Il 27 maggio ricorre il compleanno del regista Giuseppe Tornatore, fra i cineasti più influenti del panorama italiano a partire dagli anni Ottanta. Dopo l’esordio con il thriller Il camorrista (1986), la filmografia dell’autore siculo si caratterizza per una costante sperimentazione di generi cinematografici, dal dramma alla commedia, dal mystery alle love story, senza dimenticare l’impegno come documentarista, che ha recentemente dato vita al suo ultimo film, Ennio (di cui abbiamo scritto la recensione).

Correva l’anno 1956 quando Giuseppe, detto “Peppuccio”, nasce a Bagheria, centro poco distante dalla provincia di Palermo, città che sarà nido dell’autoeducazione al cinema del regista. Prima proiezionista presso il cinematografo di paese, poi il viaggio a Roma, stringendo tra le mani una sceneggiatura che sarà accolta dalla storica casa di produzione Titanus. Due anni dopo, il successo-insuccesso di Nuovo Cinema Paradiso: pellicola martoriata dal montaggio, rifiutata e screditata in patria, poi osannata da critica e pubblico dopo la vittoria dell’Oscar al miglior film straniero nel 1990. 

Per celebrare i 66 anni di un regista poliedrico e, soprattutto, cinefilo, vogliamo proporre tre pellicole meno note della sua filmografia al fine di poter apprezzare ulteriormente lo stile e l’autorialità del cineasta siciliano. 

Se invece volete recuperare la sua produzione puramente siciliana, vi rimandiamo a questo articolo

STANNO TUTTI BENE

Stanno Tutti Bene rappresenta il terzo lungometraggio del regista, realizzato successivamente al più noto e già citato Nuovo Cinema Paradiso (1988). Nonostante il successo derivato dalla vittoria agli Academy Awards, Tornatore vive in primis il dramma del rifiuto di un film a lui tanto caro, in quanto girato nella natìa isola. Dalle radici di tale sconforto, ben prima dell’inaspettato successo, il cineasta scrive una sceneggiatura tanto grottesca quanto amara, perfetta espressione di uno sguardo disilluso e abbattuto.

Con un Marcello Mastroianni alla sua ultima interpretazione, Stanno Tutti Bene è un lungometraggio critico sulla perdita dei valori della famiglia e sulla nuova generazione di “figli” soli, colmi di sconforto e privi di obiettivi. Matteo Scuro (Mastroianni) è un anziano genitore il quale, stanco di non riuscire mai a riunire la sua progenie durante le vacanze estive, a fine stagione decide di imbracciare la valigia e un pacco di doni siculi per recarsi lui stesso a far visita ai propri figli sparsi per il Continente. 

Tuttavia, il pellegrinaggio da una città all’altra si rivelerà colmo di amarezza, un percorso di progressiva disillusione verso un’Italia tutta sull’orlo di una mutazione irreversibile. «La nostra terra non è bella di per sé come dicono tutti, è bella perché le cose lontane sembrano migliori» asserisce lo stesso Matteo riferendosi alla sua Sicilia cristallizzata in un tempo distante, un ventre materno dal quale osservare il mondo senza subirne i contraccolpi. Il protagonista, prima del viaggio, ha sempre osservato il mondo attraverso i suoi grandi occhiali da vista che, in certi momenti, paiono come due lenti di una cinepresa che registra i cambiamenti e le illusioni di un uomo (troppo) legato alle tradizioni e agli antichi valori.

Vincitore del Premio della Giuria Ecumenica a Cannes nel 1990, Stanno Tutti Bene è un film duro, difficile da assimilare in quanto tanto cupo quanto onesto rispetto all’Italia degli anni Novanta, in preda alle incertezze e a un’inquietudine generazionale

UNA PURA FORMALITÀ

Citazione: «Ricordare è come un po’ morire» 

Presentato in concorso alla quarantasettesima edizione del Festival di Cannes, Una pura formalità (1994) rappresenta una profonda riflessione sulla natura tecnica ed espressiva delle immagini da parte di Giuseppe Tornatore. In una notte tempestosa, i gendarmi di avamposto individuano un uomo senza documenti (Gérard Depardieu) e con apparenti segni di amnesia. Portato nell’ufficio del commissario (Roman Polanski), questi inizierà un lungo percorso per scoprire la sua vera identità. Caratterizzato da una maniacale attenzione stilistica, Una pura formalità si configura come un puzzle film contaminato da elementi del genere noir contemporaneo: un prodotto che assorbe, dunque, lo spirito sperimentale del cinema degli anni Novanta (che avrebbe dato vita a grandi film quali Memento, Fight Club o Pulp Fiction). Tuttavia, la concentrazione sulla strutturazione del racconto non sovrasta la necessità di un rispecchiamento fra la storia e la cinematografia. Il rompicapo, architettato da un Tornatore sceneggiatore e montatore, si armonizza con uno studio sulle inquadrature dal gusto squisitamente espressionista e connotate da una costante monocromia, spezzata esclusivamente da alcuni oggetti color blu cobalto, i quali risulteranno centrali nella ricostruzione del passato del protagonista. Ambientato in uno spazio angusto (del tutto simile, in un certo senso, a una claustrofobica cabina di proiezione), Una pura formalità è un rebus sofisticato che mantiene lo spettatore letteralmente incollato allo schermo.

LA SCONOSCIUTA

Ispirato a un fatto di cronaca riguardante il racket della prostituzione di ragazze provenienti dall’Est Europa, La sconosciuta è un film del 2006 vincitore di cinque David di Donatello, fra i quali Miglior Film, Miglior Regista e Miglior Attrice Protagonista. Irena (Ksenia Rappoport) è un’ex prostituta ucraina: giunta nella fittizia città veneta di Velarchi, la donna intende a tutti i costi cercare una posizione presso un elegante palazzo del centro. Per quale motivo? Qual è il vero passato di Irena e di cosa è alla ricerca? 

Presentato nella sezione Première della Festa del Cinema di Roma, il film è un lungometraggio connotato da una costante e percepibile tensione, acuita dalla colonna sonora composta da Ennio Morricone. Tale nervosismo viene espresso, soprattutto, dall’intensa e struggente performance dell’attrice Ksenia Rappoport, del cui volto enigmatico il regista ci dona una serie di scarni e intensi primi piani. Girato in una Trieste connotata da cromie fredde, il cineasta sperimenta una costruzione d’inquadrature volta a porre in risalto le alterità fra i personaggi e la loro appartenenza a milieu sociali differenti. Ma La sconosciuta è anche un film duro e feroce che non lascia sottintese le violenze perpetrate sulle ragazze che, come Irena, sono costrette a subire soprusi al fine di poter guadagnare abbastanza denaro per poter iniziare una nuova vita. Si tratta probabilmente del film più impegnato del regista dopo Il camorrista, realizzato vent’anni prima, e certamente risulta degno di una visione.

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Shannon Magri, Redattrice