La vita scappa via in fretta, se uno non si ferma e non si guarda intorno rischia di sprecarla.
— Ferris Bueller (a inizio film)
Il 21 marzo comincia la primavera. In una soleggiata mattina di primavera del 1986 Ferris Bueller, studente di una high school fuori Chicago, decise di marinare la scuola per godersi un day off, una giornata di vacanza. Che cosa c’era di straordinario? Niente, eppure tutto.
Il film scritto e diretto nel 1986 da John Hughes Ferris Bueller’s Day Off, in italiano Una pazza giornata di vacanza, fu un successo all’uscita e oggi è un piccolo cult, forse perché, come altri lavori dell’autore, raccontava morali e disfatte degli adolescenti nel periodo in cui l’adolescenza stava esplodendo come fetta di mercato, e forse anche più intrinsecamente perché è un film su un outsider positivo e popolare che insegna qualcosa al pubblico di tutti i tempi.
È la storia di uno studente che sceglie di saltare la scuola per farsi una gita fuori programma a Chicago insieme alla fidanzata Sloane e all’amico Cameron. Che giornata: partiti a bordo di una Ferrari, il team passa il tempo tra l’interrogarsi sulla soglia dell’età adulta e sulle aspettative di una vita durante una visita all’Art Institute, e lo svagarsi ad una partita di football, brillare all’improvviso ad una grande parata, presentarsi come “il re della salsiccia di Chicago”, tentare di scalare le miglia percorrendo la strada in retromarcia. E poi precipitarsi a casa fingendosi ammalato senza farsi scoprire dalla sorella e dal perfido preside della scuola sospettoso dell’assenza, coerentemente chiudendo nel segreto il ricordo di quella giornata.
Being Ferris Bueller
È tutto normale e tutto sensazionale: l’ordinario diventa straordinario come fosse un’epica cavalleresca. E invece è solo un giorno di vacanza, in cui Ferris, che non è un criminale, né un atleta, né un genio, riesce comunque a scombinare e strapazzare tutti, dalla preoccupante antagonista, la sorella Jeanie, al complessato sidekick Cameron. L’eroe leale e coraggioso cavalca un destriero (rosso e rampante), salva una fanciulla (dalle lezioni noiose) e sprona l’amico all’avventura contro l’avversità di un maligno… preside di scuola.
Ferris Bueller è un personaggio fresco e affascinante, uno che salta la scuola senza sembrare un bullo. Porta una parola buona per tutti, gran senso di responsabilità, che non gli impedisce di lottare (con successo) contro il fato di una giornata sprecata a scuola. Anzi, al contrario, il suo atteggiamento sicuro ma solidale gli garantisce stima tale da ricevere manifestazioni d’affetto per le sue condizioni di salute via via più spropositate, da parte della Facoltà di lettere e filosofia, dello stadio e del giornale di Chicago, attribuendo all’eroe una fama comicamente iperbolica.
È un protagonista totale e totalizzante, esagerato, che va oltre la sua dimensione, si fa burattino e burattinaio conversando col pubblico perché è incontenibile. Quell’amabile faccia da schiaffi di Matthew Broderick è il mattatore assoluto del film, fa ballare tutta Chicago su Twist And Shout dei Beatles, ammalia ed esaspera, conforta e rilancia. Non è più nemmeno una trama ma una storia-non-storia su un carattere senza precedenti e senza pari nella storia del cinema.
Un cinema del fuoriprogramma
John Hughes ha plasmato gli anni ‘80 e ‘90 più di quel che gli venga riconosciuto, con Breakfast Club e Planes, Trains & Automobiles, e le sceneggiature di Home Alone e l’infinita serie di National Lampoon. Il suo è un cinema di imprevisti, trappole, giri intorno, strade alternative, outsider e fuoriprogramma, declinati ad ogni tipo di viaggio, gita o uscita come metafora del significato più profondo dell’esistenza.
È un cinema di commedia, ma che sa raccontare un universo fanciullo, che fantastica e si meraviglia, e ha anche l’occhio adulto sui problemi, di ciò che capita e di come fronteggiarlo. È un cinema dell’età di mezzo, il passaggio tra l’essere bambini e diventare adulti, dicesi adolescenza. Se si vuole, è una metafora più generale di sto benedetto sistema che ti vuole da qualche parte in ogni momento della tua vita, mentre Ferris & Co. sono altrove e irrintracciabili. E non è poi forse l’adolescenza un’età di imprevisti, trappole, giri intorno, strade alternative, outsider e fuoriprogramma?
Guarisci presto
Qual è la morale? Ferris Bueller sembra uno fuori di testa, e forse lo è, o quantomeno fuori dagli schemi, ma ti dispensa consigli importanti sulla vita. In particolare aiuta Cameron, ma in qualche maniera chiunque, come quando usa la storia dell’amico per insegnare al pubblico a rispettare sé stessi prima di tutto. Non può che accettare la disfatta pure il preside (Jeffrey Jones severo come l’imperatore di Amadeus e grottesco come la sua fedina penale) e abbracciare la morale la sorella, convinta da un giovanissimo Charlie Sheen a preoccuparsi meno di cosa faccia e dica il fratello.
Qual è la morale? Che cosa c’era di straordinario? Forse si resta con più dubbi che risposte, ma senz’altro ammaliati da Ferris Bueller che alla fine di un folle day off a Chicago ha sistemato tutti con i loro dubbi e corre verso il letto per salvare tutta la menzogna. Non si capisce bene che cos’è, forse una parentesi folle nella vita, un imprevisto, una trappola, un giro intorno, una strada alternativa, un outsider o un fuoriprogramma, un day off o una pazza giornata di vacanza. Sicuramente in questo sistema bloccante, in quell’età misteriosa, tutti vorrebbero un amico come Ferris Bueller. Che fortuna che decise di marinare la scuola in quella mattina di primavera del 1986.
Siete ancora qui? Il film è finito! Andatevene via! Andate!
— Ferris Bueller (a fine film)

Bellissimo articolo e altrettanto bello il film!