Dall’horror al cinema action, dallo space movie al più atipico western tarantiniano, dalle prigioni della mente di una terrificante isola-manicomio a un gelido hotel in cui impazzire insieme a tutta la famiglia. Da sempre il cinema vive dei luoghi che crea e che popola, e non sono pochi i casi di film in cui lo scenario in cui si svolge la vicenda sia non solo centrale ma anche determinante per molti aspetti dello sviluppo di trama e personaggi (basti pensare, oltre a quelli già richiamati, al recente The Father).
Luoghi chiusi e senza via d’uscita, a tratti da incubo e claustrofobici, spesso atti a rappresentare i luoghi della mente e le sue prigioni, o ancora a raccontare di veri incubi con cui non vorremmo mai doverci confrontare.
L’abilità di coloro che scrivono o dirigono questo tipo di film risiede, il più delle volte, nella capacità di saper caratterizzare un luogo, fino ad elevarlo al rango di vero protagonista della vicenda. Di seguito vi proponiamo una lista di cinque film – decisamente molto diversi tra loro per genere e “impegno” – che per un motivo o per l’altro ruotano attorno a precisi luoghi, spesso opprimenti e claustrofobici.
PANIC ROOM
Quinto lungometraggio di David Fincher, arriva nelle sale nel 2002, a tre anni di distanza da Fight Club. Il film ha come protagoniste Jodie Foster e Kristen Stewart nei panni di Meg e Sarah, una madre fresca di divorzio e della figlia adolescente. Le due, proprio a seguito della separazione di Meg dal marito, si trasferiscono in una lussuosa abitazione a due passi da Central Park. La casa è immensa e dislocata su più piani e, al suo interno,nasconde una stanza segreta, la panic room del titolo, blindata e totalmente impenetrabile una volta che ci si è chiusi all’interno. La stanza diventa il vero centro nevralgico di tutta la vicenda quando, durante la prima notte nel nuovo appartamento, madre e figlia sono costrette a nascondersi al suo interno dopo che tre rapinatori fanno irruzione in casa. Peccato che ciò che i tre stanno cercando si trovi proprio all’interno della panic room. Thriller da camera che riflette il terrore provato nei confronti dell’esterno che si respirava in quel periodo negli Stati Uniti, Panic Room non è certo il più citato tra i film di Fincher, e in effetti riesce meno di altri a tenere lo spettatore costantemente con il fiato sospeso. Ogni cosa è fin da subito (troppo) chiara: le identità dei ladri, l’obiettivo della rapina e il posto in cui è nascosto. L’elemento d’interesse più rilevante è proprio l’ambientazione: la casa ed in particolare la stanza segreta sono descritte e costruite quasi al pari di due personaggi: salvezza o trappola, alleate o nemiche.
CUBE
Opera prima del regista canadese Vincenzo Natali, Cube è un film fantascientifico del 1997, una pellicola che intrattiene senza troppe pretese ma che presenta comunque alcuni punti d’interesse. Diversamente da Panic Room, qui spettatori e protagonisti non sanno assolutamente nulla di quello con cui hanno a che fare. La trama non è molto complessa: un gruppo di sconosciuti si sveglia all’interno di un’immensa struttura cubica e labirintica, non avendo alcuna memoria di come siano finiti lì dentro. La struttura, il cubo, è un labirinto apparentemente senza via d’uscita, un susseguirsi di stanze cubiche collegate tra loro attraverso botole e disseminate di trappole letali. Una trama semplice che parte da un marchingegno diabolico progettato su basi matematiche e che tramite un climax di ansia e claustrofobia getta gli spunti per una riflessione forzatamente nichilista sulla natura umana e sulla scia del classico homo homini lupus.
Sebbene recitazione e dialoghi lasciano a tratti a desiderare (il film è sicuramente figlio di un certo cinema d’intrattenimento anni ‘90), è interessante vedere come il film lavori e sviluppi trama e riflessioni a partire da un’ambientazione tutto sommato semplice ma che non si svela mai totalmente nella sua totalità nè nelle sue ragioni d’essere.
