La frase “vorresti essere qualcun altro?”, presente in Essere John Malkovich, non può non farci pensare, in questo 2024, allo slogan di The Substance: “hai mai sognato una versione migliore di te?”. Sebbene i due film siano agli antipodi per temi, tono e contesto, condividono un presupposto comune: una percezione profondamente distorta che i protagonisti hanno di sé stessi, alimentata da convinzioni talmente opprimenti da spingerli alla ricerca di una nuova identità.

Nel film di Coralie Fargeat, l’autostima di Elizabeth è erosa dalle dinamiche tossiche dello show business, un sistema che consuma le proprie star per poi dimenticarsene, imponendo canoni di bellezza irraggiungibili. Invece, in Essere John Malkovich, diretto da Spike Jonze e scritto da Charlie Kaufman (entrambi al loro esordio), vengono messe in mostra le insicurezze della classe media statunitense, un microcosmo di individui tormentati dall’insoddisfazione per il proprio ruolo sociale e dalla percezione della propria irrilevanza nel mondo.

Craig (John Cusack), un burattinaio di scarso successo, scopre nel proprio ufficio l’esistenza di un portale che permette di vivere, per 15 minuti, all’interno della mente dell’attore John Malkovich. È sposato con Lotte (Cameron Diaz), ma la loro relazione è minata dalle rispettive insoddisfazioni: lui tenta di evadere dalla realtà tramite le proprie marionette, mentre lei reprime la sofferenza dedicandosi ai vari animali feriti o abbandonati che negli anni ha accolto in casa. L’incontro con Maxine (Catherine Keener), collega di Craig, folgora entrambi. I due se ne innamorano perdutamente, sviluppando un rapporto di dipendenza e sottomissione nei suoi confronti, svelando il loro bisogno di accettazione e di affermazione. Il mezzo per ottenere queste attenzioni diventa così l’inconsapevole Malkovich, che viene coinvolto a sua insaputa in questo triangolo amoroso intriso di insicurezze, alienazione e rapporti di potere.

Malkovich è il legame tra i personaggi, lo strumento che potrebbe rendere possibile la relazione di uno dei due coniugi con Maxine, la quale è perlopiù divertita dalla situazione. La genialità del soggetto risiede nel delicato equilibrio che si viene a creare tra commedia e dramma. Presentandoci situazioni assurde, grottesche e a tratti folli, Jonze e Kaufman mettono in scena dei personaggi disperati, in preda a una profonda crisi identitaria. Maxine, carismatica manipolatrice, si staglia come l’unico personaggio compiuto, osservando la fragilità di chi la circonda, indifferente anche alla stessa “esperienza Malkovich” che tutti gli altri inseguono con bramosia.

L’esperienza diventa il detonatore della crisi tra Craig e Lotte: lui asseconda Maxine nell’idea di monetizzare il portale, e nonostante sia riluttante, ignora le implicazioni morali e filosofiche a cui faceva riferimento prima di vedere uno spiraglio per la relazione con Maxine; Lotte, invece, è sconvolta dalle sensazioni provate nel trovarsi in un corpo maschile, dichiarando di voler intraprendere un percorso di transizione di genere e sviluppando un’attrazione per Maxine. Maxine, a sua volta, si innamora di Lotte, ma solo quando questa è dentro Malkovich, alimentando la frustrazione di Craig, che si percepisce sempre più irrilevante nella vita delle persone attorno a lui. 

Da qui comincia un totale abuso del portale e, di riflesso, di Malkovich stesso. Questo strumento, come il farmaco in The Substance, diventa un’ossessione che porta ad ignorare ogni regola, mettendo la propria soddisfazione personale davanti alla morale. Una volta assaporato il successo tanto bramato, o ottenuta l’attenzione desiderata, il resto perde di significato. 

