Tutti noi amiamo il cinema, ma in quanti conoscono l’industria cinematografica? Senza di essa non esisterebbe questa arte. È, infatti, sempre importante ricordare che ogni opera, anche la più astratta e indipendente, è un investimento economico per qualcuno. In questa nuova rubrica esploreremo questo mondo sconosciuto ai più, in modo semplice ed immediato ma anche esaustivo. L’idea di questa rubrica nasce grazie ad un libro, Economia del film di Marco Cucco, edito da Carocci Editore. Se siete interessati a questo mondo ve lo consigliamo caldamente.
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DIFFERENZE TRA USA ED EUROPA
Le differenze tra il mondo della produzione cinematografico statunitense e quello europeo sono a dir poco abissali, sia per quanto riguarda il numero delle produzioni, sia per i sistemi di finanziamento e il budget medio impiegato nei film. Come già ampiamento osservato nell’articolo precedente, il mercato della produzione cinematografica statunitense è dominato da pochissime imprese, dette major, che controllano a loro volta altre case di produzioni più piccole, dominando, in questo modo, la quasi totalità del mercato (per lo meno la parte più in vista). Al contrario, in Europa, esistono numerose piccole imprese che operano prevalentemente su scala nazionale e non continentale. Questo avviene per diversi fattori, ma in particolare perché, al contrario degli Stati Uniti, l’Europa è un continente molto frammentato, sia a livello culturale che linguistico. Nonostante i grandi passi avanti fatti negli ultimi decenni (ovvero con la formazione e il consolidamento dell’Unione Europea e non solo) appare ancora oggi impossibile pensare ad una casa di produzione che si definisca pienamente “europea” e non italiana o francese o britannica.
Il costo medio di un film prodotto in Europa si aggira intorno ai 2 milioni di euro, cifra che non solo è lontanissima dal budget di un film prodotto dalle major americane (80 milioni di dollari) ma è anche molto più piccola di quella media utilizzata per i film statunitensi in generale.
Il volume di film prodotti in Europa però, è molto più elevato di quello prodotto negli Stati Uniti. Con circa 1100 unità all’anno a cui si aggiungono 600 documentari, per un totale di 1700 titoli in media, infatti, il volume totale è più del doppio di quello statunitense (circa 600 produzioni annue). Questo può essere spiegato ancora una volta dalla frammentarietà linguistica e culturale che troviamo all’interno del nostro continente. Ogni nazione ed ogni pubblico nazionale preferisce di gran lunga produzioni proprie piuttosto che altre produzioni europee. Pensate, soprattutto se non vivete in grandi città, a quante produzioni europee non italiane vengono proposte ogni anno nei nostri cinema. Togliendo dal calcolo i film provenienti da Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna (che insieme all’Italia producono il 60% circa dei film europei) è davvero difficile, per non dire impossibile, che un film europeo venga proiettato nei cinema delle nostre città, a meno che non venga candidato agli Oscar o vinca qualche premio di caratura internazionale (Venezia, Cannes, Berlino…).
FINANZIAMENTI
Altra grande differenza tra Europa e Stati Uniti può essere osservata nei sistemi di finanziamento delle case di produzione. Circa il 39% della quota complessiva del costo di un film proviene da finanziamenti pubblici. Questa risorsa è un’arma a doppio taglio, in quanto da un lato può essere vista come un disincentivo alla concorrenza e al rafforzamento dell’industria cinematografica ma, allo stesso tempo, è anche l’unico modo che hanno alcune case di produzione di sopravvivere nel mercato e di creare prodotti con una bassa o quasi nulla potenza attrattiva nei confronti del pubblico ma considerati comunque importanti da un punto di vista culturale o artistico. Inoltre, i finanziamenti pubblici forniscono anche una protezione dal rischio d’impresa, in quanto in caso di flop al botteghino, le perdite vengono spalmate tra più istituzioni. Questo permette di puntare su giovani talenti, dando loro la possibilità di lanciarsi in produzioni che, in un sistema senza finanziamenti pubblici, non vedrebbero mai la luce.
