È il 6 marzo 1998 quando viene proiettato nei cinema italiani Gattaca – La porta dell’universo (la cui uscita negli Stati Uniti avviene nel 1997), il film d’esordio del regista e sceneggiatore Andrew Niccol. Egli dimostra fin da questo primo lavoro la sua propensione alla creazione di futuri distopici e comunità scientificamente avanzate, che verrà espressa anche con The Truman show (Peter Weir, 1998) a cui Niccol lavorerà un anno dopo come sceneggiatore e In time (2011).
Quest’impostazione fantascientifica viene raffigurata in Gattaca con la narrazione di una nuova società in cui il progresso tecnologico ha dato la possibilità di imporre un rigore scientifico alla nascita dei bambini, per garantire loro il miglior corredo genetico possibile. È in questo contesto che si svolge la vita di Vincent, un ragazzo che rientra tra i pochi concepiti nella vecchia maniera, tramite un rapporto. Il protagonista è vittima delle nuove forme di classismo sviluppate, basate ora non più sul guadagno ma sul DNA degli individui. Coloro i cui geni venivano selezionati dal caso tramite il concepimento tradizionale non avevano la speranza di ambire a posizioni elevate, ma erano costretti perlopiù a lavorare nelle imprese di pulizie, come anche Vincent farà per un periodo. La sua vita però cambia quando gli si paventa la possibilità di commettere una frode nei confronti del sistema. Incontra Jerome (Jude Law), un umano moderno e geneticamente valido costretto però su una sedia a rotelle per un incidente. Il protagonista decide di sfruttare il suo corredo genetico inutilizzato per realizzare il suo sogno di lavorare nell’ente aerospaziale di Gattaca e partecipare a missioni interstellari. Si munisce così di sacche contenenti il sangue e le urine di Jerome per i controlli quotidiani alla stazione spaziale, e assume la sua identità. Per tutto il film Vincent cerca di sfuggire alle indagini da parte della polizia in seguito alla morte di un suo superiore, impegnandosi meticolosamente per non fornire loro tracce del suo DNA.
La crisi dello sguardo
Immaginando una simile società futura Niccol mette in risalto una caratteristica dell’epoca definita postmoderna, e che certamente si può ritenere affermata negli anni ’90. Basando il riconoscimento degli individui sul loro corredo genetico più che sul loro aspetto (viene più volte ribadito come le fotografie siano inutili per il riconoscimento) viene evidenziata una generale mancanza di fiducia nella vista, forse legata, all’interno della nostra realtà, ai progressi del cinema e in particolare al filone fantascientifico e alla vasta possibilità di effetti speciali che offriva. Lo spettatore degli anni ’90, diversamente da quello di inizio ‘900, aveva interiorizzato le modalità narrative cinematografiche e aveva compreso quanto poco veritiera fosse la realtà rappresentata sullo schermo.
Questa forma di crisi della visione, proiettata all’interno di un contesto futuro, richiama le vicende narrate in Gattaca, in cui la vista non solo non è più affidabile, e per questo viene rimpiazzata da quotidiani controlli del sangue in grado di fornire dei dati precisi; ma perde importanza in quanto associata ad una capacità più umana e naturale, che non viene ritenuta meritevole di considerazione se paragonata al potenziale di precisione dei calcoli scientifici (per approfondire l’argomento si consiglia la lettura de L’alieno e il pipistrello – La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Gianni Canova, 2022).
L’umanità viene quindi presentata come ormai facente parte di un più ampio ed evoluto sistema tecnologico in cui il valore dell’uomo viene matematicamente calcolato, e dipende più dal suo ipotetico potenziale che da ciò che egli dimostra davvero di saper e voler realizzare.
L’inumanità della modernità
Il futuro immaginato da Niccol propone una prospettiva in cui la consapevolezza della propria umanità viene surclassata dalle innovazioni tecnologiche, che permettono di valutare l’uomo e di inserirlo nella società sulla sola base del suo potenziale, espresso dal corredo genetico. Questa umanità disumanizzata che ha ormai preso il sopravvento viene smontata da Vincent nel confronto con suo fratello Anton. Quest’ultimo, al contrario di lui, era stato concepito secondo i metodi contemporanei, e la sua prestanza fisica gli aveva garantito una maggiore considerazione da parte dei genitori, un atteggiamento che aveva portato Vincent ad andar via di casa molto presto. Da bambini però c’era un gioco che i due facevano spesso, cioè nuotare in mare e vedere chi sarebbe riuscito ad andare più al largo. Aveva ovviamente sempre vinto Anton, meno che una volta. Questo significava forse che le possibilità dell’uomo esulavano dalla precisione perentoria dei calcoli scientifici? Su questo punto il regista insiste in diversi momenti, fin dal tema principale che presenta. Tutta la narrazione, infatti, si articola sulla falsa identità che Vincent deve mantenere per realizzare il suo sogno, e i rischi che deve evitare per non farsi scoprire. Una volta riuscito ad entrare a Gattaca grazie ad un DNA altrui però non è difficile per lui ambientarsi. La sua passione per l’astronomia e le sue capacità gli permettono subito di guadagnarsi la stima dei suoi superiori insieme a numerose possibilità lavorative.
Vincent rappresenta una crepa umana nel sistema dell’elaborazione scientifica, la quale è un ostacolo interposto tra i desideri individuali e la società. La sua controparte, Jerome, contribuisce in un modo differente ad esasperare questo messaggio. Anche lui, rimasto invalido e vincitore di numerosi secondi premi nelle competizioni di nuoto, costituisce un errore di calcolo. La riuscita quindi dell’obiettivo di Vincent, un invalido, e il fallimento di vita di Jerome evidenziano la fallacia della tecnologia quando applicata ad un campo totalmente umano, cioè quello delle passioni e dell’impegno per l’autorealizzazione.
In una società emotivamente fragile, cosciente di star vivendo un’evoluzione veloce e improntata al sopravvento tecnologico, Vincent e Jerome dimostrano il modo in cui al suo interno ci sia ancora posto per i desideri e le passioni sincere, e come la vita dell’uomo sia ancora soggetta all’inesorabile fatalità del caso.
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