L’horror è un genere che risale direttamente alle origini dell’uomo. La paura degli altri, del buio e di ciò che può nascondere, così come dei predatori animali finiscono per innescare processi nella mente umana che culminano nella creazione di creature dall’aspetto sempre più grottesco, fino a creare veri e propri mostri. Una delle soluzioni per esorcizzare questa problematica è stata creare delle storie: partendo dai miti, passando per l’epica e arrivando fino alla letteratura si possono trovare innumerevoli storie pregne di paura, ansia, terrore, orrore. Con l’avvento del cinema, l’uomo ha trovato il metodo perfetto per portare a termine questo suo processo, data la possibilità di creare visivamente ciò che più lo spaventava. Arrivarono quindi sul grande schermo i vampiri, le mummie, i licantropi, una manifestazione “reale e tangibile” di ciò che l’uomo temeva maggiormente: i mostri

Con il passare degli anni, il cinema si è evoluto e con esso i vari generi che lo contraddistinguono. Il cinema horror non è un’eccezione e con questo articolo vorrei porre uno spunto di riflessione sulle motivazioni che hanno portato il cinema d’orrore al massiccio cambiamento a cui è andato incontro con l’arrivo del nuovo millennio, prendendo in esame il periodo dagli anni ’70 ad oggi e basandomi maggiormente sulle produzioni più importanti e incisive del panorama (motivo per cui non saranno presenti titoli magari interessanti, ma di poco valore nel cambiamento analizzato).

GLI ANNI D’ORO

Non è di certo semplice definire così su due piedi quale sia stato il momento migliore per un particolare genere, e lo stesso si può dire anche per quanto riguarda il cinema dell’orrore. Innegabile però che verso la metà degli anni ‘70 il genere abbia imboccato una strada in salita costante, che ha portato il numero di produzioni horror ad aumentare sempre di più e a far nascere alcuni dei film (la maggior parte divenuti poi saghe) più importanti del momento. Nel 1973 arrivò nelle sale di tutto il mondo L’Esorcista di William Friedkin, film tratto dal romanzo omonimo di William Peter Blatty che che riscontrò un successo immediato e senza precedenti, diventando la pellicola del momento e la base di partenza per qualsiasi altra produzione simile negli anni a venire. Nel 1974 fu la volta di  The Texas Chainsaw Massacre di Tobe Hooper, con il quale vennero introdotti il personaggio di Leatherface e la sua disfunzionale famiglia di cannibali. Si tratta della pellicola che, per molti, ha dato inizio al sottogenere di punta per quegli anni: lo slasher. Arrivano poi pellicole come Halloween di John Carpenter nel 1978, Phantasm di Don Coscarelli ed Alien di Ridley Scott nel 1979.

Con l’avvento degli anni ’80, il panorama si arricchì ulteriormente con il primo Venerdì 13, uscito nel 1980 e diretto da Sean S. Cunningham, e con La Casa di Sam Raimi, uscito l’anno successivo. Nel 1984 raggiunse poi le sale il primo Nightmare, diretto da Wes Craven, e nel 1987 Clive Baker diresse Hellraiser (tratto da un romanzo breve dello stesso Baker). Gli ultimi due anni del decennio furono poi caratterizzati da La bambola assassina, diretto da Tom Holland  nel 1988, e da Cimitero vivente, film di Mary Lambert (tratto dal romanzo di Steven King) del 1989.

Gli anni ’90 non furono poi da meno, contando che è proprio in quegli anni che uscirono pellicole come Candyman di Bernard Rose nel 1992 (adattamento tra l’altro di un romanzo di Clive Baker) e Scream che, nel 1996, segnò il ritorno di Wes Craven, il quale riuscì a modificare e innovare un genere che lui stesso aveva aiutato a nascere. È sempre negli anni ’90 che trova un adattamento anche il pagliaccio Pennywise, nato dalla penna di King e interpretato da Tim Curry nella miniserie in due episodi andati in onda nel 1990 e diretti da Tommy Lee Wallace, ed fu verso la fine del decennio che raggiunse la sala una delle pellicole sperimentali di maggior successo di sempre: The Blair Witch Project (che verrà però analizzata più a fondo in seguito).

