Può il complesso concetto di multiverso e tutto ciò che ne deriva diventare una gigantesca metafora del burrascoso rapporto tra una madre e la propria figlia? I Daniels (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) ci hanno risposto con uno dei film più sorprendenti, emozionanti e premiati dell’anno, il “cinecomic atipico” Everything Everywhere All At Once. Uscito in Italia ormai a ottobre dello scorso anno, il film è tornato in alcune sale negli scorsi giorni proprio per via dei numerosi riconoscimenti avuti ai Golden Globe 2023 e grazie alle numerosissime nominations agli Oscar. Ammirarne la bellezza in sala è sicuramente la scelta migliore viste le spettacolari scene d’azione di cui il film è pieno, arricchite da ambientazioni fantastiche e costumi affascinanti già premiati in diverse occasioni. Si è parlato di come il film possa essere una valida “alternativa” ai cinecomic made in Marvel, e va detto che molti fan della casa supereroistica hanno apprezzato l’opera dei Daniels, soprattutto perché hanno potuto ridere a delle battute effettivamente divertenti (scusami tanto, Thor!). In questa sede non è necessario dilungarsi a parlare di come Everything Everywhere All At Once riesca a divertire, intrattenere con delle storie incredibili e toccare profondamente il cuore del suo pubblico; per questo esiste già la nostra recensione.

Ciò su cui è interessante concentrarsi è il difficile rapporto madre-figlia che i Daniels ci mettono davanti agli occhi, le sue implicazioni psicologiche e i rimandi a quel frammento di vita che molte figlie hanno vissuto in relazione alle proprie madri.

EVELYN E JOY TRA MULTIVERSI E PSICOLOGIA

Protagonista di Everything Everywhere All At Once è Evelyn (Michelle Yeoh), immigrata cinese che gestisce una lavanderia negli Stati Uniti insieme al marito Waymond (Ke Huy Quan). La vita di Evelyn e la sua situazione familiare non stanno procedendo bene: la lavanderia è sotto un severissimo controllo da parte del fisco, Waymond vorrebbe un divorzio, sua figlia Joy (Stephanie Hsu) le ha appena presentato la propria ragazza e vorrebbe che la madre accettasse il suo essere lesbica. Durante un colloquio presso l’ufficio tributi statunitense, Evelyn entra in contatto con una versione alternativa del marito che le spiega come l’intero multiverso sia sotto la minaccia di Jobu Tupaki, una versione alternativa di Joy divenuta malvagia e potente, in grado di manipolare la materia e distruggere qualsiasi cosa. Jobu Tupaki altro non è che la personificazione del rapporto conflittuale che c’è tra Evelyn e Joy, soprattutto durante un periodo così complesso come l’adolescenza. L’atteggiamento “ribelle” della figlia viene reso palese da come la madre reagisce in sua presenza, da come cerca costantemente di ricordarle che il nonno è un tradizionalista, che non accetterebbe mai una nipote così diversa dal “normale”. Ogni discorso è un modo per camuffare il fatto che la prima a non comprendere la figlia è proprio la madre stessa, colei che l’ha messa al mondo e le ha donato la tenacia, la curiosità, il coraggio, ma anche la testardaggine.

In psicologia, il conflitto generazionale madre-figlia viene spiegato e analizzato grazie alla psicoanalisi freudiana, per la quale tutto si riconduce alla primordiale castrazione (o paura di essa) di cui soffre ogni essere umano. La bambina scopre la propria castrazione e indica come assoluta colpevole la madre, responsabile di averle portato via qualcosa, di averla “castrata”; dal lato opposto, la madre vede nella figlia uno sbocciare di femminilità fresca, innocente, talmente meravigliosa da generare un’invidia inconscia. Nella maggior parte dei casi, questo comportamento finisce per riflettere ciò che la madre ha subito durante la propria crescita dalla propria genitrice, creando un circolo vizioso, un costante ricambio che può andare avanti all’infinito (non a caso per indicare lo spezzare di un comportamento tossico generazionale si utilizza l’espressione “rompere il cerchio”).

Ed ecco che la lotta tra Evelyn e Jobu Tupaki assume tutto un significato nascosto che va al di là della salvezza del multiverso: quello che deve essere salvato è il loro rapporto, l’amore che le due provano l’una per l’altro che tuttavia fatica mostrarsi. È compito di Joy rompere quel cerchio, ma non è in grado di farlo senza che Evelyn capisca e accolga un cambiamento importante come questo.

DUE SASSI ROTOLANO GIÙ DA UNO STRAPIOMBO

Dopo incredibili avventure attraverso i più svariati mondi in cui Evelyn è sia una campionessa di kung fu sia una cuoca provetta sia un sasso sul bordo di un precipizio, madre e figlia si incontrano e discutono animatamente di multiversi, dell’esistenza umana e di come tutto non abbia un vero senso di fronte all’infinità di mondi esistenti. Evelyn finisce quasi per seguire Jobu nel suo piano di distruzione (e autodistruzione), ma le basta poco per comprendere che quella giovane donna altri non è che una povera figlia privata della propria madre, alla disperata ricerca di qualcuno che possa comprenderla e starle accanto. Evelyn convince Jobu a non farla finita e nello stesso tempo riesce a riconciliarsi con Joy e Waymond, incollando a poco a poco i pezzetti della sua vita che si stavano lentamente staccando. Madre e figlia riescono a superare insieme la conflittualità, il cerchio oscuro (o forse il bagel?) che aveva condizionato le loro vite fino a poco fa si è spezzato e le due possono abbracciarsi senza quell’enorme muro che fino a poco prima le divideva. Evelyn ha accettato Joy, la sua testardaggine, il suo atteggiamento un po’ ribelle, e Joy ha accettato che Evelyn non è una madre perfetta, ma farebbe di tutto per non lasciarla mai sola.

Il sasso più piccolo si è gettato dallo strapiombo e sta rotolando, forse non si fermerà mai; ma non è solo, perché è seguito da vicino da un sasso un poco più grande, con qualche ammaccatura qui e là, deciso a non perdere mai il fianco dell’altro. 

E poi c’è il pubblico, seduto nella poltroncina del cinema, che finisce per commuoversi davanti ai due sassi che rotolano nelle polvere.

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Rosario Azzaro, Redattrice