Il 5 novembre 2023 torna al cinema Il Grande Lebowski, capolavoro del 1998 scritto e diretto da Joel e Ethan Coen. Restaurato in 4K e distribuito dalla Cineteca di Bologna nell’ambito del progetto Il Cinema Ritrovato, il cult movie dei fratelli Coen è considerato da molti il punto più alto della carriera dei due registi, sia da un punto di vista tecnico che dalla prospettiva concettuale. Nonostante fosse stato accolto gelidamente al tempo della sua uscita nelle sale, con il passare degli anni Il Grande Lebowski ha maturato una consistente influenza culturale, tanto da ottenere di essere preservato, a partire dal 2014, presso il National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Il ritorno al cinema del film dei Coen, a venticinque anni dalla sua uscita, è indice di questa consistente influenza non solo nella storia della Settima Arte, ma anche su intere generazioni. In occasione di questo compleanno così speciale, ci concentreremo su tre aspetti che, fra gli altri, hanno determinato il successo della pellicola, nonché la sua imperitura iconicità.
La filosofia del Drugo
Protagonista assoluto della pellicola è Jeffrey Lebowski, detto Drugo (in originale: “The Dude”), interpretato dal mattatore Jeff Bridges: è un fannullone, un antieroe pigro e svogliato che conduce le sue giornate consumando marijuana e bevendo White Russian, frequentando di tanto in tanto la sala da bowling con gli amici Walter e Donny.
[…] a volte si incontra un uomo, non dirò un eroe… perché, che cos’è un eroe? Ma a volte si incontra un uomo, e sto parlando di Drugo, a volte si incontra un uomo che è l’uomo giusto al momento giusto nel posto giusto, là dove deve essere. E quello è Drugo, a Los Angeles.
– Lo Straniero/Rotolacampo
Malgré lui, Drugo viene coinvolto in un’assurda avventura fatta di rapimenti, debiti, nichilisti e film dell’industria pornografica, solamente in seno a un caso di omonimia. L’altro Jeffrey Lebowski è un magnate miliardario dai comportamenti eccessivamente teatrali, costretto sulla sedia a rotelle a seguito di una grave incidente accaduto durante la Guerra di Corea; non è un “Drugo”, bensì “Il” grande Lebowski, amato dai più per il suo “grande” cuore e la sua misericordia verso i meno fortunati. Drugo, dal canto suo, trascorre le sue giornate senza svolgere alcun tipo di lavoro, indossando sempre gli stessi abiti: prende la vita così come viene.
Due persone realmente esistite sono state la fonte d’ispirazione per il concepimento di Drugo. Il primo è il produttore cinematografico Jeff Dowd, membro degli attivisti Seattle Seven, il quale funge da ispirazione per lo spirito hippy del protagonista, nonché per la capigliatura sbarazzina e la passione per il White Russian. Il secondo è il veterano del Vietnam Peter Exline, il quale pur vivendo in uno squallido appartamento di Los Angeles, andava molto fiero del proprio tappeto che, come dice Drugo, “dava tono all’ambiente”.
Questa combinazione di elementi, condita con l’eccezionale carisma di Jeff Bridges – all’epoca già una star di Hollywood – ha decretato il successo di questo personaggio sconclusionato e irriverente. Basti pensare che, in nome della “filosofia del Drugo”, è stata fondata una nuova religione, il Dudeismo, una corrente di pensiero il cui scopo è la diffusione dello stile di vita di Drugo, con tanto di festività e ricorrenze dudeiste. Ritornando a un punto di vista meramente profano, il protagonista de Il Grande Lebowski rappresenta, forse, un modello al quale molti spettatori vorrebbero aderire, nel proprio inconscio: Drugo è una persona liberata da ogni preoccupazione indotta dalla società, non necessita dell’approvazione altrui e trascorre le sue giornate senza pensare a cosa ne sarà di lui, l’indomani. Forse agli occhi di noi contemporanei, immersi costantemente in un flusso inarrestabile di impegni, scadenze e preoccupazioni, la filosofia del Drugo può parere tanto assurda quanto la struttura narrativa dell’intero film: per noi, dunque, che siamo così tediati o dipendenti dalla “Fear of Missing Out”, e che forse dovremmo fermarci un solo istante per riflettere sul flusso nel quale ci siamo ritrovati.