Un periodo indubbiamente d’oro per il cinema horror, che si ritrovò una sequenza di nuove pellicole di successo una dietro l’altra, la maggior parte delle quali diede vita a sequel (di maggiore o minore successo) che consentirono una produzione continua di pellicole fino alla fine del millennio, con personaggi estremamente caratteristici e iconici fin da subito. Con l’arrivo del nuovo millennio la storia però cambiò completamente.

L’ORIGINE DEL PROBLEMA

Con l’arrivo degli anni 2000, tutto il mondo si poneva in un’ottica di trasformazione, e diversi ambiti subirono effettivamente grossi cambiamenti, ma ciò non si può certo dire per il cinema horror. Il nuovo millennio rappresentò concettualmente un vero e proprio nuovo inizio. Saghe come Nightmare, Venerdì 13 e Halloween avevano già sparato le loro cartucce (per onor di cronaca sottolineiamo come Jason X sia uscito nelle sale nel 2001, ma si tratta di un capitolo estremamente mediocre e che la maggior parte dei fan nemmeno considera come parte della saga; lo stesso vale per la saga di Michael Myers con Halloween – La resurrezione datato 2002) e, non avendo più nulla da dire, lasciarono la strada libera a nuove, fresche produzioni, ed effettivamente qualcosa fu capace di emergere. Due nuove saghe nacquero infatti con l’arrivo del 2000, diventando brevemente pellicole di culto destinate però a peggiorare di seguito in seguito: stiamo parlando di Final Destination e Saw.

La prima arrivò in sala nel Marzo 2000, proponendo un’idea di base estremamente accattivante (alcuni ragazzi riescono a sopravvivere ad un incidente aereo grazie ad una visione, portando però su di sé le attenzioni del triste mietitore che sfrutta ogni occasione per reclamare la loro anima), che però trova uno svolgimento banale e scontato, mostrando una sequenza di morti una dopo l’altra caratterizzate da un’eccessiva assurdità che finisce per rompere il velo della “sospensione dell’incredulità”. Una produzione comunque interessante e che riscontrò un buon successo di pubblico, creando quindi una sfilza di seguiti arrivata fino al 2011 con il quinto ed ultimo capitolo. Inutile sottolineare come con i sequel la situazione risultò ancora più disastrosa e mediocre.

Bisogna invece aspettare il 2003 per vedere Saw – L’enigmista, con cui si presentava al mondo James Wan, regista destinato a diventare un pilastro per quell’horror più commerciale e d’intrattenimento che sembrava invece destinato a scomparire proprio in quegli anni. Con questo film, un misto tra torture porn, thriller e poliziesco, il regista mise in scena una storia estremamente accattivante e che riusciva a tenere lo spettatore incollato allo schermo per tutta la sua durata, oltre ad avere il merito di introdurre Jigsaw, personaggio destinato a diventare uno dei villain più famosi di quegli anni 2000. Grazie all’ottima ricezione ottenuta dalla pellicola, sia da parte del pubblico che della critica, le case di produzione Twisted Pictures e Lionsgate Films produssero una sequenza di sequel a cadenza annuale fino al 2010 e che continua a produrre seguiti ancora oggi (nel 2017 è stato prodotto il prequel/sequel dal titolo Jigsaw e nel 2021 ha raggiunto le sale lo spin off della saga Spiral – L’eredità di Saw). Si tratta però di sequel degni di nota? Purtroppo anche in questo caso si tratta di prodotti nettamente inferiori all’originale e che, avanzando con la numerazione, perdono sempre più l’anima thriller del capostipite, in favore di un torture porn inizialmente solo accennato, ma che diventa poi il focus delle produzioni, risultando divertente nei primi seguiti ma diventando velocemente stucchevole anche per i fan più accaniti della saga.

