QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER SULLE PELLICOLE IN OGGETTO

«Ancora la censura ha un ruolo forte nel cinema ma basta ritrovarsi a cena con amici per vedere quanto ancora i tabù siano parte della società»

Gaspar Noè, regista, sceneggiatore, montatore, produttore cinematografico e direttore della fotografia argentino, nasce a Buenos Aires nel 1963, figlio del pittore argentino “Yuyo” Noé, per poi trasferirsi a Parigi per sfuggire alla dittatura civile-militare che si autodefinì “Processo di riorganizzazione nazionale della giunta militare” di J.R. Videla.

Lo stile di Noè è sempre stato associato al New French Extremity, un movimento del cinema francese contemporaneo che si caratterizza per l’estrema crudezza delle sequenze messe in scena. Indubbiamente, il movimento e i suoi esponenti vogliono rompere ogni tabù riguardo a ciò che è ritenuto ‘socialmente accettabile’ per la rappresentazione cinematografica, tramite una narrazione estremamente ridotta, ma ricca di brutalità. Lo stupro è l’atto più ricorrente, volto ad evidenziare la mostruosità umana. Il nostro regista ha persino inserito un avvertimento agli spettatori in Seul contro tous (1998).

Le sue fonti di ispirazione sono molteplici e ne propone chiari riferimenti nelle sue produzioni: Suspiria (D. Argento, 1977), Salò e le 120 giornate di Sodoma (P.P. Pasolini, 1975), il Neorealismo italiano e il cinema giapponese e americano degli anni Settanta. Tutto ciò è riassunto in una scena di Love (2015), poiché nella stanza del protagonista vi sono appesi i poster di alcune delle pellicole sopracitate e non solo: 2001: Odissea nello spazio (S. Kubrick, 1968), M – Il mostro di Düsseldorf (F. Lang, 1931), Cannibal Holocaust (R. Deodato, 1980), Angst (G. Kargl, 1983), Baby Doll (E. Kazan, 1956) e Taxi Driver (M. Scorsese, 1976).

Gaspar Noé è un autore volutamente scomodo, che ama sconvolgere il proprio pubblico tramite argomenti provocatori: sesso, droga, morte, follia. Il regista ama esibire le perversioni umane, i sentimenti più oscuri e l’irrazionalità che nessuno aveva mai avuto il coraggio di approfondire perché giudicati “non socialmente accettabili”. La maggior parte dei personaggi sono mossi da sentimenti violenti, faticano a resistere ai propri istinti e intravedono nella loro concretizzazione una via per la catarsi.

A scioccare è la messa in scena di questa violenza gratuita, sebbene sia mostrata in maniera assolutamente personale: il regista franco-argentino concepisce la macchina da presa come uno strumento espressivo. Le riprese sembrano essere connesse ai tormenti dei personaggi e lo spettatore scopre con loro l’evolversi degli eventi.

Le prime produzioni

Le prime produzioni del regista franco-argentino appartengono senza ombra di dubbio al New French Extremity: Carne e Seul contro tous.

Carne (1991) è uno dei primi mediometraggi di Noé, che dà il via alla controversa filmografia del regista e pone le basi dello stile del primo lungometraggio, Seul contro tous (1998). Racconta la storia di un uomo che, dopo il rifiuto da parte della moglie di riconoscere la figlia appena nata, è rimasto solo con la bambina Cynthia. Nel frattempo, lei diventa una ragazza e il padre sviluppa un’attrazione incestuosa nei suoi confronti. Quando viene a scoprire che un giovane operaio ha (presumibilmente) stuprato la figlia, lo uccide senza pietà. A colpire è ancora una volta l’estrema crudezza delle immagini, in cui a dominare è il colore rosso, associato inizialmente al suo mestiere (macellaio di equini) e in seguito all’omicidio commesso, di cui si sporcherà irrimediabilmente le mani. Come anticipato, qui sono presenti i principali tratti stilistici che caratterizzano i film successivi: montaggio serrato, crudezza delle immagini, predominanza del colore rosso e l’apparizione improvvisa di didascalie sullo schermo.

Nel 2002 il giovane regista presenta al Festival di Cannes Irréversible, film che ha suscitato scandalo e non poche critiche. Per la prima volta vede come protagonisti due volti noti al panorama internazionale: Monica Bellucci e Vincent Cassel, rispettivamente nei panni di Alex e Marcus. Utilizzando tutti gli espedienti stilistici che caratterizzano il suo cinema, il film inizia a ritroso: conosciamo Marcus mentre cerca disperatamente un certo Le Tenia, che si scoprirà solo più tardi essere il presunto stupratore e aggressore della fidanzata Alex. L’immedesimazione dello spettatore è resa possibile grazie alle riprese in semi-soggettiva iniziali girate a mano libera, volutamente disorientanti affinché traducano la sensazione di confusione provata da Marcus durante la sua ricerca spasmodica. Proprio come in Carne, domina il colore rosso nelle scene iniziali girate nel postribolo gay e nel tunnel dell’aggressione. La scena madre del film è senza dubbio lo stupro dalla durata di ben 9 minuti, che è stata filmata in un unico long take: una sequenza lunghissima, cruda, che spinge lo spettatore al limite della sopportazione. Noé non aveva specificato quanto tempo sarebbe dovuta durare la scena, perché voleva che fosse Monica Bellucci a dirigere il tutto. Si tratta di una sequenza non facile da sopportare, e pare che durante la proiezione a Cannes alcuni spettatori lasciarono la sala. Un film che ha provocato delle conseguenze anche nella realtà: a causa dello shock causato da questa scena, il sottopassaggio della Boulevard parigina è stato trasformato in area pedonale. Come era prevedibile per un film fuori dalle righe, il giudizio della critica non è stato assolutamente omogeneo, con numerose recensioni negative principalmente dovute alla messa in scena di tanta violenza gratuita. Nonostante ciò, ne è stata riconosciuta l’assoluta particolarità, al punto da essere stato inserito nella lista dei “1001 film da vedere prima di morire” del produttore Steven Schneider.