Lo spettro dei conflitti
Smokey, amico mio, stai per entrare in una valle di lacrime.
– Walter estraendo una pistola
Uno dei personaggi più iconici del film è sicuramente Walter Sobchak, interpretato da John Goodman. Walter è un veterano della Guerra del Vietnam, irascibile e corrotto dalle reminiscenze del conflitto al quale ha partecipato. È l’amico più caro di Drugo, con il quale, tuttavia, non manca di litigare anche su questioni del tutto minime o marginali. Tuttavia, scavando oltre la scorza comica che adombra il suo ruolo nella pellicola, Walter rappresenta una dura critica alla Guerra del Vietnam e un’aperta denuncia verso il trattamento che, a partire dagli anni Settanta, è stato riservato ai veterani negli Stati Uniti. Egli non manca mai di rammentare alle persone che gravitano intorno alle vicende la sua sofferenza in quanto reduce: esemplare, in questo senso, la sua risposta alla cameriera di un ristorante in cui Drugo e Walter s’incontrano per discutere sull’evoluzione delle vicende («Signora, ho visto i miei amici morire con la faccia nel fango perché io e lei ci godessimo questo ristorante per famiglie!»).
Tuttavia, il Vietnam non è la sola guerra ad aleggiare nel corso del film: il “Grande” Lebowski, infatti, è paraplegico a seguito di un attacco subito durante la Guerra di Corea; il film stesso è ambientato nel periodo del conflitto con Saddam e l’Iraq, come ci dice la voce fuoricampo all’inizio del film. Questa rimarcata presenza del conflitto nel lungometraggio non rappresenta solo un’aperta denuncia dello stesso da parte dei Coen: da un lato, l’assurdità di ogni tipo di guerra – passata, presente e futura – viene posta sullo stesso piano dell’assurdità della trama del film – il quale, in questo senso, non risulta essere tanto più assurdo se comparato ai conflitti; dall’altro, la presenza di Drugo quale elemento cardine del film (in virtù di tutti gli aspetti che abbiamo considerato nel paragrafo a lui dedicato) rimarca ancora una volta la negazione di ogni forma di guerra e, di contrasto, l’esaltazione di quella “filosofia del Drugo” che, da una prospettiva oggettiva, racchiude un pacifismo intrinseco difficile da criticare.
L’assurdo nell’ordinario, l’ordinario nell’assurdo
Il Grande Lebowski inizia con un rotolacampo che ruzzola per le strade di Los Angeles. «Nel lontano Ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi» sono le sue prima parole: solo nel corso del film scopriremo che quella voce appartiene a uno Straniero, un cowboy senza nome interpretato dall’iconico Sam Elliott, che funge da grande narratore onnisciente delle vicende.
In termini generali, sia il voice-over che la struttura narrativa del film sono ambedue ispirati ai romanzi polizieschi di Raymond Chandler – in particolare, al libro Il grande sonno del 1939 – il che giustifica anche la scelta di ambientare le vicende a Los Angeles. A questa ispirazione letteraria, tuttavia, si aggiungono gli elementi dell’assurdo tipici del cinema dei Fratelli Coen inseriti in ambienti corroborati da cliché “Anni Sessanta”, come i riferimenti alla cultura hippy e il bowling. Tuttavia, l’apice dell’estetica dell’assurdo viene raggiunta nelle iconiche sequenze oniriche, le cui atmosfere stilizzate sono state perfettamente rese sia dalla scenografia dal gusto retrò, sia dalle coreografie dirette da Bill e Jacqui Landrum, sia dalla fotografia di Roger Deakins.
La straordinaria commistione fra assurdità e quotidianità è uno degli elementi che ha decretato l’immortalità della pellicola di Joel e Ethan Coen: non un dualismo, bensì un’intelligente convivenza che, in rapporto a guerre, conflitti e loschi affari, non appare così impossibile. E dunque, che dire ancora? «Io spero che vi siate divertiti e che ci vedremo ancora lungo il cammino».
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