IL FOUND FOOTAGE ED I REMAKE

Aldilà delle saghe, il nuovo millennio si ritrova tra le mani un nuovo sottogenere destinato ad avere un grosso impatto: il foundfootage (conosciuto anche come mockumentary, falso documentario o reality horror). Diventato popolare nel 1999 grazie a The Blair Witch Project (diretto dagli esordienti Eduardo Sánchez e Daniel Myrick) e alla grandiosa campagna marketing costruita attorno al “fattore verità” della pellicola, tutte le grandi case di produzione capirono che si sarebbe trattato della moda del momento e che sfruttandola avrebbero ottenuto un grosso guadagno. L’origine indipendente, quasi ai limiti dell’amatoriale, della pellicola dimostrava come non fossero necessarie grosse somme per poter girare e creare un film di questo tipo, e ciò portò il mercato dell’horror a riempirsi di foundfootage, genere su cui sia il cinema indipendente che le grosse produzioni sembravano volersi focalizzare. Come conseguenza altri sottogeneri furono (almeno in parte) tralasciati, come nel caso dei film slasher (di cui abbiamo comunque i sequel di Scream ed i remake di Halloween firmati da Rob Zombie), degli zombie movie (in cui rimane ancora un caposaldo Romero, con prodotti come Diary of the dead), degli sci-fi horror, degli splatter  o di film sulle possessioni, che trovarono – ad eccezione di alcune pellicole – una rappresentanza in prodotti spesso mediocri oppure nell’ibridazione di questi sottogeneri con il falso documentario.

È in questi anni che si assiste alla nascita di pellicole di successo come Rec (2007) e Paranormal Activity (2007), caratterizzate da un budget particolarmente risicato ma che non impedì loro di ottenere comunque un grande riscontro di pubblico che portò (come prassi) alla creazione di diversi seguiti, anch’essi non all’altezza degli originali. Da nominare sono anche pellicole di ottima fattura come The Poughkeepsie Tapes (2007) o Hell House LLC (2015), che faticarono però a superare i confini degli USA e che tutt’oggi risulta complicato poter recuperare.

Di questo periodo non si può però tralasciare un’altra operazione inizialmente estremamente fruttifera ma destinata a fallire: i remake. Un processo “vecchio come il mondo” e che probabilmente non abbandonerà mai del tutto il mondo del cinema, ma che trovò terreno fertile nel 2000 soprattutto prendendo la propria ispirazione dall’oriente. È il caso di Ring (Hideo Nakata, 1998) che darà origine al più celebre (per la nostra penisola) The Ring, uscito nel 2002 e diretto da Gore Verbinsky, con Naomi Watts nel ruolo della protagonista. Lo stesso vale per 

Ju-On (Takashi Shimizu, 2000) e il suo remake americano The Grudge del 2004, diretto sempre da Shimizu, con Sam Raimi nel ruolo di produttore esecutivo e Sarah Michelle Gellar come protagonista della pellicola. 

Si tratta di due produzioni di grande successo (addirittura i remake ottengono un successo maggiore rispetto agli originali) che portarono le case di produzioni a valutare nuovamente l’operazione remake proprio nei confronti di quelle saghe da poco concluse. Si assistette al ritorno di Michael Myers diretto da Rob Zombie con Halloween – The beginning nel 2007, che riuscì effettivamente a portare sullo schermo la stessa storia, ma con alcuni cambiamenti interni alla narrazione che permisero alla pellicola di non risultare una mera trovata commerciale (nonostante i detrattori, la pellicola ebbe un successo tale da portare alla creazione anche di un sequel nel 2009). Molto meno interessanti risultarono invece le riproposizioni di A Nightmare on Elm Street del 2010 (tra l’altro unico capitolo del franchise a non presentare Robert Englund nei panni di Freddy Krueger) e di Venerdì 13 del 2009, pellicole estremamente dimenticabili e da molti definite il punto più basso mai raggiunto dalle saghe (arrivando addirittura a non considerarli come capitoli canonici).

UN NUOVO INIZIO

La grossa produzione di pellicole estremamente simili e con differenze esigue finì per portare l’horror ad essere sempre meno apprezzato, sia dalla critica (che già non amava i foundfootage, in quanto pieno di errori e problemi alla base impossibili da ignorare per i puristi) che dal grande pubblico, che si stancò presto di questo tipo di produzioni. Si arrivò così ad un momento di stagnazione, in cui vennero sì prodotti nuovi film, la maggior parte dei quali risulta però mediocre e non riesce più ad incontrare il favore degli spettatori, nei quali nasce presto il sentore del “già visto”. 