Enter the void (2009)

Noé torna in sala nel 2009 con Enter the Void, definito dal regista stesso come un “dramma psichedelico”: il progetto più ambizioso dell’intera filmografia.  Il protagonista è Oscar, un giovane spacciatore che vive in Giappone e fa uso di sostanze allucinogene (la DMT). Le riprese in soggettiva che seguono Oscar per i primi 8 minuti permettono l’immedesimazione dello spettatore, che può persino accedere alla sensazione di stordimento che deriva dall’uso di queste sostanze. Dopo la morte del protagonista, avvenuta a pochi minuti dall’inizio del film, inizia un viaggio alla scoperta dei suoi traumi d’infanzia che lo hanno portato a condurre una vita così corrosiva.

In questa pellicola, viene trattata una delle tematiche più care al regista: la morte e, più in generale, la caducità dell’essere umano. Noé è fortemente convinto che “tutto ha a che fare con la morte” ed è in questo film che, tramite i suoi personaggi, sono portate in scena delle riflessioni sull’aldilà e su ciò che potrebbe accadere dopo la morte. Il film mostra infatti Oscar, divenuto fantasma, che continua ad osservare gli eventi della realtà senza possibilità di interazione, come letto da egli stesso nel “Libro tibetano dei morti”. Noé mette non di rado in scena dei personaggi che vivono esperienze extracorporee e la DMT non è una droga scelta a caso: secondo Terrence McKenna, la DMT  è una droga “con un pensiero”, perché in grado di metterti in contatto con delle entità capaci di comunicare con te, una vera e propria evoluzione del nostro linguaggio.

Tutto ciò viene rappresentato tramite un linguaggio cinematografico estremamente complesso e stupefacente: i “trip” mentali del protagonista sono stati resi grazie ad un importante lavoro di post-produzione e con immagini modificate al computer. Inoltre, il film vanta un’atmosfera estremamente suggestiva grazie al direttore della fotografia Benoît Debie. Ancora una volta, il regista mostra la volontà di andare oltre i limiti della rappresentazione, questa volta non solo da un punto di vista tematico, ma anche visivo.

Vortex (2021)

La più recente fatica di Gaspar Noé è Vortex, definito dai critici come una pellicola esistenzialista costruita sui corpi in disfacimento dei protagonisti. Si tratta di un film che si distacca dallo stile audace adottato precedentemente dal regista, pur risultando tematicamente coerente con le produzioni precedenti, con la sostituzione di droghe e sessualità con la vecchiaia, la debolezza, la paura di essere fallibili. La narrazione avviene interamente in split-screen e racconta la storia di un’anziana coppia, la cui salute è oramai fragile e a cui non resta molto tempo: la moglie si ammala di Alzheimer e il marito diventa portavoce della sofferenza causata dalla malattia di una persona a lui cara e della naturale preoccupazione di non essere capaci di prendersene cura. La protagonista è interpretata dall’icona della Nouvelle Vague Françoise Lebrun,mentre  nei panni del marito troviamo il maestro italiano dell’horror Dario Argento. Lo spettatore ha la sensazione di spiare la vita della coppia senza filtri, osservandone la quotidianità nel loro appartamento, luogo dei ricordi di una vita.

La storia è questa volta ispirata alla vita personale del regista: nel 2019 Noé ha avuto un’emorragia cerebrale ed è stato salvato grazie ad un intervento d’urgenza, facendo esperienza diretta della caducità umana; inoltre la malattia dell’anziana richiama la demenza senile di cui soffrì la madre del regista.

Conclusione

Gaspar Noé è autore di un cinema irriverente e provocatorio e sin dalle sue prime produzioni, ha realizzato opere che hanno diviso gli spettatori, tra coloro che gridano allo scandalo e coloro che apprezzano il coraggio di mettere in scena l’irrazionalità e i sentimenti che la società tenderebbe a nascondere.  Non limitandosi a mettere in scena temi così scandalosi, l’obiettivo del regista è coinvolgere lo spettatore e stimolare la riflessione. Un invito ad abbandonarsi ai propri sentimenti più profondi e ai propri istinti.

Alessia Agosta
Alessia Agosta,
Redattrice