È il 1954 quando Alberto Moravia pubblica il suo romanzo “Il disprezzo”. Diverso tempo dopo, nel 1963, Jean-Luc Godard decide di metterlo in scena con un tour de force di riprese da giugno a luglio. Negli anni ’60 siamo nel pieno della popolarità dell’attrice francese Brigitte Bardot, che dopo l’esordio avvenuto nel ’52 con il film “Le Trou normand” (Jean Boyer), la realizzazione di diciassette pellicole successive e l’enorme successo di “Piace a troppi” (Roger Vadim, 1956), consolida la sua figura di icona femminile emblema di bellezza e sensualità. Non sorprende quindi che il suo ruolo nella pellicola di Godard fosse studiato proprio per farla apparire come una sorta di simbolo di sé stessa, forzando la carica di erotica del personaggio e lasciando in secondo piano altri aspetti. 

E’ questo, infatti, il modo in cui il regista stesso la tratta e la considera sul set, soprattutto dopo essere stato costretto a rinunciare ai primi protagonisti a cui aveva pensato per “Il disprezzo”, cioè Frank Sinatra e Kim Novak. I rapporti tra Godard e l’attrice infatti non risultano lineari e semplici, ma contraddistinti da freddezza e dalla presenza di mediatori grazie a cui comunicavano

La realizzazione dell’intero film, in ogni caso, non deve essere stata facile per l’autore, che nello scrivere la sceneggiatura aveva riportato una larga fetta della sua vita privata con la moglie Anna Karina. I suoi litigi con lei si adattavano perfettamente all’indagine sul rapporto di coppia, svolta attraverso le discussioni surreali dei due protagonisti. Alla Karina, inoltre, il regista inserisce un riferimento esplicito quando fa indossare a Brigitte una parrucca nera e le fa pronunciare molte frasi dette da sua moglie durante delle discussioni, che aveva appuntato e inserito nella sceneggiatura. Un contributo personale che – per quanto possa essere stato poco gradito dalla consorte – sicuramente rispecchia in pieno lo spirito del racconto.

AMORE E DISPREZZO

“Il Disprezzo” narra la storia di Paolo ed Emilia. Lui scrittore teatrale, lei dattilografa. Non hanno molti soldi e vivono in una pensione, ma va bene così. Stanno bene, si amano. All’inizio del film un importante produttore, Jerry Prokosch (Jack Palance) offre al protagonista un lavoro: riscrivere la sceneggiatura di un’ “Odissea” che con Fritz Lang aveva intenzione di mettere in scena, non riuscendo però a superare le divergenze col regista. Paolo non è inizialmente interessato a scrivere per il cinema, ma sceglie di farlo per avere i soldi necessari a comprare una casa con la sua amata moglie. Sarà proprio questa decisione però la causa scatenante di una serie di eventi per cui lei deciderà di chiudere i loro rapporti per sempre.

“Io ti disprezzo” gli dice Emilia più volte nella storia, lasciandolo confuso e arrabbiato perché incapace di comprenderne il motivo. La ragione di questo sentimento è la mancanza di spirito e di onore di lui, che non interviene nel momento in cui il produttore fa delle esplicite avances a sua moglie. Emilia rimane fortemente colpita in negativo dall’atteggiamento indifferente del marito, arrivando ad accusarlo di essersi ormai svenduto, di vivere alla mercé di Prokosch e lasciare che quest’ultimo le si avvicini per timore di contraddirlo. Quei soldi, grazie a cui la coppia avrebbe costruito la propria vita divengono, il motivo di una svalutazione che il personaggio di Bardot non riesce a tollerare. Non può più tornare indietro allora e non ha scelta se non abbandonare un marito che non era stato in grado di rispettarla. 

Per tutta la vicenda vengono messe sul tavolo, in parallelo alla storia, acute riflessioni sul rapporto tra Odisseo e Penelope, che certamente con la giusta chiave di lettura sono specchio dei due protagonisti. 

“Che Odisseo non avesse a cuore sua moglie, e per questo l’aveva abbandonata con i Proci? Però dopo essere tornato aveva compiuto una strage. Ma questa strage che valore aveva? E in ogni caso se l’amava perché aveva consentito che venisse assalita dai pretendenti?”

 Questi interrogativi sono l’oggetto del dibattito tra produttore, regista e sceneggiatore, e non è difficile vedere nelle azioni di Odisseo con i Proci e sua moglie un parallelo con Paolo che non protesta di fronte agli atteggiamenti quasi molesti di Prokosch. Il viaggio omerico, tuttavia, in questo caso è solo psicologico. Non è altro che l’addentrarsi in una nuova esperienza, dimenticando il vero motivo del percorso intrapreso.

Paolo perde sé stesso nel rapporto con il produttore, dimentica la sua integrità, e quando Emilia gliela ricorda è troppo tardi, lei non ha più considerazione di lui e il disprezzo ha sostituito ogni frammento d’amore rimasto nel suo cuore.

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Gaia Fanelli, Redattrice