È in questo panorama che le produzioni più “di nicchia” riuscirono a raggiungere le sale, ricevendo inaspettatamente una grande partecipazione da parte del pubblico, che scopre questi film proprio in conseguenza del vuoto presentato nel panorama horror. Un pubblico che si ritrova ad apprezzare questa tipologia di prodotti, portando alla ribalta una categoria di horror sempre esistita ma che proprio in quegli anni sembrava essere pronta per la propria rivalsa. Se inizialmente l’horror aveva come primo obiettivo quello di spaventare e soltanto in secondo luogo quello di raccontare qualcosa, nel secondo decennio del 2000 vengono prodotti in prevalenza film il cui obiettivo è in primis raccontare qualcosa (spesso trattando tematiche molto profonde e in stretto rapporto con la filosofia) e che nel farlo decidono di utilizzare il genere horror. In letteratura ciò è la normalità (Doctor Jekyll e Mister Hyde con il tema del doppio, Frankenstein con il gioco dell’uomo a fare Dio, la narrativa di Lovecraft con il suo orrore che “non può nemmeno essere descritto”), ma al cinema si era presentato fino a questo punto una modalità di rappresentazione estremamente visiva (gli zombi di Romero hanno numerose chiavi di lettura, ma risultano comunque una minaccia costante e spaventosa per i protagonisti e gli spettatori; con L’Esorcista  Friedkin presenta una pellicola con numerose sequenze inquietanti e sono queste che hanno donato al film la fama che tutt’oggi lo caratterizza, senza comunque nulla togliere alle importanti tematiche che il film presenta in maniera intelligente e funzionale). 

Un esempio di questa nuova corrente è The Vvitch di Robert Eggers. Quando il film uscì nelle sale nel 2015, nessuno si sarebbe aspettato il successo che avrebbe poi avuto, questo perché si tratta di una pellicola che fa tutto l’opposto di ciò che uno spettatore dell’horror anni ‘70/’80 si aspetterebbe. La rappresentazione scenica è di altissimo livello, ma non viene utilizzata dal regista per mettere in scena sequenze cariche di tensione o terrore, bensì servono ad immergere lo spettatore nell’ambientazione e per fargli vivere l’atmosfera che i personaggi stanno vivendo. Si parla di streghe e satanismo, ma i rituali tipici del genere sono ai minimi storici, poiché quello a cui punta il film è un terrore prima psicologico che visivo. Sono la situazione, la mentalità e le modalità di vita dei personaggi a spaventare, non il male di cui essi parlano, tanto che non è chiaro se questo male esista effettivamente o sia soltanto frutto di una mente distorta dalla follia e dal fanatismo. 

In egual maniera si pone nel panorama Ari Aster, con il suo Hereditary – Le radici del male uscito nel 2018. Una pellicola che nelle sue (poco più di) due ore si divide nettamente in due parti: una prima ora in cui il film mostra una storia dai tratti appartenenti ai drammi familiari, con la tematica della perdita di un familiare e il conseguente superamento del lutto da parte dei membri della famiglia, per poi eseguire una virata di genere quasi improvvisa che si traduce in un’escalation di inquietudine ed orrore fino alla vetta del finale. Una pellicola che fa delle immagini un tramite per la trasmissione di emozioni e sensazioni, per parlare di traumi familiari (tematica inoltre presente anche nel suo successivo lavoro Midsommar del 2019).

Ultimo esempio preso in considerazione per questa nuova corrente è L’uomo invisibile, pellicola del 2020 diretta da Leigh Wannel (già regista di Insidious 3 – L’inizio del 2015) tratta dal famoso romanzo omonimo del 1887 scritto da H. G. Welles e rifacimento dell’adattamento del 1933. La pellicola prende gli elementi alla base del romanzo e li adatta alla contemporaneità in cui la protagonista (e gli spettatori) vive, inserendo quindi una tecnologia estremamente avanzata che finisce per superare i limiti moderni. Alla base della pellicola ci sono le tematiche dello stalking e delle toxic relationship, e il regista si sofferma sulle modalità in cui una vittima di questi fenomeni affronta la situazione. Seguendo le modalità di questa nuova corrente, la presenza senza ombra e maligna che perseguita la protagonista non è l’oggetto stesso della paura, che si manifesta nella situazione che lei deve vivere ed affrontare. Ancora una volta alla base del tutto non c’è lo spaventare lo spettatore, ma il trattare una tematica introdotta allo spettatore attraverso le inquietanti atmosfere tipiche dell’horror.

