L’harem drama par excellence 

Nella produzione televisiva cinese un ruolo di particolare rilievo è occupato dai cosiddetti harem drama, popolari racconti a metà tra Storia e finzione che drammatizzano la vita di corte della Cina imperiale, dedicando particolare attenzione al racconto di intrighi e amori tra le mura della Città Proibita di Pechino. Non fa eccezione Empresses in the Palace (in originale: Zhen Huan Zhuan, La Leggenda di Zhen Huan), che di questo sottogenere rappresenta probabilmente il culmine. Sontuosa produzione del 2011 realizzata da Beijing TV Art Center e inizialmente mandata in onda sul canale regionale Shaoxing News, per poi essere riproposta a livello nazionale, Empresses in the Palace rappresenta un’autentica serie di culto in Cina, dove è tra i prodotti di massa più popolari, anche su piattaforme social come Weibo e Xiaohongshu, dove meme e gif ispirate dalla serie abbondano e rappresentano un terreno culturale comune per milioni di cinesi. La serie, che consta di settantasei episodi da quarantacinque minuti, ha avuto un tale successo che Netflix ne ha acquistato i diritti e l’ha distribuita su scala planetaria in una versione rimontata e ridotta (sei episodi da un’ora e mezza l’uno). Ora, tuttavia, la versione integrale originale è disponibile legalmente su YouTube con una pregevole sottotitolazione poetica in inglese a cura del gruppo di traduttori The Magpie Bridge Brigade.

Intrighi, potere e amori nella Città Proibita

Cina, 1722. Il Principe Yinzhen della dinastia Qing ascende al trono imperiale con il nome di Yongzheng, grazie all’appoggio politico di numerosi dignitari e autorità militari. Di lì a pochi mesi, l’Imperatrice Madre organizza una nuova selezione di concubine per rimpinguare l’harem della Città Proibita: all’importante evento partecipano decine di figlie di prestigiose famiglie della nobiltà cinese. Nonostante segretamente speri di non essere selezionata e di poter vivere una vita pacifica al di fuori della corte imperiale, la giovane Zhen Huan è scelta dall’Imperatore in persona per via della sua somiglianza con la defunta Imperatrice Chunyuan, grande amore del sovrano e sorella dell’attuale Imperatrice Yixiu. Insieme a Zhen Huan, vengono selezionate numerose altre giovani, tra cui Shen Meizhuang, amica d’infanzia della protagonista, e An Lingrong, figlia di un dignitario minore. A poco a poco, Zhen Huan comprende come l’harem non sia solamente un’istituzione votata a soddisfare l’imperatore e a provvedere eredi al trono, bensì un’autentica arena di lotta politica e di potere, nonché terreno di violente gelosie per accaparrarsi il favore del sovrano. Nel corso della serie, Zhen Huan dovrà confrontarsi con infinite difficoltà per abbattere le sue rivali e accrescere la propria sfera d’influenza nella corte imperiale. 

La sfarzosa ricostruzione di un microcosmo femminile

Interamente diretta da Zheng Xiaolong, regista televisivo di chiara fama in Cina, Empresses in the Palace fa dello sfarzo un proprio tratto distintivo. Ogni fotogramma della serie, che si ispira non poco alla magnificenza visiva di capolavori cinematografici della Quinta Generazione quali Lanterne rosse (Zhang Yimou, 1991) e Addio mia concubina (Chen Kaige, 1993), è un tripudio di colori abbacinanti. I ricchi costumi sono tra i più belli mai prodotti per la televisione, con alcuni pezzi considerati di assoluto valore anche al di fuori dello schermo, come la tiara a forma di fenice indossata più volte da Consorte Hua, grande rivale di Zhen Huan: un autentico capolavoro di artigianato televisivo. Anche il lavoro scenografico impressiona, sfruttando al meglio i giardini di alcune residenze storiche cinesi e ricostruendo in studio con grande perizia numerosi ambienti della Città Proibita. 

