Il nome di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn è probabilmente meno famoso del titolo del suo primo successo: La corazzata Potëmkin (1925) racconta la storia dell’ammutinamento dell’equipaggio della nave da guerra Potëmkin del 1905, ed è considerato uno dei capolavori del cinema muto, oltre che il manifesto di gran parte delle tecniche da lui sperimentate. Ėjzenštejn nacque nel 1898 a Riga, nell’allora Impero Russo. Cominciò ad avvicinarsi alle arti, inizialmente soprattutto all’estetica e all’architettura, mentre studiava ingegneria a San Pietroburgo. Tuttavia allo scoppio della rivoluzione decise di arruolarsi nell’Armata Rossa, trascorrendo i tre anni della guerra civile come soldato e poi comandante. Trasferitosi a Mosca nel 1920, poté finalmente dedicarsi al teatro. Lavorò sia come scenografo che come regista e nel 1924 passò dal teatro al cinema, dove trovò il mezzo ideale per mettere in pratica le sue teorie artistiche. A lui si devono infatti diverse tecniche, in particolare di organizzazione del montaggio, che ebbero un impatto fondamentale nello sviluppo del linguaggio cinematografico. Considerava il montaggio la parte più importante del processo creativo perché si era accorto di come decostruire l’ordine in cui il pubblico si aspetta di vedere o sentire qualcosa potesse amplificare notevolmente l’impatto emotivo suscitato. Questo valeva sia per l’ordine cronologico delle azioni che per l’accostamento insolito di immagini, con il quale spingere lo spettatore verso nuove associazioni di idee.
Coerentemente con i principi di quello che di lì a poco diventerà il realismo socialista, quasi tutta la produzione di Ėjzenštejn è basata su fatti storici che riguardano la Russia e l’URSS. Il fatto di costruire i propri film principalmente sulla forma, liberandosi dal vincolo di un significato prestabilito, gli permise di sottostare alle imposizioni e continuare ad esprimersi liberamente, protetto dalla facciata del dramma storico: come vedremo, questa genialità si rivelerà un’arma a doppio taglio, perché riuscì a dare un prezioso contributo alla storia del cinema, ma solo fino a quando il contenuto non diventò più apertamente critico.
Ottobre 1928 e l’Occidente
Fu proprio grazie al successo internazionale di questo film che Ėjzenštejn venne scelto per dirigere il documentario celebrativo Ottobre, uscito nel 1928. Il fatto che il governo sovietico gli avesse dato fondi e totale libertà è un indicatore di quanto la sua reputazione fosse solida già dopo pochi anni di carriera. Il film, che era parte nei numerosi eventi legati al decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, ripercorre gli eventi dell’allora Pietrogrado (San Pietroburgo) fino all’irruzione nel Palazzo d’Inverno. Sebbene sia stato inizialmente accolto dalla critica con reazioni contrastanti, oggi è considerato un importante documento storico oltre che un’opera fondamentale del cinema d’avanguardia sovietico. Le obiezioni che gli venivano mosse riguardavano l’eccessivo estetismo, caratteristica mai apprezzata dalla cultura bolscevica, e la grande quantità di sperimentazioni.
Subito dopo, Ėjzenštejn lavorò brevemente a Hollywood: nel 1930 accettò un’offerta dalla Paramount Pictures per gli adattamenti di La guerra dei mondi di H.G.Wells e Tragedia Americana di T. Dreiser. Entrambi i progetti fallirono a causa di divergenze con il cast e Ėjzenštejn allora si spostò in Messico, dove ebbe l’idea per il documentario Que Viva Mexico! (1931) anch’esso incompiuto. Nonostante la sua fama, il fatto di essersi contaminato con il mondo del cinema occidentale fu un rischio che ebbe ripercussioni sulla sua reputazione in patria: gli fu ordinato di rientrare da Stalin in persona, che era appena succeduto a Lenin e durante gli ultimi lavori fu sorvegliato molto da vicino.
La censura: Ivan il Terribile I e II (1944, 1958)
Ivan Il Terribile (in russo Ivan Groznyj) è l’ultima opera del regista, un lungometraggio epico diviso in tre parti che racconta la vita dello zar Ivan IV. Il progetto non fu mai completato.
La Parte I, uscita nel 1944, era stata accolta molto positivamente, tanto da ricevere il Premio Stalin. Tuttavia nel 1946 la seconda parte, il cui titolo era Ivan Grozny II: La congiura dei boiardi venne censurata e di conseguenza furono interrotte anche le riprese del terzo capitolo. Il problema fu proprio la troppa dedizione con cui il regista esplorava la psicologia del protagonista, mettendo al centro la solitudine di chi governa, le sue responsabilità e fragilità. È notevole qui anche l’inserimento di sequenze a colori, cosa molto rara per l’epoca, usate simbolicamente, oltre ad un clima culturale già paranoico, in cui l’accostamento della figura di Stalin a quella di Ivan il Terribile non passò inosservato.
Ėjzenštejn morì a Mosca nel 1948. La seconda parte della trilogia verrà pubblicata postuma nel 1958, cinque anni dopo la morte di Stalin, della terza invece rimangono poche sequenze di girato. I suoi testi sulla teoria del montaggio sono pubblicati in Italia da Marsilio Editore.

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