La saga di Hunger Games, tratta dalla trilogia di libri omonimi di Suzanne Collins ed adattata in una quadrilogia di film usciti tra il 2012 e il 2015, è stata un importante punto di riferimento per diversi adolescenti, dando vita ad un fandom estremamente devoto al pari di altre saghe come Harry Potter o Twilight. La “Hunger Games mania”, tuttavia, si era andata sgonfiando dopo l’ultimo film.
L’uscita, a distanza di otto anni, di un nuovo capitolo, riuscirà a riaccendere la passione dei vecchi fan e avvicinarne di nuovi? E il prodotto finale saprà reggersi sulle proprie gambe o, come tanti altri remake, prequel e sequel usciti negli ultimi anni, sarà l’ennesimo tentativo di capitalizzare sulla nostalgia vivendo di strizzatine d’occhio ai vecchi capitoli della saga?
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, come il libro di Collins da cui è tratto, è un prequel riguardante quello che, nella saga principale, era il capo della società dittatoriale di Panem: il presidente Coriolanus Snow (interpretato nella quadrilogia originale da Donald Sutherland).
Siamo alla vigilia dei decimi Hunger Games, i “giochi” coinvolgenti 24 adolescenti costretti ad uccidersi a vicenda finché non ne resta solo uno. Al giovane Snow (in questo film interpretato da Tom Blyth) è dato il compito di fare da mentore ad una dei partecipanti, Lucy Gray Baird (Rachel Zegler), tributo del distretto più povero, il 12. Nel tentativo di far vincere la sua protetta, Coriolanus è costretto a muoversi tanto negli ambienti del Distretto 12 quanto in quelli di Capitol City, elaborando la mentalità che lo porterà, sessant’anni dopo, ad essere l’antagonista che abbiamo già conosciuto.
Nel cuore di Panem
È proprio nella descrizione di Panem, la società distopica corrotta di cui anche Snow fa parte, che il nuovo film di Hunger Games trova i suoi spunti più interessanti, oltre che più innovativi rispetto ai capitoli precedenti. Nei film della saga principale, in contravvenzione a ciò che accadeva nel corso dei libri, era già stato permesso allo spettatore di “entrare” nelle meccaniche dei Giochi e scoprire alcuni dei retroscena relativi alla loro organizzazione, pur restando il focus sulla ribellione contro il governo dittatoriale.
In La ballata dell’usignolo e del serpente, sono proprio questi retroscena, televisivi e politici, a costituire l’ossatura della vicenda. Abbiamo la possibilità, così, di osservare con un’ altra prospettiva gli Hunger Games: quella dei “vincitori”, che hanno già assimilato acriticamente questa pratica come perfettamente normale, o addirittura come necessaria, e che sono nelle fasi iniziali di trarne uno spettacolo. Attraverso personaggi inquietanti come la dottoressa Volumnia Gaul (Viola Davis), grotteschi come il presentatore televisivo Lucky Flickerman (Jason Schwartzman) o disillusi come Casca Highbottom, il creatore dei Giochi (Peter Dinklage), possiamo approfondire le motivazioni e le origini (prima ideologiche che pratiche) degli Hunger Games come fenomeno televisivo e ‘popolare’, traendone tutti i necessari parallelismi possibili coi nostri media e il loro potenziale utilizzo come strumento di ammansimento delle masse (“panem et circenses”) o di costruzione del consenso. Tutto, ovviamente, affrontato nei limiti di un film d’avventura idealmente rivolto ad un pubblico di adolescenti.
A tutto ciò si accompagna il lavoro svolto nella costruzione di Capitol City, dei suoi ambienti e dei suoi costumi. Per questo film la sfida era doppia: ricreare un ecosistema lussureggiante perfettamente coerente con quello che avevamo visto nei film precedenti, ed al contempo arricchirlo rispetto alla saga principale, limitata nelle sue ambientazioni principalmente nelle letali arene dei Giochi, nell’impoverito Distretto 12 e nello spartano Distretto 13.
È allora quasi ironico che sia proprio nella seconda parte, ambientata nel (teoricamente) più familiare Distretto 12, che la narrazione va a perdersi, premendo sull’acceleratore più di quanto non fosse già stato fatto nella prima parte e lasciando potenzialmente lo spettatore con alcuni interrogativi attorno a certi comportamenti dei personaggi. A soffrirne è soprattutto la trasformazione finale di Snow nel cattivo della storia, il punto focale dell’intera vicenda che, anche se perfettamente coerente col percorso svolto dal personaggio, appare infine troppo frettoloso.
Sulle spalle dei propri personaggi
Il punto forte del film è certamente il lavoro svolto nello scegliere e dirigere tutti gli attori, e la complessità dei personaggi.
Sull’importanza degli adulti nella costruzione dell’ecosistema-Panem si è già detto, e la riuscita delle singole performance di questi interpreti più esperti è fondamentale nel risultato complessivo. Meritano una menzione gli attori più giovani, che come nel caso della prima saga, visto il soggetto della storia, costituiscono una fetta fondamentale del cast.
Tom Blyth, con la sua espressività, è capace di infondere umanità ad un personaggio deprecabile ed a farcene comprendere le motivazioni, oltre che la mentalità, senza però farci mai dimenticare della crudeltà ed egoismo nei suoi atti.
Rachel Zegler, che avevamo avuto modo di apprezzare in West Side Story, si conferma un astro nascente promettente. Nelle sue mani, Lucy Gray è un personaggio estremamente ricco, le cui intenzioni non sono mai del tutto chiare e la cui natura di performer, da lei sfruttata con estrema astuzia, lascia sempre spazio al dubbio attorno a quanto i suoi atti siano calcolati.
Completano il cast di giovani star Hunter Schafer (la Jules di Euphoria) e Josh Andrés Rivera (anche lui uno dei protagonisti del West Side Story di Spielberg), che interpretano in maniera accorata gli unici personaggi dotati di un qualche barlume di umanità positiva. Non per niente, saranno anche quelli destinati, nell’universo di Panem, a fallire.
Conclusioni
Hunger Games-La ballata dell’usignolo e del serpente non attrarrà probabilmente persone che non conoscano, almeno un po’, la saga originale, facendo leva sulla conoscenza precedente delle meccaniche dei Giochi e del mondo che ha dato vita a questa pratica. Ha tuttavia il pregio di costruire una storia indipendente da quella di Katniss Everdeen ed allo stesso tempo di arricchire il mondo originale, come qualsiasi lavoro derivativo dovrebbe fare. Lo fa con una storia di politica e strategia non perfettamente riuscita ma fruibile e piacevole.
Certo, è amaramente ironico constatare che, in una saga che pure condanna evidentemente la spettacolarizzazione televisiva del dolore (in questo caso portato al più alto estremo: la morte), i maggiori picchi registici e visivi si raggiungano, ancora una volta, proprio nel corso degli Hunger Games stessi.
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