Nel 2024 ha compiuto 50 anni Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma, musical rock che nel 1974 ha sancito la fama internazionale del regista consentendogli di diventare l’artista di successi come Carrie – Lo sguardo di Satana, Scarface, The Untouchables – Gli intoccabili e molti altri. Pur essendo un flop di critica e pubblico, Phantom of the Paradise ha guadagnato col tempo lo status di cult, influenzando in maniera indelebile la cultura pop e fornendo per esempio l’ispirazione per i costumi dei Daft Punk, con tute di pelle nera e maschere argentate come il Fantasma del film.
Da un lato è il tipico film di un regista più o meno esordiente, denso di temi, ricco di rimandi cinematografici e ispirato ad altisonanti referenze letterarie, dall’altro sono già presenti in questo film tematiche ricorrenti del cinema di De Palma (il voyeurismo, la ri-mediazione dell’immagine, citazioni a grandi registi) e soprattutto un utilizzo della voce come mezzo di definizione dell’identità. Il twist deriva dall’ambientazione, che è quella dell’industria rock ferocemente attaccata dal film, e dalle eccezionali canzoni tutte scritte e in parte eseguite da Paul Williams, cantautore statunitense e interprete del villain del film.
I swore I’d sell my soul for… / One love, who would sing my song
Il fantasma del palcoscenico parla di Winslow Leach (William Finley), uno sfortunato cantautore che, a causa del mefistofelico produttore discografico Swan, rimane sfigurato e privato della voce, ma non del talento. Se quindi nell’aspetto diventa il Fantasma che infesta il teatro di Swan chiamato Paradise, per arte e per amore della cantante Phoenix (Jessica Harper) è costretto a stringere un patto proprio con colui che ne ha provocato le disgrazie.
Si evince sin dal titolo che la fonte di ispirazione principale del film è il romanzo Il fantasma dell’Opera di Gaston Leroux (1910), ma invece che l’Opéra Garnier di Parigi il setting è un teatro chiamato Paradise e ispirato ai Fillmore di Bill Graham, locali per concerti molto in voga negli Stati Uniti degli anni ‘70. L’altra grande ispirazione è il mito popolare tedesco del Faust, in cui un uomo stringe un patto col diavolo per raggiungere i propri scopi. Il film racchiude una mise en abyme del racconto folkloristico: Winslow Leach vorrebbe realizzare una riduzione rock del Faust, ma per farlo è costretto a stringere un patto con Swan, che rappresenta il demonio, letteralmente. Sì, perché lo stesso Swan è immortale dopo aver stretto un patto con una copia di sé stesso (il diavolo, appunto) che fa imbruttire le sue immagini registrate al posto suo (come ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde del 1890), motivo per cui non compare mai pubblicamente.
Oltre ad innestarsi in una profonda rete di richiami letterari (e di conseguenza di importanti adattamenti, come il Faust di Murnau e il musical di Andrew Lloyd Webber sul Fantasma dell’Opera), il fatto che Swan trasferisca l’immortalità di Dorian Gray da un ritratto alle immagini registrate segna un interessante precedente per Brian De Palma, che più di chiunque altro ha dedicato attenzione alle immagini ri-mediate e filtrate attraverso gli schermi. In questo caso c’è un personaggio che lavora nella discografia, quindi nell’arte di incidere una traccia su nastro, ed è condannato a farne a meno per quanto riguarda se stesso, perché ciò che viene impresso su pellicola diventa mostruoso.
Never thought I’d get to meet the devil /Never thought I’d meet him face to face
In un film che critica l’industria rock il cattivo non può che essere il produttore, Swan, che originariamente doveva chiamarsi Spectre ed essere una caricatura, nemmeno troppo velata, del celebre produttore-artista Phil Spector. Ad interpretare questo complesso personaggio vi è Paul Williams, qui al suo primo ruolo cinematografico di rilievo, che fu presentato a De Palma durante la ricerca di finanziamenti per il film. Destinato inizialmente al ruolo di Winslow, scelse poi per sé la parte di Swan, non reputandosi abbastanza spaventoso per dare corpo al Fantasma. Paradossalmente, è proprio quel viso angelico e pacioso a rendere ancora più inquietante la figura del cattivo.
Coerentemente con l’assunto interno per cui Swan non compare mai pubblicamente, anche nel film entra in scena fisicamente solo dopo un po’, lasciando che all’inizio il pubblico senta solamente la sua voce scorporata senza vederne l’aspetto (come d’altronde si conviene a un cattivo cinematografico potente e paragonabile al Blofeld di James Bond, capo dell’associazione criminale chiamata, per l’appunto, Spectre).
È proprio la voce a essere centrale e a definire le relazioni tra i protagonisti: rimastone privato dopo l’incidente che gli ha danneggiato volto e corde vocali, il povero Winslow diventa un fantasma e spera di ritrovare la propria identità di cantante attraverso la voce di Phoenix (il cui nome indica infatti un simbolo di rinascita). Ma anche Swan desidera una voce nuova, perché la propria appare imbruttita nelle registrazioni, perciò tenta di sottrarre quella di Phoenix facendole firmare con l’inganno l’ennesimo dei suoi contratti demoniaci: un patto col diavolo in cambio della propria voce (tema già presente nella fiaba di Hans Christian Andersen che ha ispirato La sirenetta). E infine a ridare la parola a Winslow attraverso sofisticate apparecchiature elettroniche è Swan, ma la voce restaurata del Fantasma non è più quella del suo interprete William Finley, bensì quella di Paul Williams opportunamente filtrata.
Life at last! / Sit and listen while the fun begins
Come si addice a un film di Brian De Palma, tutto quanto è filtrato e rielaborato: Swan registra qualsiasi cosa accada attorno a lui e lo riguarda in continuazione, generando diversi effetti di visione duplicata, come quando mentre il Fantasma spia Swan dal tetto della villa e viene a sua volta spiato dalla sorveglianza di Swan, o quando durante una sequenza in split screen si rivela essere ripresa dalle telecamere diegetiche del circuito chiuso del teatro.
Proprio la sequenza in split screen è l’apice di tutto il film, il momento più denso di rielaborazioni: durante un’esibizione dei Beach Bums (parodia dei Beach Boys) viene eseguita la canzone Upholstery, che è un riadattamento commerciale del brano Faust di Winslow Leach, e per questa ragione il Fantasma si vendica uccidendo l’intera band con una bomba a orologeria piazzata nel cofano di un’automobile di scenografia del numero, omaggiando così l’incipit di L’infernale Quinlan di Orson Welles (1958).
Sono presenti molti altri riferimenti pop, tutti significativi nel contesto del film: una scena fa la parodia della doccia di Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, regista di cui De Palma è un grande estimatore e la cui influenza è ravvisabile in tutta la sua filmografia; le scenografie impiegate per l’apertura del Paradise ricordano quelle del Frankenstein (1931) di James Whale (e di conseguenza anche le atmosfere gotiche di Il fantasma dell’Opera con Lon Chaney, il primo adattamento importante del romanzo di Leroux). Ultimo ma non ultimo, la voce narrante che in apertura del film enuncia l’antefatto della storia (presentando tra l’altro Swan come il protagonista della vicenda) fu recitata, benché non accreditata, da Rod Serling, creatore e narratore della serie cult Ai confini della realtà (1959-1964): sin dall’inizio, è la voce a raccontare l’identità fantastica del film.
We’ll remember you forever, Eddie
Through the sacrifice you made
We can’t believe the price you paid
For love (for love)
For love (for love)

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