Da I soliti sospetti, quasi trent’anni dopo, ricordiamo uno dei colpi di scena finali più fulminanti della storia del cinema. Chi è Keyser Söze? La domanda che ci ha martellati per due ore rimbomba ripensando alle ultime immagini del film: la tazza in mille pezzi, un’epifania in ritardo, i piedi di uno zoppo che si raddrizza e si accende una sigaretta. Chi è? Un completo sconosciuto, chiamato Kevin Spacey. I momenti cult lo diventano quando ne fanno la parodia: per il finale de I soliti sospetti fu quasi immediata, con Leslie Nielsen e poi Scary Movie. Un finale così clamoroso, però, proveniva da lontano, da un’accurata semina di indizi sbagliati.
Set-up
Un passo indietro: cinque criminali, eterogeneamente qualificati, vengono arrestati per un sospetto furto e sottoposti ad un confronto all’americana. Non promette nulla di buono: qualcuno deve aver pilotato la cosa. Alla banda non resta che riunirsi per un vero colpo per «riacquistare dignità», e poi un altro, e poi chissà. Ma sembra che abbiano involontariamente pestato i piedi ad un boss pericolosissimo e spietato, Keyser Söze, che li obbliga ad una missione suicida su una nave. Che disastro, due agenti speciali cercano di rimettere a posto i pezzi interrogando gli unici due sopravvissuti, tra cui uno zoppo che faceva parte dell’assortita banda.
Lo sceneggiatore in erba Christopher McQuarrie (oggi partner di Tom Cruise nella realizzazione dei Mission: Impossible) lavorava per l’agenzia di detective dello zio in Australia quando un suo ex compagno di scuola, Bryan Singer, gli chiese di scrivere insieme lo script per un film. Dopo il discreto successo di Public Access, primo film del duo, un attore americano ancora ignoto chiese loro di poter partecipare a qualsiasi cosa avrebbero voluto fare dopo. Così McQuarrie si mise al lavoro su un’idea che gli ronzava in testa, basandosi su un confronto all’americana che si risolve in qualcosa di più. L’ispirazione gli veniva da un articolo di giornale intitolato come le parole del capitano Renault di Casablanca: «Fermate i soliti sospetti».
Gli insoliti sospetti
Ed ecco la nuova sceneggiatura, verbosa e intricata. L’attore che l’aveva indirettamente commissionata ci sta, ma al momento lui non è un nome di richiamo. Si chiama Kevin Spacey, ha all’attivo pochi film in ruoli marginali e un po’ di teatro con un Tony («Il cinema ti rende famoso ma il teatro ti rende bravo» dice Tim Robbins). Gli studios hanno poca fiducia a fornire un capitale ad una banda di poco più che esordienti, senza almeno un casting noto legato al progetto. Tutto parte con il contratto di Chazz Palminteri come poliziotto eroe, il ché è ridicolo considerato che i ruoli per cui era famoso erano quelli di mafioso in Bronx Tale e Pallottole su Broadway.
Ma qui, i gangster, a parte il funambolico Benicio Del Toro, saranno nomi insospettabili: uno dei fratelli Baldwin, quello che aveva fatto la spalla di Tom Cruise in Codice d’onore, il bonario anti-eroe Gabriel Byrne, e questo famigerato sconosciuto Kevin Spacey, uno zoppo fragile e stupido. Bravi tutti, ma a brillare è soprattutto il formidabile duo creativo Bryan Singer e Christopher McQuarrie, rispettivamente regista e sceneggiatore. All’uscita del film verrano salutati da una recensione del Seattle Times intitolata «Sorprese e niente buchi».
Commento ovvio, ma non scontato. In particolare per un film smontato in due linee narrative (il poliziotto che torchia lo zoppo e la parabola retrospettiva della banda criminale), «La fiamma del peccato mescolato a Rashomon» secondo le parole del regista. Oggi, abituati come siamo a pane e Nolan, un film che segue archi temporali distinti sembra poca cosa. Allora, nel cinema americano, c’era solo Pulp Fiction. Affiancandoglisi con piena dignità, I soliti sospetti incrocia scene d’azione e dialoghi brillanti e complessi, e lo fa bene.
Disordine sistematico
E chi è Keyser Söze? Nel prima e nel dopo non si riesce a capire, ma l’ipotesi che sia il Diavolo in persona si fa sempre più concreta. Un invincibile e spietato narcotrafficante, assassino e vendicatore, un Robespierre tra i sanculotti. Ma chi può essere? Per tutto il tempo, aleggia l’idea che sia qualcuno al di fuori della narrazione. Ma Chazz Palminteri, poliziotto concreto e materiale, ci indirizza verso Gabriel Byrne, l’unico con uno status tale da poter aver gestito tutto ciò. Anche la libertà, la vita concessa allo zoppo fragile e stupido Kevin Spacey non può che essere la volontà del supremo malfattore, quindi per forza Gabriel Byrne.
Così si costruisce un bel guazzabuglio, saltando avanti e indietro, adrenalinico ma che crea suspence e fa anche divertire. Il cameratismo dei criminali è un carburante importante (soprattutto la formidabile improvvisazione di Benicio Del Toro, inventata da lui stesso per dare risalto al proprio personaggio), ed evidentemente il giovane McQuarrie lo conosce grazie a quei suoi giri nello studio dello zio. E poi una serie di finezze registiche: il cazzeggio nella stanza del confronto all’americana, la messinscena rapida del colpo al New York Finest Taxi, il doppio fuoco ‘alla De Palma’, la sequenza in ascensore, l’atmosfera noir del molo pericoloso, l’aria nervosa al comando di polizia.
Pay-off
Come un proiettile che colpisce alle spalle, la verità. Sembrava così logico, secondo il buon Chazz Palminteri, che Keyser Söze fosse Gabriel Byrne, da non avere alcun dubbio. Era riuscito a convincere persino lo zoppo fragile e stupido Kevin Spacey, così fragile e stupido da non aver capito nulla, o da aver completato il giro facendoci tutti fessi. E in effetti… l’accendino dorato, la tazza di ceramiche Kobayashi, tutti quei fogli appesi erano indizi… ma come facevamo a saperlo? Il regista, lo sceneggiatore, ci hanno negato un pezzo, il pubblico non può sapere. «La più grande beffa del demonio è stata convincerci che non esista», la più grande beffa della sceneggiatura è stata convincerci di raccontare la verità.
Tutta la storia è stata vista da un narratore inaffidabile: il disordine lo capisci guardandolo a distanza. Perché per tutto il film, almeno quattro o cinque volte, lo zoppo Kevin Spacey compariva alle spalle di qualcuno, a sorpresa? In cella all’inizio, nel magazzino con gli altri membri della banda, nel parcheggio per freddare un trafficante molto più grosso di lui, nel riflesso di un vetro al punto di non ritorno. Evidentemente, sarebbe comparso alle nostre spalle sorprendendoci. Contravviene alle nostre aspettative, salta a mille e si fa riconoscere, uscendo allo scoperto.
Adesso abbiamo capito chi era lo sconosciuto zoppo fragile e stupido: era lui Keyser Söze. Adesso abbiamo capito chi era questo sceneggiatore in erba che aiutava lo zio in uno studio di detective in Australia: era (sarebbe diventato) il premio Oscar alla sceneggiatura Christopher McQuarrie. Adesso abbiamo capito chi era quell’attore americano con pochi film in ruoli marginali e un po’ di teatro con un Tony: era, e sarebbe sempre stato (anche oggi, nonostante l’ostracismo di Hollywood), il due volte premio Oscar Kevin Spacey.

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