Torna al cinema in questi giorni il film d’esordio di Sofia Coppola: Il giardino delle vergini suicide (The Virgin suicides), uscito per la prima volta nel 1999 negli USA e nel 2000 in Italia. Si tratta di un adattamento dell’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides (1993).

Ci troviamo in Michigan, nella prima metà degli anni Settanta. Le sorelle Lisbon, Therese (Leslie Hayman), Bonnie (Chelsea Swain), Lux (Kirsten Dunst) e Cecilia (Hanna R. Hall) hanno una vita apparentemente perfetta e due genitori estremamente severi. Cecilia muore al secondo tentativo di suicidio, ma i genitori fanno in modo che il fatto venga trattato come un incidente. Quattro ragazzi del quartiere, nonché compagni di scuola delle sorelle, da quel giorno si rendono conto della vita isolata che conducono e diventano ossessionati dall’idea di indagare: prima passando più tempo con loro e poi, quando la madre le chiuderà in casa, cercando di comunicare attraverso la posta e i segnali dalla casa di fronte. Tutta la storia è raccontata in forma di flashback da uno di loro.

L’ennui

Il film è pervaso in maniera sottile da un’atmosfera malinconica, ma comunque abbastanza percepibile soprattutto nelle scene girate all’esterno, dove è più evidente un uso strumentale della fotografia. L’estetica che negli anni ha reso la cifra stilistica di Sofia Coppola qualcosa di riconosciuto e riconoscibile, tanto che lei stessa l’ha definita il suo personale female gaze, è già presente in questa pellicola. Dai colori opachi alla perfezione di acconciature e vestiti, questi ultimi marcatamente femminili e troppo infantili per l’età delle protagoniste, ogni immagine stride con la gravità dei fatti e le allusioni alla tragedia in corso. Le sorelle Lisbon rimangono composte e impassibili quasi in ogni momento, al punto che nemmeno il giorno in cui tornano a scuola dopo la morte di Cecilia appare diverso dagli altri. Il difetto che si può trovare a quest’opera prima è forse proprio uno sbilanciamento verso la rappresentazione di questa dissonanza, con una grande attenzione anche ai dettagli scenografici a scapito dei dialoghi, che non permette alla drammaticità dei fatti di emergere completamente. Le immagini, tra cui alcune sequenze che ricordano volutamente un videoclip musicale, sono accompagnate da una colonna sonora altrettanto sommessa e distaccata, quasi interamente costituita da un sottofondo ambient. L’album in questione era stato composto appositamente dal duo francese AIR, che la regista aveva contattato di persona, e venne poi pubblicato nel 2000 con l’etichetta discografica Source di Virgin Records.

Dietro l’immagine

Negli unici momenti in cui le sorelle vengono lasciate a loro stesse la patina eterea del racconto svanisce, in particolare dentro la casa o durante il ballo: scene nelle quali si comportano come adolescenti normali al pari delle loro controparti maschili. La parte più interessante di Virgin Suicides non è quindi la vicenda in sé quanto il fatto che le protagoniste non siano mai libere di raccontarla in prima persona. Così come a raccontarle come bambine che hanno bisogno di stretta sorveglianza sono i genitori, in particolare la madre, a renderle speciali agli occhi dei vicini e dei ragazzi è l’idolatria con la quale le osservano questi ultimi, idolatria che li tiene necessariamente a distanza. L’impossibilità di conoscerle aumenta a sua volta a dismisura il senso di mistero, ingigantendo ogni dettaglio che si riesce a racimolare fino a creare di fatto degli esseri mitologici.

Il tentativo dei ragazzi di decifrare i loro segnali è fallimentare perché si ostina a partire dal presupposto di dover capire qualcosa di alieno. Alla fine non ignorano quello che è accaduto, al contrario della comunità intorno a loro, ma rimangono comunque spettatori esterni.

La vera tragedia, in questo coming of age troncato a metà nel quale le storie d’amore restano a malapena abbozzate e metà dei personaggi scompare nel nulla, è il fatto che le protagoniste non siano protagoniste. Le sorelle Lisbon sono vittime delle narrazioni altrui, cercano nei loro coetanei una via di fuga e non la trovano, nonostante la grande attenzione riservatagli dagli stessi, poiché questi sono accecati da un fascinazione che non permette di ascoltare realmente.

“Obviously, Doctor, you’ve never been a 13-year-old girl.” -Cecilia.

Federica Rossi,
Redattrice.