È il 1973 quando il film “Effetto notte” di Truffaut appare sugli schermi e il particolare momento storico non è una coincidenza.
Vent’anni prima Truffaut aveva fatto parte di quel gruppo di critici chiamati i Cahiers du cinéma che in quel periodo avevano scritto molto sulla grandezza del regista Alfred Hitchcock come vero e proprio autore, quindi detentore di un proprio stile e di una propria poetica, e in particolare di come il suo film del 1954 “La finestra sul cortile” non fosse un semplice giallo ma un film sul cinema. I due mondi (quello della storia narrata e quello del disvelamento dell’illusione) avevano come punto di collisione l’atto del guardare, che secondo i giovani critici rendeva il film di Hitchcock una metafora del cinema.
E fu proprio grazie ai Cahiers che il tema dell’autoriflessività nel cinema acquisì la popolarità che lo contraddistinse negli anni ’70, all’interno della critica. I tempi furono particolarmente favorevoli, poiché il contesto politico dell’epoca trovò forte consonanza col significato che il metacinema portava con sé: annullare il punto di vista borghese, basato sull’illusione di realtà, e favorire invece la popolarità di un cinema d’avanguardia che svelava “i materiali”.
Il metacinema si presta alle interpretazioni della critica con estrema versatilità. Tutto può essere interpretato con questa chiave di lettura, se lo si riesce a ricondurre all’ambito che vuole simboleggiare: sia un film sugli attori, sia su registi, o anche semplicemente una pellicola in cui le inquadrature soggettive hanno un ruolo importante possono ergersi a metafora del mondo cinematografico.
EFFETTO NOTTE
Questi presupposti culturali sono portati a piena realizzazione con Effetto Notte, un film che parla dichiaratamente di cinema e non ha bisogno di un’analisi dei significati sottesi per esplicitare il messaggio che manda. Un ritratto del mondo variegato e ricco di sorprese del set, in grado di trattare con leggera ironia i problemi di produzione, le discussioni tra gli attori, i cambi di programma, i tempi da rispettare e anche le fugaci storie d’amore che nascono e si esauriscono nel tempo delle riprese.
L’obiettivo del film è quello di distruggere l’illusione degli spettatori. Lo stesso titolo infatti, effetto notte, svela l’inganno di un filtro per la macchina da presa che permetteva di realizzare riprese notturne in pieno giorno. Il medesimo concetto viene esteso ad ogni parte della creazione di una pellicola, mostrando un rapporto ambivalente, ricco di rimandi ma estremamente saldo tra il cinema e la vita reale.
“I film sono più armoniosi della vita, Alphonse: non ci sono intoppi nei film, non ci sono rallentamenti. I film vanno avanti come i treni, capisci? Come i treni nella notte.”
Truffaut ci presenta il processo di realizzazione di “Vi presento Pamela”, in cui vediamo la collaborazione di attori di diversa nazionalità in un cast vivo e variegato in cui non mancheranno attriti. Molta enfasi viene posta sul lavoro del regista, ben distante dal trascorrere il suo tempo seduto sulla sua sedia assistendo alle riprese. Si muove affannando, correndo da una parte all’altra della città, con la responsabilità di coordinare persone ed eventi e risolvere problemi.
Nel caos generale della lavorazione ciò che spinge ad andare avanti e a non farsi sopraffare dalle difficoltà è l’amore per quello che si sta facendo. Proprio come la nostra esistenza non è nel nostro controllo, anche nel caso di un film il suo sviluppo può subire cambiamenti, imprevisti, ostacoli e intoppi. Il risultato può anche essere armonioso e lineare, ma ottenerlo potrebbe non essere così semplice. Un film può richiedere di pazientare a lungo, oppure di trovare una soluzione intraprendendo una strada completamente diversa. Ed è forse questa pregnanza di vita del cinema che ci fa comprendere la bellezza del raccontarlo e del metterlo in scena.
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