Riscoprire un classico del cinema italiano, scontrandosi con un classico della letteratura italiana
Il romanzo Il Giardino dei Finzi Contini, capolavoro dello scrittore ferrarese Giorgio Bassani è considerato da sempre uno dei principali esempi di prosa narrativa italiana del secolo scorso. Pubblicata per la prima volta nel 1962 e riprendendo le vicende della ricca famiglia ebrea dei Finzi Contini già apparsa in un racconto del 1955, l’opera è stata oggetto di numerose riscritture nel corso degli anni fino all’edizione definitiva del 1980, oltre ad essere stata inserita nella Raccolta Il Romanzo di Ferrara, corpus pressoché integrale delle opere di Bassani, tutte ambientate nella sua città Natale.
Fin dalla sua uscita il film è stato oggetto dell’attenzione dei produttori cinematografici italiani e fu messo in lavorazione un progetto per la regia di Valerio Zurlini. Tuttavia fu subito accantonato ed entrò in gioco il maestro Vittorio De Sica, mentre il ruolo di Bassani, inizialmente consulente alla sceneggiatura, fu presto compromesso. L’autore dell’opera originale disconobbe il film durante la lavorazione a causa di radicali divergenze artistiche con De Sica macchiando i titoli di testa con la temutissima dicitura “liberamente tratto da”. Nonostante le reticenze di Bassani il film ha avuto da subito grande successo, diventando probabilmente il più celebrato tra gli ultimi film di De Sica, che nello stesso anno fa uscire I Girasoli e morirà pochi anni più tardi, nel 1974 a causa di un tumore polmonare. Vincerà vari premi tra cui l’Orso d’Oro a Berlino, l’Oscar al Miglior Film Straniero (più una nomination per la Miglior Sceneggiatura non Originale a Ugo Pirro e Vittorio Bonicelli) e il David di Donatello per il Miglior Film più un David Speciale a Lino Capolicchio.
Giorgio (Lino Capolicchio) è un giovane studente di lettere di Ferrara, rampollo dell’alta borghesia ebraica negli anni ’30 oggetto delle leggi razziali fasciste. Insieme ad una serie di amici, ebrei o invisi al regime fascista a cui era precluso l’accesso ai circoli pubblici, passa il suo tempo libero nel magnifico giardino di Villa Finzi Contini. I due esponenti più giovani della famiglia sono Micol (Dominique Sanda) tanto avvenente quanto risoluta, e Alberto (Helmut Belger), timido e di salute cagionevole. L’amore a malapena ricambiato di Giorgio verso Micol si mescola alle sue ambizioni letterarie e alla ricerca del suo posto nella società borghese ebraica, ma l’inasprimento delle politiche razziali sconvolgerà le vite di tutti i protagonisti
È evidente che la scelta stilistica caratterizzante del romanzo, ovvero la narrazione in prima persona del protagonista rimasto anonimo (ma chiaro avatar di Bassani, a cui il personaggio del film ruba il nome di battesimo), difficilmente avrebbe potuto trovare una trasposizione altrettanto efficace al cinema. Viene anche meno quella dimensione eterea del Giardino del titolo. Quel luogo quasi fatato descritto da Bassani, celato dietro quel gigantesco muro al cinema non sembra avere nulla di magico e disorientante, risultando solo ciò che effettivamente era: un immenso giardino di una villa meravigliosa appartenente ad una famiglia ricchissima ma prigioniera della propria condizione di ebrei perseguitati, ma in secondo luogo anche di borghesi ricchi e legati da troppe briglie sociali e benpensanti
Briglie che si vedono soprattutto nell’altra famiglia, quella di Giorgio, il cui padre inizialmente è (o almeno appare) molto meno critico nei confronti del fascismo a cui ha anche aderito. Giorgio è senza dubbio avverso al nazismo e al fascismo ma in condizioni normali si sarebbe trovato probabilmente a suo agio nell’ingessata borghesia ferrarese, al contrario dei due fratelli Finzi Contini: Alberto debole e forse celatamente omosessuale, Micol determinata e poco compatibile con l’amore ingenuo di Giorgio. Le differenze tra i tre sono accentuate ulteriormente dal differente rapporto con il personaggio di Giampiero Malnate, dissidente comunista. Interpretato dal futuro divo della televisione Fabio Testi, Malnate è infatti figura dominante (e forse infatuazione) per Alberto, amante per Micol e rivale ideologico (oltre che sentimentale) per Giorgio.
Le dinamiche tra questi personaggi integrandosi con il dramma della deportazione e della coscrizione danno vita ad un racconto elegantissimo e drammatico, penalizzato però da un approccio eccessivamente realista, che allo spettatore può anche risultare freddo, forse anche a causa della durata contenuta che condensa un po’ le emozioni. Il meraviglioso comparto scenico e l’iconica colonna sonora di Manuel De Sica fanno da contraltare. Il risultato è un film certamente memorabile, che a distanza di cinquant’anni è degnissimo di essere ricordato, ma che forse lascia l’amaro in bocca e ci fa immaginare un film diverso: quello mai compiuto da Zurlini, che probabilmente avrebbe potuto avvicinarsi di più alla sensibilità di Bassani.
Scrivi un commento