Il cinema scandinavo ha un modo particolare di raccontare storie. Quasi mai vi si trovano rappresentazioni melodrammatiche degli eventi, e nelle interazioni tra i personaggi il silenzio e gli sguardi riescono a essere più espressivi di qualsiasi dialogo (basti pensare all’ultima opera del regista finlandese Aki Kaurismäki). Le emozioni non vengono marcate quando non è necessario, gli attimi di silenzio e il linguaggio non verbale sono in grado di assumere una grande potenza espressiva.

Queste caratteristiche, insieme a molte altre, si ritrovano nelle opere del regista danese Thomas Vinterberg. Insieme al collega Lars von Trier, Vinterberg era stato negli anni ’90 uno dei fondatori di Dogma 95, un movimento cinematografico basato su precise regole riguardanti la realizzazione dei film. Contro l’impurità a cui i registi ritenevano che la settimana arte fosse giunta, i due cercarono di ritrovare l’integrità della tradizione, promuovendo una recitazione naturalista ed escludendo l’utilizzo di effetti speciali di certo tipo. Dogma 95 non ebbe vita lunga, ma il suo lascito è evidente anche nei capolavori successivi.

Il sospetto

Il sospetto (2012) è in minima parte ancora manifestazione di questo modo di intendere il cinema. Con una presenza molto scarsa di colonna sonora e un utilizzo della fotografia orientato al realismo, il film racconta la storia di Lucas (un come sempre magnifico Mads Mikkelsen), maestro d’asilo e padre divorziato. Lucas vive una tranquilla vita di routine con un lavoro modesto ma in grado di donargli serenità, un cane, degli amici e una fidanzata. Talvolta ha qualche discussione con l’ex moglie a proposito della custodia del figlio Marcus, ma per qualsiasi problema ha il sostegno del suo amico Theo, il padre di una delle bambine iscritte al suo asilo.

La piccola Klara è distratta, sensibile, sbadata, e molto affezionata al protagonista. Il bene che prova nei suoi confronti la porta -come talvolta capita con i bambini piccoli che devono ancora imparare a comprendere i sentimenti- a fargli diverse dichiarazioni d’amore che ovviamente vengono rifiutate con gentilezza. Il suo maestro le spiega con tranquillità di essere troppo grande per lei e che dovrebbe giocare con i bambini della sua età. Purtroppo questo consiglio mette Klara di cattivo umore, e senza dar peso alle parole esprime il suo odio verso l’amico del padre davanti a un’altra maestra, facendo passare il messaggio di essere stata molestata da lui.

Da questo momento in poi il panico inizia a prendere piede nella città, e dalla tranquillità iniziale, quando si pensava ci fosse una spiegazione, si giunge a un’onda d’odio che si riverbera su Lucas senza che egli abbia effettivamente fatto nulla. Perde il suo migliore amico, non può più ottenere la custodia ufficiale di suo figlio, è vittima di violenza fisica e verbale e vive pesanti umiliazioni ogni giorno.

La maestria del regista e sceneggiatore risiede soprattutto nella capacità di articolare la narrazione in modo da trasmettere allo spettatore l’angoscia dei fatti. Si verrà mai a capo di quanto avvenuto? No, non davvero, perché ormai contagiata dal terrore degli adulti Klara ha dimenticato cosa sia successo davvero, e quando prova comunque ad ammettere di aver mentito non viene creduta.

Il contrasto tra la gravità delle accuse e la personalità di Lucas è grande. Nessuno si sarebbe mai aspettato da lui un atto del genere, ma allo stesso tempo sarebbe stato davvero possibile ignorare l’ipotesi che fosse avvenuto? Il sospetto alimenta la paura e la rabbia di chi gli è intorno, arrivando ad oscurare i pensieri di chi prima lo amava.

La magnifica scena della messa durante la vigilia di Natale è il culmine di queste tensioni. La compostezza, malgrado tutto, sempre mantenuta da Mikkelsen nella sua interpretazione esplode in un grido di dolore che egli ormai non è più in grado di sopportare. Ma superato questo limite, nell’ultima parte del racconto, qualcosa sembra iniziare a riequilibrarsi e la comunità inizia lentamente a fare piccoli passi verso l’amico ostracizzato.

La società e il perdono

Due sono i grandi temi raccontati da Il sospetto. Il primo è certamente il modo in cui persino le dinamiche sociali più quiete possano vivere delle svolte terrificanti, quando -appunto- un sospetto vi si insinua come un virus e intacca sempre più gravemente le relazioni tra gli individui. Lucas (e noi con lui) vive un senso di profonda impotenza di fronte allo stravolgimento che la sua vita subisce, senza che ve ne sia motivo e senza che lui possa fare qualcosa per rimediare. Ogni possibilità sarebbe vana, se non contare sul buon senso dei suoi concittadini. Ma non è buonsenso anche cercare di preservare una comunità da un possibile pedofilo? Una vera soluzione non c’è, e il livore che il protagonista subisce anche da sconosciuti dimostra quanto perentorio e violento l’uomo possa diventare se le norme sociali favoriscono un comportamento simile.

Il secondo tema affrontato nel film è il perdono. Nell’epilogo del racconto ci troviamo un anno dopo i fatti successi, alla cerimonia per la consegna del porto d’armi a Marcus. Tutti sono presenti: la famiglia di Theo, gli amici di Lucas, diversi cittadini. Apparentemente le cose sembrano essersi risolte, ma non ci è dato di sapere come. Tutti sono felici e dimostrano di volersi un gran bene.

Viene spontaneo a questo punto interrogarsi su come sia stato possibile per un personaggio come il padre di Klara, riuscire a superare il dubbio che sua figlia abbia potuto essere oggetto di abusi e riprendere il rapporto stretto che aveva con Lucas. Chiaramente, da spettatori, siamo orientati nel corso del film a sperare che ciò avvenga, ma come avremmo reagito se non avessimo saputo la verità? Può davvero essere perdonabile il sospetto di qualcosa del genere, soprattutto da parte di un padre? La forza che la società dimostra nel riaccogliere Lucas è grande, ma il perdono in questo caso non è univoco. È anche il nostro protagonista a scusare gli amici per l’odio subito in diversi mesi. Li perdona per averlo creduto capace di un atto così orribile e per le molteplici forme di violenza inflitte, dimostrando un’ammirabile grandezza d’animo. Ma soprattutto perdona Klara, che prende in braccio alla fine della narrazione per aiutarla ad attraversare un pavimento che non voleva toccare. Mette da parte quanto avvenuto pur non avendola mai odiata per il suo comportamento, perché è consapevole che un vero colpevole non si possa indentificare. Lui è innocente, non ha fatto nulla di male. Klara è una bambina, è inconsapevole. E la società si comporta come una massa di persone agisce in occasioni così. È vittima del sospetto che, in modo silenzioso e nascosto, in realtà non potrà più davvero andare via.

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Gaia Fanelli,
Redattrice.