Tutti noi amiamo il cinema, ma in quanti conoscono l’industria cinematografica? Senza di essa non esisterebbe questa arte. È, infatti, sempre importante ricordare che ogni opera, anche la più astratta e indipendente, è un investimento economico per qualcuno. In questa nuova rubrica esploreremo questo mondo sconosciuto ai più, in modo semplice ed immediato ma anche esaustivo. L’idea di questa rubrica nasce grazie ad un libro, Economia del film di Marco Cucco, edito da Carocci Editore. Se siete interessati a questo mondo ve lo consigliamo caldamente.

Clicca qui per la prima parte.

GLI STUDIOS DI HOLLYWOOD

Nel panorama cinematografico statunitense, le case di produzione si distinguono per il budget medio utilizzato per i loro film. Le cinque major più importanti hanno sede a Los Angeles e sono: Columbia, Paramount, Universal, Walt Disney e Warner Bros. Vi è quindi una condizione di oligopolio, in cui poche imprese dominano un mercato caratterizzato da elevate barriere d’ingresso (alti costi per entrare nel mercato). In media ognuno di questi studios finanzia 10/20 film ogni anno, con un budget medio che si aggira intorno agli 80-85 milioni. Tuttavia, esistono alcune produzioni dette blockbuster in cui le spese possono essere addirittura quadruplicate. Generalmente queste grandi case di produzione gestiscono anche la distribuzione dei loro film. 

Talvolta le major finanziano e/o distribuiscono anche produzioni di altri studios, controllati o indipendenti. Tra questi i principali sono: Focus (Universal), Fox Searchlight Pictures (Walt Disney) e Sony Picture (Columbia). Questo settore viene definito indiewood (dall’unione delle parole indipendenti e Hollywood). Queste produzioni vengono finanziate e distribuite per diversi motivi, come ad esempio sperimentare nuovi modelli di business, nuovi talenti o semplicemente per ampliare la propria offerta, partecipando talvolta a grandi successi commerciali a fronte di costi relativamente contenuti. 

FRANCHISING

L’obiettivo economico più ambito da tutte le case di produzione è quello di sviluppare uno o più franchising, ovvero creare un insieme di beni e servizi associati ad una proprietà intellettuale appartenente alla casa madre. Per questo motivo a partire dagli anni ‘80 abbiamo visto numerose saghe nascere, tra cui ricordiamo Star Wars, Harry Potter e i film del Marvel Cinematic Universe. Le major, dunque, favoriscono la produzione di questo tipo di prodotto che può garantire non solo un ritorno economico in sala molto elevato (pensiamo ad Avengers: Endgame che con un incasso di circa 2.800.000.000$ è il secondo film col più alto incasso della storia senza calcolo dell’inflazione) ma anche un’alta possibilità di sfruttare l’idea in termini di merchandising e di altri prodotti come libri, fumetti, cartoni animati, eccetera.

BLOCKBUSTER

Con il termine blockbuster si intende “un film ad alto costo ideato e progettato per ottenere un vasto successo nel mercato internazionale” (Marco Cucco, 2020). È proprio grazie al successo di questi film che le major sono diventate così importanti e potenti nel panorama di Hollywood. Si iniziò ad utilizzare questo termine già dagli anni ‘40 per indicare alcune produzioni di grandi dimensioni (a livello di incassi, di costi ma anche per impatto sul pubblico). Ad oggi indichiamo con il termine blockbuster non un genere specifico di film, ma tutte quelle produzioni che vengono viste dal grande pubblico come un evento spettacolare da non perdere. Spesso viene associato a questo termine anche un senso dispregiativo, con cui indicare film apparentemente senza qualità artistiche, realizzati solo per mere questioni economiche.

Il primo blockbuster moderno risale agli anni ’70. Stiamo parlando de Lo Squalo (1975), di Steven Spielberg. Quest’opera fu un grande successo di pubblico e di incassi e consolidò alcune pratiche già utilizzate negli ambienti di Hollywood: lo sfruttamento di proprietà intellettuali già apprezzate dal pubblico; l’importanza di rivolgersi ad un pubblico più ampio possibile ma soprattutto ad un pubblico giovane, che era anche più propenso ad alimentare i guadagni delle major derivanti dal merchandising; puntare su tematiche facilmente esportabili all’estero, la cui potenza era soprattutto nelle immagini più che nelle parole; dare maggiore enfasi alla spettacolarizzazione del prodotto audiovisivo che, grazie alle innovazioni in ambito digitale, riusciva a mostrare sullo schermo cose mai viste prima, convincendo in questo modo lo spettatore medio ad abbandonare il salotto di casa e la televisione per andare in sala a godersi uno spettacolo, in quanto certi effetti erano impossibili da riprodurre nei propri apparecchi domestici.

