UN SELF-MADE MAN DA OSCAR

«Non ci sono regole nel fare cinema, solo peccati. E il peccato capitale è la Noia»

Frank Capra è sicuramente uno dei registi più importanti dell’epoca d’oro Hollywoodiana (’30/’40). Un self-made man che divenne autore di opere originali e indimenticabili, capaci di far riflettere e divertire allo stesso tempo.

Il vero nome di Frank Russell Capra era Francesco Rosario Capra, nato a Palermo da una famiglia estremamente semplice ed emigrò all’età di cinque anni con la famiglia negli Stati Uniti. Dopo una serie di lavoretti precari, l’incontro con il cinema fu piuttosto fortuito: la casa di produzione Fireside annunciò che si trasformava in uno studio cinematografico e cercava personale. Così venne introdotto nel mondo del cinema e, sebbene avesse ancora tanto da imparare, fu qui che imparò un semplice principio “un uomo, un film” (celebre sin dai tempi di D.W. Griffith) che non ha mai dimenticato. Restando fedele a questo credo, lasciò perdere tutti i film in cui non gli veniva garantito il controllo dall’inizio alla fine. Nella sua biografia afferma che si avvicinò al cinema «con la meraviglia di un bambino, ma anche con la razionalità di una mente scientifica».

Dopo aver lavorato come gag writer per Mack Sennett, «il re della commedia», la sua fortuna fu l’approdo alla Columbia: quest’ultima cercava di affermarsi su un mercato dominato dalle Big Five (MGM, Warner Bros., Paramount, 20th Century Fox, RKO), Capra invece cercava un’autonomia che nessuna major gli avrebbe mai potuto concedere. La Columbia, tra il 1932 e il 1958, si identificava con il suo presidente: Harry Cohn, un personaggio pittoresco, geniale ma probabilmente l’uomo più odiato di Hollywood. A Capra fu concessa la massima libertà nel lavoro sin da subito; successivamente sarà il testimone del passaggio all’industria del cinema del dopoguerra, tutta concentrata sui divi. La prima vera star del suo cinema fu Barbara Stanwyck, protagonista di Femmine di lusso (1930), La donna del miracolo (1931) e Proibito (1932).

Barbara Stanwyck in Proibito (1932)

L’EPOCA D’ORO DI CAPRA

La svolta della sua carriera fu Accadde una notte (1934), con Clark Gable nei panni di uno scapestrato giornalista (un personaggio rivoluzionario che unisce in sé l’eroe e il comico) e Claudette Colbert nei panni di una viziata ereditiera. Sotto il velo della storia romantica dei due, Capra ha voluto mettere in scena una critica sociale, rappresentando dei ricchi e dei poveri nell’epoca della grande Depressione. A dire il vero, i due attori non erano contenti di lavorare insieme, ma Capra cercò di sfruttare al meglio questa diffidenza reciproca per dare maggiore credibilità al film. Questa pellicola, girata in sole quattro settimane e con un budget piuttosto modesto, è diventata un cult.

Non a caso fu il primo a vincere i cinque Oscar maggiori: miglior attore a Clark Gable, migliore attrice a Claudette Colbert, miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura non originale a Robert Riskin. Fu l’inizio dell’epoca d’oro per Capra.

Nei difficili anni della grande Depressione, si rese conto che il mondo aveva bisogno di speranza e soprattutto si rese conto dell’universalità del linguaggio cinematografico: tutti i cineasti affrontano le stesse difficoltà tecniche e artistiche, tutti raccontano gli stessi sentimenti.

I cinque film girati tra il 1936 e il 1941 ottennero complessivamente trentuno candidature e sei premi Oscar. Tra questi troviamo Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith Goes to Washington,1936), in cui James Stewart interpreta il giovane leader dei Boy Rangers Jefferson Smith, chiamato dal capo politico Jim Taylor a sostituire un senatore da poco scomparso. La motivazione della scelta è semplice: ciò che serviva loro era un uomo ingenuo e facile da manipolare, soprattutto che potesse non interferire con il progetto di Taylor. In questo sistema senza scrupoli, tentano di farlo apparire disonesto ma Smith non demorde, e riesce a commuovere tutti con un lunghissimo discorso di 23 ore al Senato sugli ideali americani di libertà. Quando cade svenuto, anche il suo nemico confessa la sua innocenza.

