Una tragedia familiare che pian piano sfocia in un incubo; una villetta da sogno che si trasforma in una trappola infernale; una casetta sull’albero che si ritrova a dover ospitare l’inquietante simulacro di una divinità malvagia. È questo Hereditary (in Italia arrivato con il sottotitolo Le radici del male), il thriller/horror d’esordio di uno dei più promettenti registi contemporanei, Ari Aster. Hereditary segue le vicende della famiglia Graham, e presenta, a primo impatto, tutte le caratteristiche di un classico dramma. Ogni personaggio ha i suoi problemi, come il passato tormentato di Annie (Toni Collette), gli inquietanti disegni che riempiono i quaderni della figlia  minore Charlie (Milly Shapiro) o la passione sfrenata per la marijuana del figlio adolescente Peter (Alex Wolff). Eppure, a partire dal funerale della nonna Ellen, il male inizierà a insinuarsi in casa Graham, conquistando pezzo per pezzo ogni singolo membro della famiglia, in nome di un destino ormai segnato e inevitabile.

Attenzione! Questo articolo contiene spoiler sul film in questione!

UNA FAMIGLIA MATRIARCALE IN UNA CASA DI BAMBOLE

Uno degli elementi che inseriscono Hereditary tra i più apprezzati horror degli ultimi anni si ritrova sicuramente nei personaggi e nella loro gestione in rapporto al film stesso e allo spettatore. La famiglia Graham è un matriarcato, si regge quindi su un sistema di parentela esclusivamente materna; oltre al nucleo familiare più stretto padre-madre-figli, infatti, l’unico parente a cui si fa riferimento è la nonna Ellen, madre di Annie. Il marito di quest’ultima, Steve (interpretato da Gabriel Byrne), padre di Peter e Charlie, sembra infatti non avere altro al mondo che moglie e figli, e di certo il suo cognome non è sufficiente a renderlo effettivamente un capofamiglia (o un “patriarca”, per restare in tema). È Annie ad avere il comando in casa, lei ha la personalità più forte, ereditata (guarda un po’) proprio dalla madre Ellen. È evidente, poi, come i personaggi femminili hanno una valenza decisamente maggiore rispetto a quelli maschili che, invece, sembrano costretti ad accettare passivamente ciò che accade intorno a loro, a cominciare dall’incidente iniziale fino alla grande rivelazione finale. Certo, Annie o Charlie non hanno una vera capacità decisionale, tuttavia le loro azioni si configurano come un vero e proprio motore per l’intera vicenda, anche se guidate da qualcosa che è già stato scritto. Come ha rivelato lo stesso Ari Aster a Variety poco dopo l’uscita del film, la mancanza di libero arbitrio è l’elemento centrale dell’intera vicenda, e sono le decisioni prese in passato da altri a condizionare e segnare il destino dell’intera famiglia. Anche le miniature che Annie costruisce con cura e attenzione rappresentano soltanto una mera illusione di controllo: casa Graham è a tutti gli effetti una casa di bambole, in cui le persone si muovono grazie alle mani di qualcun altro, qualcuno che si trova al di sopra di loro e a cui non è possibile sfuggire.

IL DIAVOLO IN FORMA DI MADRE

Proprio in virtù di questo sistema matriarcale su cui si regge la famiglia Graham, è la figura della madre ad essere fondamentale; Annie non è una madre amorevole, non accompagna i figli nel loro incontro con il mondo, è piena di una rabbia, che riguarda anche il suo essere madre, che non ha mai potuto sfogare. La scena del violento litigio tra Annie e Peter (con un’interpretazione indimenticabile di Toni Collette) è forse quella che segna l’inevitabile tracollo della famiglia, già ferita nel profondo dalla morte della piccola Charlie. Gli sguardi che la madre rivolge al proprio figlio sono carichi di odio, di un rancore profondo, che alla fine esplode, riversando sul tavolo da pranzo anni e anni di frustrazione: Annie detesta essere madre in quella famiglia, odia il compito che le è stato assegnato, ovvero quello di dover proteggere costantemente i propri figli, non è riuscita a sopportare il peso che ogni madre porta sulle proprie spalle.

Dopo due figli Annie non è ancora in grado di soddisfare le aspettative che il mondo le pone davanti in quanto madre, e questa frustrazione insopportabile la trasforma in una furia, fino a farla diventare una vera e propria figura demoniaca, che nelle scene finali darà letteralmente la caccia a Peter in ogni angolo della casa. L’illusione di controllo che la donna ha costruito in tutto questo tempo crolla definitivamente, come le miniature che stava costruendo nel suo studio; le parole “io sono tua madre” riecheggiano nella sala da pranzo, come a voler dire che è lei a comandare e che tutti (Peter per primo) devono soccombere davanti a lei. E soccomberanno tutti, ma davanti alle scelte di Ellen, anche lei una madre diabolica, pronta a sacrificare l’intera famiglia per raggiungere i suoi malvagi scopi.

RIBALTAMENTO TRA MASCHILE E FEMMINILE: LA SCENA FINALE NELLA CASA SULL’ALBERO

Come già detto in precedenza, all’interno di Hereditary le donne sono decisamente più forti degli uomini; tuttavia, la figura femminile e quella maschile si trovano in costante sovrapposizione e si sovvertono più volte, sempre in virtù del tragico destino che incombe sulla famiglia. La nonna Ellen, membro importante di una setta, ha predisposto la sua famiglia ad essere veicolo per l’incarnazione del demone Paimon, uno dei re degli Inferi, da lei adorato. Questa figura demoniaca è in grado di incarnarsi soltanto in un corpo maschile, ed Ellen sceglie di utilizzare Peter per accoglierlo: l’uomo diventa così pura fisicità, semplice involucro per qualcos’altro, strumento per arrivare a un obiettivo superiore. Paimon si trasferisce nel corpo del ragazzo, dopo essere stato ospitato in modo provvisorio all’interno di Charlie.

Nella casa sull’albero, i membri della setta pongono una corona sul capo di Peter, mentre i corpi senza testa di Ellen ed Annie sono inginocchiati ai suoi piedi; lo chiamano Charlie, poi Paimon; così, nello spazio di un piccolo triangolo, si conclude un lungo e angosciante rituale di invocazione  durato poco più di due ore, che ha visto una famiglia intera soccombere pezzo dopo pezzo all’eredità di un male antico e al tragico destino che era già stato scritto per loro.

Questo articolo è stato scritto da:

Renata Capanna, Redattrice