UN’OPERAZIONE PIONERISTICA NELLA STORIA DEL CINEMA
[L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER DELLE PELLICOLE IN QUESTIONE]
Negli ultimi decenni Richard Linklater è ricordato tra le altre cose per avere realizzato progetti sperimentali con al centro il concetto del tempo e la rappresentazione della crescita fisica e personale dei personaggi dei suoi film, sfruttando l’evoluzione stessa degli attori e filmando le sue pellicole a distanza di anni.
Una esperimento simile è stato portato avanti nell’arco di 20 anni dal grande regista della Nouvelle Vague François Truffaut tra il 1959, anno di uscita del capolavoro indiscusso I 400 colpi, e il 1979, anno in cui termina ufficialmente la storia di Antoine Doinel, alter ego dello stesso Truffaut, composta da 4 film e un cortometraggio, con la pellicola L’amore fugge.
La storia di Antoine Doinel è costruita sul fisico e l’interpretazione di Jean-Pierre Léaud, volto simbolo della Nouvelle Vague e del cinema francese in generale, recentemente omaggiato dal Torino Film Festival con il Gran Premio alla carriera.
ANTOINE E COLLETTE
Se sul celebre I 400 colpi è stato scritto tanto, meno visibilità hanno ricevuto le altre pellicole, nonostante siano anch’esse delle opere di assoluto livello. Dopo la fine del primo film, con un Antoine abbandonato da tutti e pronto con dolore ad affrontare l’età adulta, Truffaut non aveva in programma di creare dei seguiti. L’occasione si presentò quando gli venne chiesto di partecipare al film a episodi L’amore a vent’anni, per cui realizzò l’episodio Antoine e Collette, decidendo di ritornare sul personaggio perché “quando mi chiesero di fare un episodio, io non avevo idee su come illustrare il tema ed allora pensai di riprendere Jean-Pierre, che in quel momento era un po’ sbandato”. In questo episodio Antoine si innamora perdutamente di Collette, una giovane donna che si prende gioco di lui, non provando i suoi stessi sentimenti, e vive il suo primo impatto con i concetti di amore e odio, barcamenandosi tra i primi lavori e la ricerca della responsabilità, contrastata dalla sua impulsività e immaturità, messe in scena con grande leggerezza da un Truffaut che rivive i suoi vent’anni e dirige di conseguenza. Una piccola gemma nella prolifica filmografia del regista.
BACI RUBATI
Tuttavia è con Baci rubati che la storia di Antoine viene definitivamente rilanciata. In questo episodio ritroviamo un personaggio immaturo, appena dimesso dal servizio militare per instabilità di carattere, che va alla ricerca della sua amata Christine Darbon, amore condiviso anche da Truffaut verso la tua interprete Claude Jade, a dimostrazione di una continua compenetrazione tra la vita del regista e quella di Antoine, anche nei capitoli successivi a I 400 colpi. In questa libera e riuscitissima pellicola, nata dall’unione di diversi generi, dalla commedia al giallo arrivando fino all’erotico, Truffaut dipinge l’inquietudine di Antoine verso la vita e verso l’amore, in un processo di autosabotaggio a causa del suo carattere, sullo sfondo dei tumulti del 68’, regalandoci tra le altre cose una delle sequenze manifesto dell’intera Nouvelle Vague anche grazie alla performance eccezionale di Jean-Pierre Léaud, in cui il nostro protagonista cerca di comprendere chi preferisce tra la sua amata Christine e Fabienne Tabard, la moglie del suo datore di lavoro con cui ha avuto un incontro amoroso, ripetendo il nome delle due donne ed il proprio di fronte allo specchio, studiando le reazioni del suo viso e della sua mente.