Infine, un altro effetto derivante dal finanziamento pubblico è quello che, spesso, vengono preferiti prodotti che si ancorano molto al contesto culturale di provenienza. Se da un lato questo può portare vantaggi sotto diversi punti di vista (pensate ad esempio a quante località diventano mete turistiche ambite poiché vengono scelte come location di produzioni molto importanti), d’altra parte questo rende le produzioni europee meno attrattive per l’estero. Un film di Checco Zalone, per fare un esempio, che in Italia riesce a sbancare al botteghino frantumando ogni record, in altri paesi europei non avrà mai la stessa forza attrattiva, in quanto porta in scena degli stereotipi e degli elementi culturali propri del nostro paese, per non parlare delle infinite gag linguistiche/dialettali che non potrebbero mai essere comprese a pieno da un pubblico straniero.
Un secondo elemento fondamentale per comprende al meglio la natura dell’industria cinematografica europea, risiede nel fatto che i principali produttori del nostro continente sono le imprese televisive, sia pubbliche che private, tanto che un film in Europa viene definito indipendente quando non è prodotto da un broadcaster o da un’impresa controllata da esso. Le imprese televisive finanziano o producono film per diversi motivi, quali aumentare il numero dei loro spettatori, offrire un prodotto di pregio o assolvere al compito di servizio pubblico. Bisogna inoltre aggiungere il fatto che queste imprese sono in un certo senso obbligate a finanziare un certo numero prodotti audiovisivi in seguito ad una legge dell’Unione Europea del 1989. Si può affermare che senza questa legge, probabilmente, i broadcaster non controllerebbero una parte così cospicua di questo mercato.
CATALOGARE LE PRODUZIONI EUROPEE
Un tentativo di catalogare le produzioni europee, spesso sono molto diverse tra di loro, è stato fatto da Andrew Higson nel 2018, dividendole in base alla loro capacità di circolazione a livello internazionale.
- Film ad alto costo: sono quasi sempre film britannici, quindi in lingua inglese, che ricevano una grossa parte di finanziamenti direttamente dagli Stati Uniti.
- Film d’autore: diretti quasi esclusivamente da registi molto conosciuti, non solo in patri ma anche all’estero. Sono film che non necessariamente realizzano grandi incassi, ma che hanno comunque una certa appetibilità a livello internazionale che gli garantisce un’ampia distribuzione estera (pensiamo a film di Almodòvar, Ken Loach o Paolo Sorrentino).
- Film middlebrow, ovvero di cultura media: Sono film che si collocano in mezzo alle due categorie precedenti. Non accedono sempre ad una distribuzione internazionale, ma spesso può capitare, talvolta raggiungendo anche una fama e un guadagno inatteso (esempi: Il discorso del re, The Millionaire, Quasi amici).
- Film molto radicati nella cultura nazionale: sono film, molto spesso commedie, che hanno poca appetibilità all’estero in quanto legati al paese di produzione. Si veda il paragrafo precedente in cui parlavamo dei film di Checco Zalone, ad esempio.
- Film che generano un basso numero di presenza in sala: Rappresentano la categoria più numerosa ma anche i budget più piccoli. Questi film stanno vivendo una particolare rinascita in seguito all’affermarsi dei servizi di streaming. Molti autori, infatti, riescono ad approdare su queste piattaforme, aprendosi, potenzialmente, ad una platea di pubblico molto più ampia rispetto a quella che avrebbero ottenuto con una normale distribuzione in sala. Se vi interessa l’argomento, leggete l’ultimo paragrafo della seconda parte in cui abbiamo fatto un piccolo approfondimento riguardo queste piatteforme, il cui ruolo all’interno dell’industria cinematografica è sempre più centrale.
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