UNA (NON MOLTO) BREVE INTRODUZIONE SULLO SPAGHETTI WESTERN

Forse molti non sanno che l’espressione spaghetti western, spesso utilizzata per indicare solamente film di genere comico, è in realtà applicabile a tutto il western prodotto in Italia. Infatti, come ricorda Christopher Frayling nel suo libro Spaghetti Westerns: Cowboys and Europeans from Karl May to Sergio Leone, il termine era stato coniato dai giornalisti in forma dispregiativa, come indicazione di una forma di western “inautentico” rispetto a quello “vero” e americano. 

Sebbene in Italia sia presente come genere già dagli anni ‘40, è solo nella seconda metà degli anni ‘60 che esso prende piede. Ciò avviene grazie a un unico film che muta per circa un decennio il panorama produttivo italiano: Per un pugno di dollari di Sergio Leone

Con questa pellicola il regista mostra la via da seguire per smarcarsi dai corrispettivi americani. In Guida alla storia del cinema italiano Brunetta nota come Leone assuma una diversa strutturazione temporale rispetto ai classici statunitensi, con l’opposizione tra la dilatazione dei momenti di quiete e la rapidità degli scontri armati (esempio lampante è l’inizio di C’era una volta il West), e come ci sia una diversa moralità a guidare i protagonisti. Infatti l’eroe di Leone è una figura silenziosa, mossa da motivazioni non sempre chiare, ma assolutamente fatale nel suo percorso. 

Fondamentale è la musica, scritta nel caso di Per un pugno di dollari da Ennio Morricone, il cui sound fungerà da punto di partenza per tutti i western a venire. Morricone, infatti, crea una colonna sonora rivoluzionaria, che mescola strumenti inediti per il genere (prima su tutte la chitarra elettrica) con suoni come fischi, rumore di fruste e voci umane.

Questi western sono inoltre molto più violenti rispetto ai loro corrispettivi americani. Tale dimensione verrà esasperata da altri registi successivi a Leone, abbracciando gli intenti di un altro grande genere di quegli anni: il film politico. Il western può caricarsi così di importanti valenze. Pensiamo solo alla rilettura di Tarantino dei film di Corbucci, presentata nel documentario Django & Django (2021, Luca Rea): uno dei punti cardine del suo pensiero è che i cattivi rappresentino il fascismo.

Grazie a Leone il western divenne uno dei generi più amati e realizzati in Italia, tanto che si parla di circa 500 film western girati nel nostro paese (spesso in coproduzione) in appena 10 anni. 

Verso l’inizio degli anni ‘70 il genere subisce la sua trasformazione probabilmente più conosciuta, sfociando in una dimensione comica e farsesca di cui ricordiamo come esempio Lo chiamavano Trinità… (1970, E.B. Clucher): le beghe non si risolvono più con le pistole, ma a schiaffoni; niente più eroi seriosi, ma personaggi allegri e sbruffoni. 

In quest’ottica di trasformazione si inserisce un film molto interessante che rappresenta perfettamente l’opposizione tra le due anime dello spaghetti western: la più austera, figlia di Leone, e quella comica, che aveva in Bud Spencer e Terence Hill i più importanti rappresentanti. E proprio Terence Hill è protagonista, assieme a un volto iconico del genere western, Henry Fonda, di Il mio nome è Nessuno (1973, Tonino Valerii). Quest’ultimo interpreta il cacciatore di taglie Jack Beauregard. Hill è invece un viandante senza nome (come un moderno Ulisse si fa chiamare solo “Nessuno”), appassionato dai racconti del passato leggendario di Jack. Questi vorrebbe chiudere la sua carriera silenziosamente, ma Nessuno cerca in tutti i modi di convincerlo a un’ultima, titanica impresa degna del suo nome: la sconfitta del “Mucchio Selvaggio”, un immenso battaglione di cavalieri. 