I blockbuster risultano dunque, a partire dal 1975, gli investimenti più redditizi delle major hollywoodiane, pensati non soltanto per avere alti incassi in sala, ma anche per sfruttarne le proprietà intellettuali in altri settori quali il merchandising. Anche la pratica di realizzare sequel, prequel o reboot è, negli ultimi anni, sempre più utilizzata e si lega a questo ragionamento. Molti associano questo fenomeno ad una generale mancanza di idee ma, molto più semplicemente, una casa di produzione decide di puntare su di essi perché sa che porteranno un guadagno (quasi) certo: pensiamo ai live action Disney che sono tra i film più redditizi degli ultimi anni, nonostante vengano spesso stroncati dalla critica (il remake de Il re Leone ha incassato nel mondo più di un miliardo e mezzo di dollari, diventando il settimo film più redditizio di sempre senza calcolo dell’inflazione).

ALTRE CASE DI PRODUZIONE STATUNITENSI

Oltre alle già citate major e alle loro controllate, nel panorama statunitense possiamo trovare diversi altre categorie di case di produzione. Esistono le case di produzione indipendenti, dove spesso il rischio d’opera coincide con il rischio d’impresa, ma anche le mini-major, ovvero aziende il cui costo medio di produzione si aggira intorno ai 25 milioni di dollari e che, seppur non potendo competere a livello economico con le aziende più grandi, riescono a farsi spazio nel mercato grazie ad alcuni successi commerciali e di pubblico. L’esempio recente più eclatante in questo senso è quello della Miramax dei fratelli Weinstein, che grazie al successo di alcuni loro film (Pulp Fiction, La vita è bella, Il postino, Nuovo Cinema Paradiso, Shakespeare in Love) è riuscita a farsi un nome tra le grandi di Hollywood, fino a quando lo scandalo che ha coinvolto Harvey Weinstein ha ridimensionato di molto il suo potere a Hollywood.

Infine, negli ultimi anni, si sono affacciate sul mercato altre aziende il cui core business non è quello della produzione di film e serie tv: Netflix, Apple, Amazon. Grazie ai loro servizi in streaming divenuti sempre più popolari (e popolati) durante la pandemia da coronavirus, queste aziende si stanno imponendo sul mercato cinematografico, arrivando anche a produrre film molto ambiti e dal costo enorme. Pensiamo a Netflix che negli ultimi anni ha prodotto Roma (2018) di Alfonso Cuaron e The Irishman (2019) di Martin Scorsese, per non parlare delle decine di candidature agli Oscar che i film prodotti o distribuiti dalla piattaforma streaming sono riusciti ad ottenere.

Anche Amazon Prime Video è entrata di prepotenza in questo mercato, producendo contenuti esclusivi che stanno ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo. Recentemente, inoltre, l’azienda di Jeff Bezos ha acquistato per 8 miliardi e mezzo la casa di produzione MGM (il leone più famoso di Hollywood), riuscendo a portare all’interno del suo catalogo migliaia di prodotti tra film e serie tv. Anche Apple sta iniziando a farsi un nome all’interno di questo mercato. Tra le produzioni che vedranno la luce grazie all’azienda di Cupertino e che saranno inserite nel servizio streaming Apple TV+, le più attese sono senza dubbio la serie tv basata sui libri de Il Signore degli Anelli, uno degli show più costosi di sempre, e il nuovo film di Martin Scorsese Killers of the Flower Moon con Leonardo Dicaprio e Robert De Niro. Insomma, il mercato sta cambiando e anche le abitudini del pubblico. Queste aziende sono, in parte, destinate a diventare le major del domani. Ad oggi risulta, dunque, sempre più importante per le case di produzioni storiche avere un servizio streaming di proprietà, una strada che Disney ha iniziato a percorrere ormai più di un anno fa e che sta vedendo i suoi frutti negli ultimi mesi. 

Questo articolo è stato scritto da:

Rosario Azzaro, Direttore editoriale