In questo film Antoine si trasforma e, da persona incapace di accettare le griglie imposte dalla società come era nel primo film, si imborghesisce e accetta il compromesso, riappacificandosi con Christine. E se il tono da commedia pervade l’intera pellicola, una sottile tensione di fondo accompagna soprattutto l’ultima parte in cui un uomo, che da giorni pedinava Christine e interpretato da Serge Rousseau, si avvicina alla coppia e ribalta il punto di vista, dichiarando il suo amore alla ragazza e definendosi come definitivo, al contrario della provvisorietà di persone come Antoine, risultando di conseguenza folle, ma anticipando la fine della relazione tra i due che avverrà nelle pellicole successive. Che sia questo sconosciuto la vera coscienza di Truffaut, che dipinge ciò che avrebbe voluto perseguire proprio in quegli anni in cui veniva tacciato di imborghesimento e quindi in contrasto rispetto alla libertà delle sue prime opere? Anche per questo Baci rubati risulta essere un grande film, nonché l’opera più riuscita della saga di Antoine dopo I 400 colpi.
DOMICILE CONJUGAL
Passano due anni e Truffaut torna sul set con Domicile conjugal, tradotto criminalmente in italiano come Non drammatizziamo… è solo questione di corna. Questa pellicola, la più debole di tutto il ciclo, vede Christine e Antoine in attesa del loro primo figlio, mentre conducono un’esistenza felice, ma modesta, finché Antoine non si lascia affascinare dal fascino esotico di Kyoko, una cliente del suo capo, di cui diviene l’amante. In questa pellicola Truffaut soffre di una certa stanchezza espressiva e di un’indubbia reiterazione dei temi, ma è interessante come questa mancanza di innovazione sia riflessa nel comportamento di Antoine, nel momento in cui si stanca di Kyoko, quasi come se il regista dopo un paio di pellicole dedicate ad altro, abbia avuto piacere tornare nella vita di Antoine così come quest’ultimo a fine film ritorna da Christine, in una sorta di comfort zone.
L’AMORE FUGGE
Il ciclo di pellicole si conclude con il bellissimo L’amore fugge del 1979, nato quasi per caso, come raccontato dal regista in questo aneddoto: “Un giorno [il regista danese, ndr] Henning Carslen mi raccontò che aveva ereditato un cinema che Carl Theodor Dreyer aveva gestito fino alla morte, il Dagmar Theater a Copenaghen, e aveva proiettato tutto Doinel sotto forma di ciclo. C’erano giovani che avevano guardato tutto il giorno Doinel crescere, amare e invecchiare: è stato quando ho sentito questo racconto che mi è venuta voglia di fare un ultimo Doinel”. Dopo aver pubblicato il proprio romanzo autobiografico, Antoine vive il divorzio dalla moglie Christine e una relazione con la commessa Sabine. Nel frattempo rivedrà Colette, co-protagonista di Antoine e Collette, con la quale si confiderà. L’amore fugge è un film pienamente consapevole di essere l’ultimo dedicato a un Antoine, ormai trentacinquenne, ancora ossessionato dai suoi problemi sentimentali e non pienamente maturo, nonostante tutte le vicende che gli sono accadute. Truffaut riutilizza segmenti delle precedenti pellicole e si sforza di creare un film comprensibile a tutti, anche ai neofiti della saga, cercando di chiudere il cerchio e creando un’opera postmoderna. Se la pellicola ha indubbiamente il sapore di un già visto, la sincerità di Antoine nell’auto-analizzarsi e nell’affrontare i demoni del suo passato, compreso il complicato rapporto con la madre messo in scena ne I 400 colpi, e il trasporto emotivo con cui ci si approccia al film, dopo tante ore passate in compagnia del suo protagonista, la rendono inevitabilmente un’esperienza godibilissima. In questo film Antoine forse trova finalmente ciò che cerca, incontrando Sabine, una persona che, come lui, non comprende se è in grado di amare veramente o se le sue relazioni sono frutto di una serie di capricci. Insieme sono pronti a lanciarsi verso un futuro senza certezze, aperto a ogni evento, esattamente come il finale dell’opera.
Proprio come François Truffaut era pronto a lanciarsi verso nuove sfide, realizzando l’anno dopo il meraviglioso L’ultimo metrò. Con la sua morte, da lì a pochi anni, se n’è andato uno dei più grandi registi e innovatori della storia del cinema, grazie anche a opere come il ciclo di Antoine Doinel.
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