«Vengo anch’io!» «No, tu no!»: era il 1968 quando il cantautore e musicista Enzo Jannacci lanciava uno dei brani di maggior successo della propria carriera. Classe 1935, scomparso nel 2013, l’artista milanese ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana: jazzista, caposcuola del cabaret italiano, pioniere del rock and roll italiano, artista poliedrico e comico d’eccezione. 

A dieci anni dalla sua dipartita, il regista Giorgio Verdelli ha presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Fuori Concorso, il documentario Enzo Jannacci-Vengo anch’io. Portato nelle sale cinematografiche per soli tre giorni – 11, 12 e 13 settembre 2023 – il film di Verdelli ha saputo omaggiare uno degli artisti più eclettici del panorama musicale italiano, nonché coglierne i lati meno noti, pur non cedendo al facile pettegolezzo. 

Oltre a Enzo Jannacci-Vengo anch’io, è interessante osservare come negli ultimi anni vi sia una particolare propensione delle produzioni documentaristiche italiane a narrare figure fondamentali del mondo della musica: Giorgio Verdelli, in particolare, è uno dei membri più ispirati di questa new wave del documentario italiano, nella quale non possiamo non includere film come Ennio (2022) di Giuseppe Tornatore, anch’esso presentato fuori concorso al Festival di Venezia nel 2021. 

Ho visto un re!

Forse non tutti sono a conoscenza della carriera da chirurgo cardiovascolare di Jannacci, interrotta perché il cantautore milanese non riusciva a sopportare il dolore altrui. Oppure, solo pochi sanno che la celebre Via del Campo di un altro capostipite della canzone italiana, Fabrizio De André, è frutto anche dell’ingegno di Enzo Jannacci. 

Grazie al supporto del figlio del cantautore, Paolo Jannacci, Giorgio Verdelli viaggia, fra immagini e musica, nella mente di Enzo, con interviste ad artisti da sempre ispirati dal suo genio, amici e collaboratori che ricordano le tappe fondamentali della sua carriera. Dalle serate di cabaret trascorse al Derby di Milano alle trasmissioni radiotelevisive del canale Nazionale: il ricchissimo repertorio, comprensivo di materiale inedito, immortala sul grande schermo il genio artistico di Jannacci. Ma è specialmente la vena comica ad affiorare nel corso della narrazione: si ride a crepapelle, dall’inizio alla fine; e si piange, tuttavia, perché alla fine del documentario, si realizza, insieme agli intervistati, quanto manchi una figura come Enzo Jannacci nel panorama culturale italiano. È forse questa dissonanza voluta il quid in più che rende memorabile il documentario di Giorgio Verdelli, il quale, nonostante l’origine napoletana, riesce comunque a far affiorare quello spirito milanese insito nella produzione musicale di Enzo. Ed è forse triste anche pensare come la conoscenza del cantautore, oggigiorno, sia indiretta e limitata a spot radiotelevisivi che riducono canzoni come Vengo anch’io, no tu no e Canzone intelligente

Giorgio Verdelli e il documentario musicale

È venerdì sera e abbiamo voglia di ascoltare della buona musica, ma anche di vedere un film: siamo particolarmente interessati a figure, passate e presenti, del panorama musicale italiano. Forse può venirci in aiuto sbirciare nella filmografia di Giorgio Verdelli, autore, regista e produttore di programmi e documentari musicali, annoverato fra i maggiori esperti di musica internazionale. Dal 2013 fino ad oggi ha narrato, per canzoni e immagini, alcuni degli artisti più celebri della canzone italiana. Nel 2017, a due anni dalla sua scomparsa realizza Pino Daniele – Il tempo resterà, documentario narrante lo stile musicale del cantautore napoletano. Nel 2020 presenta a Venezia, fuori concorso, Paolo Conte, via con me, documentario che determina la sua presenza fissa al festival veneziano; nello stesso anno firma non solo uno dei ritratti più umani dell’immenso talento artistico di Lucio Battisti con Io tu noi, Lucio, ma anche il racconto sincero di un altro pilastro della musica italiana, Mia Martini, con Mia Martini – Fammi sentire bella. Nel 2021 torna a Venezia con Ezio Bosso: Le cose che restano, omaggio al direttore d’orchestra a un anno dalla sua scomparsa.

Ciò che sortisce da questo breve resoconto è certamente l’attenzione con cui Verdelli sceglie i cantautori e musicisti intorno ai quali costruire il proprio discorso e la sua originale narrazione: l’alternanza fra autori più contemporanei e cantanti appartenenti a una generazione meno recente è sintomo di una costante ricerca nel campo musicale volta a restituire un quadro quanto più articolato del panorama artistico italiano.

Oltre Verdelli: da Temporary Road – (Una) vita di Franco Battiato a Ennio

Certamente sarebbe riduttivo (o eccessivamente descrittivo) elaborare un elenco dei più recenti documentari incentrati su figure del panorama musicale italiano. Non ci si può tuttavia esentare dal nominare prodotti come Temporary Road – (Una) vita di Franco Battiato di Giuseppe Pollicelli, Mario Tani, ritratto confidenziale e intimo di uno dei più grandi musicisti mai esistiti realizzato rispettando lo spirito composto e riservato del musicista siciliano. Si pensi anche a Pavarotti & Friends diretto da Stefano Vicario, Spike Lee, Luigi Martelli, omaggio al grande tenore Luciano Pavarotti; oppure al pluripremiato kolossal di Giuseppe Tornatore, Ennio, presentato al Festival di Venezia nel 2021 (lo stesso anno di Ezio Bosso: Le cose che restano), epico documentario dedicato a una delle figure più importanti figure del mondo del cinema e della musica. 

Questa forte presenza del documentario italiano musicale incorpora con vigore il contemporaneo interesse verso la feconda commistione tra immagini e musica, tra cinema e canzone: mostra a chiare lettere (e a chiare note) l’importanza di ricordare i grandi esponenti della musica italiana, senza certamente sminuire le nuove leve. E dinanzi al costante successo di questi prodotti nelle sale italiane la reazione non può che essere: vai al cinema? Vengo anch’io!

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Shannon Magri,
Redattrice.