IN PARTE LEONE, IN PARTE VALERII

Partiamo da una premessa fondamentale: Il mio nome è Nessuno è, in parte, anche un progetto di Sergio Leone. Infatti, egli era stato autore del soggetto, ma si era deciso a non dirigere il film perché sentiva di aver già chiuso col genere che gli aveva dato la fama. Nonostante ciò, il suo intervento è evidente nella scelta dei collaboratori: alla regia Tonino Valerii, suo storico assistente; alla musica Ennio Morricone; infine, nella parte di uno dei protagonisti, Fonda, che aveva diretto cinque anni prima in C’era una volta il West. Inoltre, nel film viene indirettamente citato Sam Peckinpah, con cui secondo voci di corridoio Leone aveva avuto degli screzi poiché aveva rifiutato la regia di Giù la testa. In Il mio nome è Nessuno non solo Fonda, l’eroe rappresentante del cinema di Leone, si scontra con un gruppo di personaggi chiamati “Mucchio selvaggio” come il film più famoso del regista americano, ma addirittura il nome di Peckinpah è presente su una lapide.

Sam Peckinpah

Tuttavia, pochi mesi prima della morte di Leone è emerso anche un altro dettaglio interessante: il  regista infatti ha ammesso, in un’intervista con Francesco Mininni, di aver diretto personalmente alcune delle scene più memorabili e che effettivamente ricordavano di più la sua mano. L’opposizione tra i toni che si crea non stona, anzi: la dicotomia è l’anima stessa del film.

FONDA VS HILL: DICOTOMIE STRUTTURALI

Fonda e Hill rappresentano abbastanza chiaramente, fuori e dentro il film, le due diverse tendenze del western. Beauregard è un pistolero che preferisce la solitudine, malinconico e ripiegato su sé stesso; Nessuno, dall’altra parte, è giocherellone, ama il bere, le donne, i fagioli.

Se Beauregard si difende con le pistole, riproponendo il modello del classico showdown, Nessuno, pur sapendo sparare, preferisce usare le armi per vincere a un drinking game e tirarsi fuori da situazioni spinose con la sua parlantina e la sua intelligenza. Per rappresentare la dicotomia fondamentale tra i due basterebbero l’inizio e la fine del film: in due situazioni sostanzialmente analoghe (un tentato omicidio durante una sessione dal barbiere), Beauregard intimidisce l’avversario con una pistola, Nessuno… col proprio dito!

Anche la musica contribuisce a differenziare i personaggi. Infatti, il tema di Nessuno è allegro, fa uso di strumenti che creano un’illusione di leggerezza, come il flauto e lo xilofono. La melodia viene accompagnata da dei cori femminili che sostengono il brio. In Buona fortuna Jack, invece, il tono è molto più dimesso, e la voce di una donna solista, che ci riporta alla mente C’era una volta il West, non serve a dare allegria alla musica, ma piuttosto a confermarne la gravitas. Se il primo tema ricorda il Morricone brillante di commedie come Bianco, rosso e verdone (1981), il secondo richiama in maniera esplicita la tradizione del western che lo stesso Morricone ha contribuito a fondare.

A ogni personaggio, infine, corrisponde anche un proprio tono. Se le scene con protagonista Fonda (guarda caso proprio quelle dirette da Leone) sono epici duelli che si concentrano sui dettagli, sui tempi dilatati, sui silenzi e sui rumori, quelle in cui appare Nessuno lo vedono protagonista di situazioni più triviali: pesca a mani nude, sessioni in orinatoio, scommesse. Quando poi c’è da usare la violenza, questa è una violenza slapstick con tanto di effetti sonori e leggi della fisica degne di Willy Coyote, con una difesa che passa principalmente attraverso schiaffi.

Ciò non vuol dire comunque che manchino soluzioni registiche interessanti legate al personaggio di Hill: semplicemente, il vecchio mondo che Beauregard rappresenta porta con sé un’epicità, un respiro immane che difficilmente anche un volto promettente come Nessuno potrebbe replicare.