 Consorte Hua (la prima a destra) con indosso la preziosa tiara a forma di fenice

Ma lo splendore formale (a cui bisogna perdonare appena un paio di sequenze con una CGI invasiva e di basso livello) non è che il contorno per la vicenda principale, ossia il fiammeggiante racconto di un universo di donne che inevitabilmente ruota attorno al potere di un sovrano maschio. Colpisce, nella narrazione, come le concubine, le consorti e l’Imperatrice appaiano amministrare un immenso potere, ma come esso debba sempre essere ricondotto a un’unica, millenaria e insopprimibile autorità fallocratica: persino i pochi uomini che popolano la Città Proibita sono prevalentemente eunuchi, così da non competere con l’assoluta potestà del re. Intrighi, omicidi, aborti indotti, finte gravidanze… le donne di corte sono pronte a ogni azione pur di ottenere promozioni (la serie, in questo senso, tratteggia con un certo dettaglio la rigida gerarchia della corte imperiale, fatta di attendenti, dame, nobili signore, concubine e consorti), sgominare le proprie rivali e, in ultimo, trascorrere una notte con il sovrano. Il terreno principale di sfida è proprio quello degli eredi: la gravidanza è nell’harem al tempo stesso la massima aspirazione e il momento di massimo terrore, tanta è la violenza con cui le concubine sono pronte ad abbattere la prole altrui per mantenere il proprio status.

Tutto questo e molto altro è narrato, come spesso accade nelle produzioni cinesi, con una grande ricchezza di dialoghi, da ascoltare rigorosamente in lingua originale, anche per l’abbondanza di citazioni poetiche e per l’eleganza dell’espressione verbale e dei rituali di corte che la serie rimette in scena con grande cura, esaltandone ripetitività e rigidità. Ciò dà vita a una narrazione fortemente basata sulla scrittura dei personaggi, assai sfaccettata, benché i dialoghi non siano sempre all’altezza: tutte le figure principali nella serie hanno archi narrativi complessi, che ne fanno emergere dimensione pubblica e privata – è su questo contrasto, infatti, che si impernia buona parte della vicenda. Anche il cast è di alto livello. Sun Li – ottima attrice di televisione e cinema, vista anche nel bel Shadow (2018) di Zhang Yimou – è straordinaria nell’infondere al personaggio di Zhen Huan una dolcezza che, a poco a poco, si irrigidisce e si trasforma in una tragica maschera del potere. Chen Jianbin dona all’Imperatore Yongzheng il proprio sorriso sornione, che volge a poco a poco nel feroce ghigno di un sovrano spietato, in preda a deliri di onnipotenza. Memorabili sono poi Ada Choi e Jiang Xin nei panni, rispettivamente, dell’Imperatrice Yixiu e della Consorte Hua – due incarnazioni eccessive e debordanti, ma anche profondamente melanconiche, di un potere giunto al tramonto e di un folle sentimento di amore, raramente ricambiato, per l’Imperatore. Ma sarebbero molte le figure di contorno da ricordare, dal fedele eunuco imperiale Su Peisheng alla dolce dama di compagnia Jinxi, dal passionale Principe Guo all’autorevole Imperatrice Madre.

Nel complesso, vedere Empresses in the Palace nella sua versione integrale è un’occasione per immergersi in un tipo di narrazione televisiva molto lontana dai canoni occidentali a cui siamo abituati e per scoprire un’appassionante soap opera in salsa storica, in cui le dinamiche culturali del contesto cinese emergono con forza – dalle rivalità tra gruppi etnici alla centralità del cibo, dall’esaltazione della figura materna all’importanza della ritualità e delle gerarchie. Ma è anche e soprattutto un’occasione per godere di un dramma a tinte forti, in cui i contrasti e le feroci faide di potere – la serie, in questo senso, non si ferma di fronte ad alcuna efferatezza – permettono di immergersi in un’affascinante e fantasiosa ricostruzione della Cina imperiale.

Jacopo Barbero
Jacopo Barbero,
Direttore editoriale