La distopia, nel cinema fantascientifico, è un sottogenere che nel corso dei decenni ha contribuito a definire la storia della Settima Arte con pellicole di altissimo valore, regalando ai cinefili di ogni epoca alcuni tra i più grandi capolavori dell’intera produzione cinematografica mondiale. Da Metropolis di Fritz Lang (1927) fino al troppo sottovalutato Minority Report di Spielberg, datato 2002, la rappresentazione di un futuro politicamente e socialmente oppressivo si rivela essere uno dei mezzi più efficaci per trattare (e molto spesso criticare) elementi della realtà contemporanea

Una delle pellicole che meglio riesce in questo intento è, sicuramente, I Figli degli Uomini di A. Cuaron (2006): Film che, come solo pochi altri, riesce a coniugare un reparto tecnico praticamente perfetto (su tutti, straordinaria la fotografia di Lubezki) con una profondità tematica sicuramente ben al di sopra della norma.

In brevissimo, la narrazione ha luogo nel 2027 a Londra e dipinge un mondo in cui, da ormai 18 anni, l’umanità è diventata misteriosamente sterile. In una società prossima all’estinzione, Cuaron racconta la storia di Theo, ex attivista politico che vive una vita ormai priva di significato e di scopo, ma che ritroverà un barlume di speranza in Kee, giovane ragazza rimasta inspiegabilmente incinta. Il tentativo del protagonista di salvare questa gravidanza miracolosa lo porterà ad attraversare un mondo fatto di atrocità disumane, violenza e autodistruzione, per cercare una nuova luce, una rinascita per l’intera umanità. 

N.B. Questo articolo contiene spoiler sul film

NEL MEZZO DELL’APOCALISSE: TRA NICHILISMO E REDENZIONE

Le premesse de I Figli degli Uomini sono chiarissime fin dalla primissima sequenza e si basano su una domanda molto semplice, ma che porta con sé implicazioni filosofico-morali estremamente profonde: se la razza umana è destinata a estinguersi nel giro di 70 anni, come è possibile continuare a vivere? E soprattutto, continuare a vivere ha ancora un senso?  

Il film mette in scena un’ambientazione Post-apocalittica, ma mostrando, in realtà, quella che è più un’apocalisse in medias res, fatta di disperazione, fanatismo e rassegnazione. Emblematico, infatti, è l’incipit della pellicola, che si apre con la morte di Baby Diego, ovvero la persona più giovane sulla Terra, l’ultimo figlio nato prima dell’inspiegabile piaga che ha colpito il mondo. La scomparsa del ragazzo è, di fatto, la distruzione dell’ultima possibilità del genere umano, che si aggrappava in maniera cieca e disperata a Diego, come fosse una sorta di divinità.

Non è un caso, dunque, che il film si apra con questo evento metaforico: Cuaron presenta allo spettatore fin dal principio una situazione in cui, ormai, non c’è più speranza, nulla più ha un senso e tutto è destinato a scomparire. Theo, il protagonista interpretato da Clive Owen (qui, forse, nel ruolo della vita), è la perfetta rappresentazione dello Zeitgeist del mondo de I Figli degli Uomini: un ex attivista politico ormai disilluso, che conduce una vita vuota e priva di significato, un uomo che si sta spegnendo lentamente, così come la società che lo circonda. 

Nonostante la realtà dipinta da Cuaron sia estrema, non è difficile cogliere riferimenti e critiche al mondo contemporaneo. Nella Londra rappresentata nella pellicola si assiste quotidianamente ad attacchi terroristici, a immigrati rinchiusi in gabbia come bestie, al governo che pubblicizza kit per il suicidio e a militari che sgomberano con carri armati interi palazzi, il tutto nella più profonda indifferenza da parte della popolazione. Se ne I Figli degli Uomini la noncuranza verso tutta questa crudeltà è in qualche modo giustificata dal fatto che l’estinzione sia ormai prossima, nella realtà contemporanea siamo testimoni ogni giorno di atrocità simili, ma si continua comunque a restare indifferenti, a guardare dall’altra parte, a ignorare tutto ciò che è più comodo ignorare: dai disastri ambientali, come lo spreco insensato di risorse naturali e l’inquinamento smisurato che avvelena il pianeta, fino a drammi sociali come la violenza a sfondo razziale/di genere.