Aldilà dell’apparente ottimismo dei suoi film con finali rassicuranti e a lieto fine, traspaiono drammi sociali, familiari e morali molto più profondi. A guardarli bene, la risoluzione finale e improvvisa è quasi troppo ovvia e facile. Pensiamo ancora a Mr. Smith va a Washington e alla risoluzione che avviene solo negli ultimi minuti. Alla base vi si legge una dura critica sociale verso dei morali sempre più corrosi, persone spregiudicate che rovinano la vita altrui per migliorare la propria.

James Stewart in “Mr. Smith va a Washington” (1939)

LA SECONDA GUERRA MONDIALE E I DIFFICILI ANNI SUCCESSIVI

Gli anni della Seconda guerra mondiale rappresentano un altro punto di svolta nella carriera di Capra: tra il 1942 e il 1945 si arruolò nell’esercito americano per coordinare la propaganda bellica attraverso il cinema. Per conto del Dipartimento della Difesa realizzò Why we fight (1942-1945), sette documentari divulgativi che si proponevano di spiegare le cause della guerra alle giovani reclute. Questa la dichiarazione nei titoli di testa: «Lo scopo di questi film è di dare informazioni reali sulle cause e sugli eventi che hanno portato alla nostra entrata in guerra e sui principi per i quali stiamo combattendo.»

I film sono in buona parte costituiti da materiale di repertorio, Capra stesso ha affermato di non aver girato nulla, si è piuttosto trattato di un complesso lavoro di montaggio. Nel Secondo dopoguerra, Capra aveva ben chiaro di cosa non avrebbe parlato il suo prossimo film: della guerra. Provava repulsione nei confronti della guerra e, più in generale, di qualsiasi forma di violenza. Sono anni in cui, gli uomini sono pieni di dubbi: perché? Perché mia moglie e i miei figli? Dov’è Dio adesso?

Tuttavia, era fermamente convinto che la via migliore per far arrivare il messaggio al pubblico fosse la commedia: «Quando la gente si diverte, è più disponibile, crede in te. Non puoi ridere con qualcuno che non ti piace. E quando ridono, cadono le difese, e allora cominciano ad essere interessati a quello che hai da dire, al “messaggio”.»

Voleva così esplorare il cuore di un singolo uomo, i suoi dubbi e la sua lotta per sopravvivere.

Da qui, nasce il suo capolavoro del 1946 La vita è meravigliosa, tratto dal romanzo The Greatest Gift (Philip Van Doren Stern, 1939). Narra la storia di George Bailey, un uomo estremamente generoso che tira avanti servendo e aiutando gli altri, ma trascurando se stesso e i suoi sogni. A causa di un tracollo finanziario, tenta il suicidio ma il suo angelo “di seconda categoria” Clarence per convincerlo a non farlo gli mostra come sarebbe stata la vita dei suoi cari se lui non fosse mai nato.

Lo definisce il miglior film che abbia mai fatto, un film che parla ai depressi, agli sconfortati, ai disillusi per dirgli che nessun uomo è fallito, la vita di ognuno confina con la vita di tanti altri e se non ci fosse creerebbe un vuoto terribile.

«Strano, vero? La vita di un uomo è legata a tante altre vite. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto.»  (La vita è meravigliosa)

scena dal film “La vita è meravigliosa”

IL NOME SOPRA IL TITOLO

Frank Capra fu il primo regista a vantare il “nome sopra il titolo”, un privilegio concesso in precedenza solamente a due «padri fondatori dell’arte cinematografica», D.W. Griffith e Cecil B. DeMille. Ciò, conferma la completa autonomia di gestione e controllo di ogni suo film. Accettò le regole dello studio system ma rifiutò il controllo sulle sue opere: come sopra citato, la sua Hollywood si basava sul motto «un uomo, un film». Sebbene abbia dato vita a veri e propri capolavori, come testimoniano i 14 premi Oscar vinti, le sue opere sono state rivalutate solo a partire dagli anni ’80, grazie ad una serie di studi che si sono occupati di rileggere e rivalutare la sua produzione.

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Alessia Agosta, Redattrice