In psicologia esiste un concetto tuttora controverso per quanto riguarda le applicazioni cliniche ma che gode comunque di una definizione condivisa: la pulsione di morte (Thanatos). Un’idea freudiana piuttosto conosciuta, l’opposto di Eros (l’istinto di sopravvivenza, la ricerca del piacere), una forza autodistruttiva che ci spinge verso la non-esistenza, verso la morte, appunto, ma allo stesso tempo una spinta pulsionale che ci riconduce irrazionalmente a una trapasso concepito come nuda e cruda assenza di vita, e come tale osservata con sguardo distaccato, a tratti placido e a tratti aggressivo, in base all’individuo. Thanatos (così come Eros) si manifesta quotidianamente nei modi più disparati, in forme varie, inaspettate, spesso senza preavviso, è un substrato di depravata fascinazione che ci può spingere a consumare contenuti perversi, urticanti. Un concetto ben conosciuto dai media che con la cronaca nera lucrano sull’attrazione dell’Uomo verso il macabro, narrando (e narrativizzando) le sciagure umane attraverso la parola e le immagini, riproponendo frammenti di omicidi, riavvolgendo il nastro delle oscenità, dando i filmati in pasto a un pubblico complice di questo meccanismo manipolatorio. Funny Games parla di tutto questo, e non solo, tanto nel contenuto quanto nell’approccio metacinematografico.
I due assassini Paul e Peter
Il film del 1997 di Michael Haneke, ‘remakizzato’ shot-to-shot dieci anni dopo in America dallo stesso regista, torna al cinema grazie a I Wonder Classics e a distanza di ventisei anni scuote ancora le sale spiazzando di nuovo il pubblico con la stessa potenza (e prepotenza) degli anni novanta, come l’urlo improvviso di “Bonehead” dei Naked City squarcia la sequenza d’apertura al comparire del titolo: l’incipit è una dichiarazione d’intenti perché il capolavoro di Haneke, al pari delle due pulsioni che caratterizzano la nostra vita quotidiana, gioca interamente su due piani che di tanto in tanto si intersecano con un’invasione di campo, la stessa dei maniaci assassini Paul e Peter (Arno Frisch e Frank Giering) nella dimora benestante di Anna, Georg e il figlio Schorschi (Susanne Lothar, Ulrich Mühe e Stefan Clapczynski) dando sfoggio di qualsiasi aberrazione passi loro per la testa.
Questa continua giustapposizione fra placido e orrorifico, quiete e tempesta, Eros e Thanatos, crea un effetto di straniamento disarmante per quanto realistico. Questo strano accostamento e il conseguente sentimento di disagio nascono già dalla recitazione impartita da Haneke1, che suggerì agli assassini di recitare come fossero in una commedia e alle vittime come in un dramma, generando un clima dissonante e inquietante che permea tutto il film e che priva i due criminali d’ogni carattere d’umanità. Con il loro portamento mansueto e la divisa bianca da golfisti, Paul e Peter sono figure quasi astratte, archetipi del Male assoluto, eppure estremamente realistici, concreti.
Nel 2007 Ulrich Mühe è deceduto per un tumore allo stomaco, mentre Susanne Lothar ci ha lasciato appena cinque anni dopo per cause tuttora ignote
Così Funny Games non è soltanto un home invasion ma travalica i generi, trapassa il confine fra schermo e realtà riflettendo sul cinema e al contempo sul nostro mondo. L’indagine sulla realtà si tramuta in un trattato sull’etica dello sguardo (non distante da ciò che farà Jordan Peele 25 anni dopo con Nope, sebbene legato alla società dello spettacolo) grazie alle due sequenze apparentemente banali ma teoricamente fondamentali, prima quella della rapida occhiata in camera di Paul per cercare la complicità dello spettatore che come un voyeur sta seguendo inerme le violenze, poi l’epocale rewind che ‘riavvolge il nastro’ proprio come se stessimo interagendo con una vhs o un dvd (a cui seguirà la battuta di uno dei due pazzi assassini dopo aver gettato il corpo di Anna dalla barca: “ma questo si vede nel film?”).
Lo sguardo d’intesa con lo spettatore
Il rapporto realtà-rappresentazione è un’ossessione che attraversa praticamente tutto il cinema del regista austriaco, partendo da Benny’s Video e arrivando a Niente da nascondere, ma qui l’approccio ‘meta’ permette al film di abbattere completamente le barriere cinematografiche, andando oltre al lavoro teorico sul semplice medium e parlando direttamente alla coscienza del pubblico. Il gusto di riavvolgere, indugiare con ossessione sui particolari, ricercare compulsivamente la violenza senza averne mai abbastanza guidati da una sete insaziabile: fin dove può spingersi lo sguardo dello spettatore in un mondo con le atrocità a portata di click? Fin dove è moralmente giustificata la curiosità? Per questo è giusto sentirsi in colpa guardando Funny Games, è naturale come la pulsione di morte che ci permette di trarre godimento dalle immagini, spostando sempre un po’ più in là l’asticella della moralità.
Il volto consumato di Anna
Funny Games è l’amico scomodo a cui torni a far visita ogni tanto, un compagno di vita sempre pronto a creare il malessere di cui sei testimone e la violenza di cui sei complice. Un’amicizia fondata sul disagio, un legame difficile da sopportare, eppure sempre sincero, che torna ciclicamente senza bussare alla porta. Lo fa per il nostro bene, fungendo da campanello d’allarme, dandoci uno schiaffo per svegliarci dal torpore. L’etichetta di “cult” gli sta stretta, implicherebbe un’importanza legata a questioni contingenti, così come quella di “film dell’orrore”. No, Funny Games non è solo un cult e non è soltanto un film horror, è un capolavoro assoluto, di quelli senza tempo, perché proprio il tempo non scalfisce mai il suo carico teorico. Fidatevi, se non avete mai conosciuto questo strano soggetto che vi scruterà con aria di sfida dalla soglia della sala, fatevi coraggio e fiondatevi al cinema. Se invece già da tempo coltivate quest’amicizia malsana ma necessaria allora non perdete l’occasione di mantenere saldo il rapporto, non lasciate che si eroda, probabilmente l’amico arrogante avrà ancora tante cose da dirvi.
Riferimenti bibliografici:
1 Haneke, M., 2019, Non ho niente da nascondere. Interviste sul cinema e sulla vita, Il Saggiatore, Milano

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