Con questo film, dunque, così pregno di nichilismo e rassegnazione, Cuaron invita il suo pubblico a ribellarsi contro questo modo di vivere, a ricercare ancora il contatto umano con il prossimo, in quanto, anche in una società che ci spinge sempre di più ad allontanarci, salvaguardare la nostra umanità resta l’unico modo per rendere migliore questo mondo forse-già-apocalittico e per non cadere in quel buco nero chiamato indifferenza, che è, alla fine dei conti, la vera apocalisse esistenziale dell’uomo. 

IL FALLIMENTO DELLA POLITICA: TRA XENOFOBIA E NAZIONALISMO 

I Figli degli Uomini, oltre ad avere un profondo sottotesto filosofico, presenta come detto un’importantissima denuncia politica-sociale nei confronti della realtà contemporanea. La critica più palese ed evidente all’interno della pellicola è quella rivolta verso la xenofobia intrinseca della società moderna e, di conseguenza, anche verso le politiche anti-migratorie più o meno brutali adottate, ormai, in tutto il mondo. 

In questo senso lo stile quasi documentaristico della regia riesce a calare immediatamente lo spettatore in quella che è una realtà estremamente verosimile, nonostante la sua crudeltà. Nel film di Cuaron, infatti, le sequenze strazianti in cui vengono mostrati esseri umani imprigionati come bestie in gabbie sui marciapiedi di Londra, mentre la gente passeggia tranquillamente per strada, sono purtroppo attualissime e quanto di più lontano esista dalla fantascienza distopica.  

E’ sufficiente pensare alle storie che arrivano dal confine Messico – Stati Uniti, da quello Turco-Greco, o anche solo da quella striscia di mare che separa Italia e Tunisia, per accorgersi che la violenza e il disprezzo verso il diverso  siano elementi profondamente radicati anche nella cultura occidentale, che si vende come paladina della libertà e dei diritti umani, ma che cerca solamente di salvare una fragile apparenza, nascondendo la polvere sotto il tappeto (o meglio, al di là del confine). 

La propaganda governativa contro i clandestini nella Londra de I Figli degli Uomini, infatti, ricorda tristemente la comunicazione pubblica di figure di spicco del panorama politico globale, fatta di demonizzazione dello straniero, dipinto come terribile e gravissima minaccia nei confronti della sicurezza collettiva, e dall’esaltazione del sentimento nazionalista e suprematista, in una glorificazione insensata di una società che, in realtà, sta soffocando sotto il suo stesso peso. 

Nel film del regista messicano, quindi, lo spettatore si trova di fronte al disfacimento totale della politica in quanto istituzione e in quanto specchio della società che dirige: Il Governo ha fallito, autodistruggendosi nella sua stessa violenza e disumanizzazione; i Pesci, ovvero il gruppo terroristico che dovrebbe combattere per i diritti dei profughi, hanno fallito allo stesso modo, cercando di rovesciare un sistema dittatoriale e finendo per diventare esattamente come ciò che intendevano distruggere. In questo senso la disillusione di Theo, ex attivista, è la disillusione di Cuaron stesso di fronte al fallimento del sistema politico contemporaneo, che condanna i molti a vivere una vita di sofferenze a Brexhill, mentre i pochi collezionano arte mentre il mondo si muove verso l’Apocalisse. 

La conclusione della critica sociale della pellicola coincide perfettamente con la conclusione della pellicola stessa: Kee e sua figlia Dylan, simbolo della speranza, della purezza di una nuova vita in un mondo morente, riescono a raggiungere la Tomorrow, ovvero l’imbarcazione su cui una nuova comunità di persone cercherà di far ripartire il mondo dopo l’estinzione. Il fatto che la nuova umanità si trovi su una nave è estremamente simbolico e rappresenta un’importante chiave di lettura interpretativa, in quanto essa è priva di radici territoriali. Il mare annulla qualsiasi confine nazionale, libera metaforicamente la società da ogni differenza razziale e si torna ad essere tutti semplicemente persone, si torna nuovamente al contatto umano più autentico, vero e proprio fondamento del nuovo mondo del Domani, un mondo in cui i figli degli uomini potranno essere finalmente liberi.

Questo articolo è stato scritto da:

Alessandro Catana, Redattore