Contorta commedia drammatica, Essere John Malkovich è un film cult che colpisce per lo stile di scrittura e di messa in scena dei due autori. Ma è anche uno dei migliori risultati dell’opera kaufmaniana. Quest’ultimo, fin da questo film, si impone come vero autore delle opere che scrive, al pari del regista, ricevendo talvolta anche una maggiore attenzione. In Essere John Malkovich emergono già le ossessioni, i temi e le strutture narrative complesse e atipiche che caratterizzeranno il cinema di Kaufman: protagonisti introversi ed insicuri, difficoltà relazionali, in particolare con il mondo femminile, e un continuo intreccio tra dramma e commedia.

Specificità del suo cinema sono però le intuizioni visive con cui da forma alle intricate articolazioni mentali dei suoi personaggi. Una capacità maturata film dopo film, in particolare nel momento in cui è passato a curare anche la regia delle proprie sceneggiature. Qui lo stile di Kaufman si è radicalizzato, portando all’estremo le caratteristiche del suo cinema. Sebbene maggiormente esposto al rischio che i propri film diventino eccessivamente cervellotici, Kaufman si è dimostrato perfettamente in grado di mantenere il controllo della narrazione, come nel caso di Sto pensando di finirla qui

Tuttavia, il passaggio alla regia segna anche l’assenza di quel contrappeso che i registi con cui collaborava fornivano, come nel caso di Jonze. Nei due film realizzati insieme, in particolare in Essere John Malkovich, Jonze riesce a gestire l’estro creativo di Kaufman, incanalandolo al meglio senza però limitarlo mai. L’ironia, elemento chiave del film, funge da bilanciamento, impedendo che i risvolti drammatici sovrastino completamente la narrazione.

In questo progetto, Jonze e Kaufman operano in perfetta sinergia l’uno con l’altro, con un equilibrio che permette a ciascuno di esprimersi senza che l’uno interferisca nel campo d’azione dell’altro. La trama, i caratteri dei personaggi, le intuizioni contorte e geniali, sono elementi che, come abbiamo già detto, riflettono lo stile di Kaufman. Tuttavia, la messa in scena, la gestione del ritmo, dei toni e delle interpretazioni differiscono profondamente da ciò che ritroveremo in opere come Synecdoche, New York. In quel caso, la tendenza al pessimismo e alla malinconia prende il sopravvento, trasformando gli intricati meccanismi narrativi in pretesti per indulgere nelle sofferenze interiori.

Questo non viene a crearsi in Essere John Malkovich presumibilmente grazie alla presenza di un regista come Spike Jonze, in grado di affrontare il dolore senza evitarlo, ma senza mai lasciarsi sopraffare, tenendo fede alla doppia anima del film, conferendo inoltre maggiore forza a due momenti particolarmente ispirati. Il primo è l’inseguimento tra Lotte e Maxine nel subconscio di Malkovich, in cui ogni porta, finestra o condotto di areazione conduce a un nuovo ricordo represso dell’attore, un’idea che verrà ripresa anche in Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Il secondo è la surreale sequenza in cui Malkovich entra nella propria mente, che lo porterà ad esclamare di aver visto un mondo che nessun uomo dovrebbe poter mai vedere.

La collaborazione tra i due è quindi il fulcro del successo del film. Jonze riesce a domare una sceneggiatura folle, realizzando un’opera atipica, in cui dramma e commedia convivono perfettamente. Nel finale, eccellente e precisissimo, il tipico protagonista kaufmaniano, il “genio incompreso” che cela la propria supponenza dietro un muro di paranoie e insicurezze, ottiene una punizione per ciò che è diventato, senza però risultare opprimente per lo spettatore. Probabilmente, senza Jonze, Kaufman avrebbe optato per un epilogo più severo per il proprio alter ego. D’altronde Kaufman lo ripete quasi in ogni film, ossessionarsi nel fare le cose alle nostre condizioni, considerando solo il nostro punto di vista, non farà altro che alimentare l’insoddisfazione, perché, sempre secondo Kaufman, noi siamo il peggior nemico di noi stessi.

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Riccardo Fincato,
Redattore.