Inserisco un piccolo disclaimer per affermare come oltre ai tre esempi presi in esame ci siano numerose altre pellicole che seguono questa corrente e ideologia (per esempio Babadook di Jennifer Kent, Madre! di Darren Aronofsky, Kill List di Ben Wheatley, Apostolo di Gareth Evans e si potrebbe andare avanti).

LA CORRENTE CLASSICA

Sarebbe però sbagliato raggruppare tutti i film usciti nei due decenni del 2000 in questa nuova corrente. Numerosi registi infatti continuano nella produzione di pellicole dell’orrore utilizzando gli stilemi più classici. Ne prendo in considerazione anche in questo caso soltanto tre ma la base risulta in realtà molto più vasta.

Un regista che si afferma nei primi anni 2000 è Rob Zombie che si mostra al pubblico con La casa dei 1000 corpi nel 2003, pellicola horror che trae chiare ispirazioni da un classico del genere come A Texas Chainsaw Massacre, dando vita a quello che inizia come un teen movie per procedere verso una rappresentazione sempre più cruda ed esplicita (con l’inserimento di alcuni intermezzi che strizzano l’occhio ai video musicali tanto cari al regista). Tra le sue opere risulta doveroso nominare (come accennato più sopra nell’articolo) i due remake di Halloween, nel quale inserisce il suo stile rappresentativo dell’America più “marcia” donando un background al personaggio di Michael, e Le streghe di Salem, horror sul satanismo con cui raggiunge il suo apice rappresentativo ed espositivo, costruendo una pellicola non apprezzata dal grande pubblico ma estremamente elogiata dalla nicchia che il regista si è costruito negli anni. 

Secondo regista preso in esame è Scott Derrickson che esordisce nel 2005 con L’esorcismo di Emily Rose, una pellicola che prende ispirazione da fatti di cronaca realmente accaduti e attraverso i quali il regista statunitense mescola nella narrazione l’horror sulle possessioni con il dramma giudiziario, ottenendo un ottimo risultato sia di critica che di pubblico. Torna poi nel 2011 con Sinister (da molti definito il suo lavoro migliore e finito di recente in cima alla classifica degli horror più spaventosi), con cui viene messa in scena un’indagine giornalistica che finisce per cadere sempre più nel sovrannaturale, similmente a quanto viene mostrato nel suo lavoro successivo Deliver us from Evil del 2014, in cui la storia ruota attorno ad un’indagine di polizia che si mescola ad un’indagine da parte della Chiesa. Presentata poi una parentesi con Doctor Strange per i Marvel Studios, Derrickson è sulla strada del ritorno all’horror con Black Phone in uscita nel 2022.

Infine non si può non nominare Jordan Peele, approdato in sala nel 2017 con il thriller a tinte horror Scappa – Get out, che gli ha garantito un Oscar alla miglior sceneggiatura originale oltre ad altre candidature di prestigio, ma che soltanto nel 2019, con il film Us, presenta la sua vera idea di orrore: puntando innanzitutto a spaventare lo spettatore mettendo in scena personaggi estremamente inquietanti, il regista inserisce nelle sue pellicole una pesante critica sociale, soprattutto nei confronti della lotta di classe e contro il razzismo.

CONCLUSIONI

Arrivati al giorno d’oggi, nel panorama del cinema horror si presentano quindi sostanzialmente due filoni, due ideologie di rappresentazione: una più classica, che pone al primo posto l’obiettivo di spaventare lo spettatore e poi di parlare di una qualche tematica, e una che è fuoriuscita dal cinema underground per farsi strada verso il grande pubblico facendo l’opposto, quindi avendo come obiettivo primario quello di raccontare una storia complessa, con importanti tematiche poste in primo piano e sfruttando gli stilemi dell’horror per metterle in scena, spesso utilizzando una paura più psicologica che visiva. Entrambe correnti interessanti e che permettono al genere di poter vivere in questi anni, dopo il periodo di stagnazione, di nuova vera linfa.

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Questo articolo è stato scritto da:

Mattia Bianconi, Redattore