Nel film i due toni, l’epico e il triviale, si trovano a convivere, all’inizio in maniera semi antagonistica, come i due protagonisti, poi sostenendosi vicendevolmente col trascorrere delle vicende. Un esempio calzante è la scena in cui Nessuno e Jack si scontrano in un duello “alla Leone”: all’incredibile serietà richiamata dall’uso delle inquadrature si accompagna la gag del fotografo che chiede a Nessuno di spostarsi per fare una foto migliore

UN PASSAGGIO DI TESTIMONE

Ma Il mio nome è Nessuno non è soltanto un esperimento di stile che gioca con gli stilemi dello spaghetti western. 

Durante il corso del film, le differenze dei due protagonisti si giocano anche su base anagrafica. L’abilità di Jack con le armi deriva dalla sua lunga esperienza, come anche la tendenza alla solitudine e al ripiegamento interiore nasce dal tempo passato, che ha ormai avuto un effetto su lui. I segni dell’età cominciano inoltre a farsi sentire: nel corso del film lo vediamo indossare degli occhialetti da vista, anche nel momento topico in cui deve sparare: un leggendario pistolero la cui arma migliore si sta deteriorando.

Nessuno, al contrario suo, è giovane, un volto fresco, non ancora gravato da anni di sotterfugi e di perdite, ancora capace di “giocare”.

Nella parte finale, Nessuno aiuta Jack a concludere la sua carriera col botto, permettendogli così di raggiungere lo status di leggenda. Secondo Nessuno, le favole e le leggende sono fondamentali perché “un uomo che è un uomo deve credere in qualcosa”. Quel qualcosa, in questo caso, sono i valori tramandati dalle vicende di grandi eroi della frontiera come Jack, quindi, del western tradizionale. Allo stesso tempo, Jack se ne va per un motivo solo apparentemente semplice: questo West è molto diverso da quello “immenso, sconfinato, deserto” in cui ha compiuto le sue imprese. “(…) Anche la violenza è cambiata, si è organizzata, e un buon colpo di pistola non basta più”, e dunque anche un mito come Jack Beauregard ha ormai esaurito la sua funzione. L’unica cosa che può ancora fare, l’unica utilità che gli resta, è appunto quella di diventare punto di riferimento per tutti i futuri Nessuno.

Con il proprio finale, quindi, Il mio nome è Nessuno porta su schermo un ricambio generazionale, un passaggio di testimone dal vecchio, silenzioso Jack Beauregard al giovane e ciarliero Nessuno. Un passaggio di testimone che avviene nel segno di ciò che è stato ma che è anche foriero di una nuova attitudine: Jack infatti scrive a Nessuno “(…) Una cosa la puoi ancora fare: conservare un po’ di quella illusione che faceva muovere noialtri, quelli della vecchia generazione. E anche se lo farai col tuo solito tono da burla, noi te ne saremo grati lo stesso”

Simbolicamente, così, il western di Leone lascia spazio alla sua giovane, farsesca appendice, dandogli il permesso di far sopravvivere il vecchio West (che ormai tanto vecchio non è più) in una forma nuova ma fedele alle sue origini. “Perché questo è il tuo tempo, non più il mio”.

Conoscendo l’importanza di Leone dietro le quinte, possiamo forse dire che questa sia stata una maniera di dare la propria benedizione a tutti quelli che sarebbero venuti nel suo segno, mantenendo viva la fiammella di quell’immenso West che aveva creato in Per un pugno di dollari e poi disfatto in C’era una volta il West? Difficile a dirsi: tutto ciò che potremmo dichiarare al riguardo sarebbe solo speculazione, solo favola. Certo è che, come senza Jack Beauregard non c’è Nessuno, senza Henry Fonda non c’è Terence Hill, senza Sergio Leone non ci sarebbero stati tanti registi, molti dei quali in erba, che hanno tentato la grande avventura del selvaggio Ovest.

Questo articolo è stato scritto da:

Silvia Strambi, Redattrice