ROOM
Dalla fantascienza al dramma, Room è tratto dal best seller mondiale di Emma Donoghue, a sua volta ispirato a un celebre caso di cronaca nera.
In questo caso, la stanza del titolo non solo è il pretesto della narrazione ma, per il piccolo Jack (Jacob Tremblay), è tutto il mondo. La madre Joy (Brie Larson), infatti, da sette anni vive rinchiusa in un’angusta stanza, un vecchio capanno in cui è stata portata a seguito del suo rapimento. La donna, dopo aver subito abusi da parte del rapitore, è rimasta incinta, e così Jack, figlio di uno stupro, è nato proprio in quella stanza, che è il suo mondo e, al contempo, la sua prigione.
Un film di ristretti spazi interni e interiori, fisici e mentali, che a un certo punto si scontrano con ciò che non si conosce, che questa volta è rappresentato dall’esterno, la libertà che Jack non sapeva di non conoscere. Room crea intelligentemente un gioco di parallelismi e dolorosi scontri tra la sicurezza intima dei luoghi che conosciamo e dei rapporti (unici) a cui ci aggrappiamo e un senso di soffocamento incessante e violento, che lascia lo spettatore spaesato e annaspante. A completare questo riuscito dramma “casalingo” anche due interpretazioni, finalmente, davvero convincenti.
IL BUCO
Aggiunto al catalogo Netflix nel 2019, Il buco è un film horror spagnolo che ha fatto parecchio parlare di sé. Diretto dall’esordiente Galder Gaztelu-Urrutia Munitxa, la pellicola è una critica socio-politica dalle inquietanti fattezze. Anche qui l’azione si svolge interamente all’interno di un unico, scarno e opprimente set, una sorta di prigione verticale organizzata su più livelli. Al centro della struttura c’è il buco, attraverso il quale ogni giorno passa una piattaforma piena di vivande che scende fino al piano più basso svuotandosi via via fino a contenere solo avanzi. Periodicamente i detenuti vengono spostati di livello, così che coloro che stavano in cima, sazi e ben nutriti, da un giorno all’altro possono ritrovarsi nei livelli più bassi della prigione a patire la fame. Così come in Cube, l’ambientazione funge da spunto per impostare una metafora sulla stratificazione sociale, sulla disuguaglianza e sulla devianza, ma questa volta la costruzione e decodifica dell’intero sistema non si basano su precise risposte matematiche, quanto più sulla reale cooperazione ed empatia tra tutti i prigionieri delle decine e decine di livelli.
UNA NOTTE DI 12 ANNI
A conclusione di questa lista di film claustrofobici, una pellicola originaria dell’Uruguay presentata alla Mostra del cinema di Venezia nel 2018. Il film è diretto da Álvaro Brechner e racconta la storia vera di tre prigionieri politici nell’Uruguay del 1973. In un paese controllato da una violenta dittatura militare, gli oppositori (il movimento di guerriglia dei Tupamaros) vengono torturati e imprigionati e alcuni di essi, una notte, vengono prelevati dalle loro celle per un’operazione militare segreta che durerà, sulla loro pelle, dodici anni. Dodici anni di buio, silenzio e solitudine durante i quali l’unico obiettivo è condurre i prigionieri alla follia, distruggendo la loro resistenza psicologica.
Una notte di 12 anni è un’opera di cinema civile che porta all’esterno e alla luce i traumi personali e nazionali. Il film, diversamente dai precedenti, non si svolge all’interno di un unico luogo, ma vive dell’alternanza di carceri e caserme diverse, luoghi isolati e fatiscenti in cui perdere il senno e l’umanità. Il senso di oppressione è continuo, tanto che, persino nelle scene in esterna, il buio e il senso di totale vuoto delle celle ci seguono con prepotenza e, se in questo caso la prigione non diventa mai un vero personaggio, sicuramente essa si fonde con i prigionieri dando vita a luoghi – fisici e mentali – davvero infernali.
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