosa che toccava, anzi è più il contrario. Tutto quello che lui pensava era oro, ma nel momento in cui provava a concretizzarlo la maggior parte delle volte non riusciva neanche a finirlo. Rispetto alla quantità di cose da lui progettate, le idee che poi effettivamente si sono tramutate in realtà sono l’un percento, è molto avvincente questo fatto che lui fosse un grande ideatore ma un pessimo realizzatore, almeno dal punto di vista quantitativo.

GF: Oltretutto una personalità che per quanto fosse grandiosa nella sua genialità non si è mai specializzata in nulla, un aspetto questo che Sgarbi definisce il grande difetto della nostra epoca, l’estrema specializzazione. Lui invece, figura geniale per antonomasia, ha avuto una mente fervida che si è sempre dedicata a tanti ambiti, esplorando e senza fermarsi mai.

LF: Sì, e sbagliando tantissimo.

GF: Molto interessante come progetto!

LF: Sì, è ciò a cui stiamo lavorando al Matan Teatro. Per il cinema invece c’è Comandante in uscita, ci sono un po’ di provini in ballo… si vedrà.

GF: Ho capito. Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato, ciao!

LF: Ciao!

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Gaia Fanelli,
Redattrice.