Nel 1976, Irwin Yablans e Moustapha Akkad rimasero profondamente affascinati dal talento di un giovane regista emergente, John Carpenter, grazie al suo lavoro in Distretto 13. Colpiti dalla capacità di un appena ventiseienne di girare un thriller ad alta tensione e con un budget ridottissimo (100.000 dollari), i due produttori decisero di affidargli la regia di un progetto che Yablans aveva in mente da un po’: un horror a basso costo incentrato su un killer psicopatico che uccide le babysitter. Carpenter accettò l’incarico, a patto di ottenere il pieno controllo creativo sul progetto. Deciso a curare personalmente ogni aspetto della pellicola, dalla scrittura alla regia, fino alla colonna sonora, iniziò a lavorare al film con la compagna dell’epoca, la sceneggiatrice e produttrice Debra Hill. Insieme, diedero vita al capostipite del sottogenere slasher, un’opera destinata a ridefinire il concetto di paura e a trasformare per sempre il cinema horror: Halloween.

La genesi del male – Scrittura e pre-produzione

Moustapha Akkad mise a disposizione 300.000 dollari, fondi avanzati dal suo progetto precedente, Lion of the Desert. La sceneggiatura del film fu scritta in circa tre settimane. Carpenter e Debra Hill scelsero di ambientare la storia durante la notte di Halloween, portando avanti la loro idea iniziale secondo cui “non si può uccidere il male assoluto”. Nacque così la storia di un bambino di sei anni, Michael Myers, che viene internato in un ospedale psichiatrico dopo aver ucciso sua sorella maggiore. Quindici anni dopo, evade e torna nella sua città natale dove inizia una nuova serie di omicidi, incrociando la strada della giovane babysitter Laurie Strode.

Hill si concentrò sulla creazione di personaggi femminili realistici, mentre Carpenter dedicò particolare attenzione al dottor Loomis, destinato a diventare un elemento centrale della trama. Molti dettagli del film furono ispirati alle esperienze personali dei due sceneggiatori: il nome della città di Haddonfield venne scelto in omaggio al luogo d’infanzia di Hill, Haddonfield, New Jersey, e i nomi delle strade furono presi da quelli di Bowling Green, la città del Kentucky dove Carpenter trascorse parte della sua giovinezza. Michael Myers fu chiamato in onore del produttore inglese che portò Distretto 13 nel Regno Unito, mentre il nome del dottor Loomis derivava da Sam Loomis, il fidanzato di Marion Crane (Janet Leigh) in Psycho (1960), il film che più di tutti influenzò Halloween.

Per il ruolo di Laurie, Carpenter valutò diverse giovani attrici emergenti, dovendo tener conto del budget limitato. Fu Debra Hill a suggerire Jamie Lee Curtis, non solo per il suo talento, quanto anche per la popolarità di sua madre, Janet Leigh. Il veterano Donald Pleasence fu invece suggerito da Yablans per interpretare il dottor Loomis.

Per rappresentare il male assoluto, la totale mancanza di umanità, la maschera dell’assassino doveva essere totalmente inespressiva. Tommy Lee Wallace, scenografo e co-montatore del film, acquistò per circa due dollari una maschera del Capitano Kirk (William Shatner) di Star Trek, gli allargò le cavità degli occhi e la dipinse di bianco.

La regia di Carpenter

Halloween fu girato nella primavera del 1978 in circa venti giorni, prevalentemente a Pasadena, California. A causa della stagione, la crew ebbe difficoltà a trovare zucche per le decorazioni e utilizzò foglie artificiali dipinte per ricreare l’atmosfera autunnale. Le famiglie del quartiere parteciparono come comparse, vestendo i propri figli con costumi di Halloween per le riprese.

Carpenter lavorò in particolare con Jamie Lee Curtis per ottenere l’effetto di terrore desiderato dalla sua performance. Come ricordò l’attrice, il regista ideò un “misuratore della paura” per aiutarla a orientarsi tra le scene, in quanto il film non fu girato in ordine cronologico. Il misuratore andava da 1 a 10, e ogni livello corrispondeva a un’intensità diversa nelle espressioni facciali e nelle urla.

Con Nick Castle, interprete di Michael Myers, Carpenter fu ancora più essenziale. Per il regista, la motivazione del personaggio di Myers si limitava a spostarsi da un punto A a un punto B, senza provare o mostrare alcun tipo di emozione. L’unica indicazione significativa che diede a Castle riguardò la scena dell’omicidio di Bob, in cui gli chiese di inclinare la testa e osservare il cadavere come se fosse “una collezione di farfalle”.

L’essenzialità nella regia e l’uso estremamente sapiente del budget limitato permisero ad Halloween di diventare un capolavoro del genere horror, capace di evocare il terrore nel pubblico anche con pochi, studiati dettagli visivi e sonori. Come scritto anche dal critico cinematografico Roger Ebert, “mostrare della violenza sullo schermo è facile, ma farlo bene è decisamente difficile”. A questo proposito, il piano sequenza iniziale, girato interamente in soggettiva, è un capolavoro di costruzione della tensione e coinvolgimento emotivo, che stabilisce il tono dell’intero film. Il punto di vista utilizzato da Carpenter è cruciale, poiché trasforma l’atto di violenza in un’esperienza voyeuristica.

Mentre la macchina da presa si muove fluidamente tra le stanze della casa, lo spettatore è guidato attraverso un ambiente familiare, ora carico di una tensione opprimente. La musica, che si fa strada nel silenzio, amplifica il senso di anticipazione, scandendo i secondi che ci separano dall’omicidio di Judith, creando un vero e proprio conto alla rovescia.

Quando il giovane Michael Myers entra nella camera della sorella, il culmine della tensione è raggiunto. Vediamo attraverso i suoi occhi non solo la lama affondare, ma anche il movimento stesso del coltello. Lo sguardo di Michael (e il nostro) sembra studiare attentamente l’atto, come se volesse analizzarne ogni particolare. Questa calma e freddezza, tuttavia, si scontrano con l’orrore di ciò che stiamo osservando: un coltello che colpisce ripetutamente una giovane ragazza.

Il culmine di questa sequenza si verifica quando, dopo l’omicidio, Michael torna in strada e gli viene tolta la maschera. Questo momento è emblematico: il volto innocente e inespressivo del bambino, contrasta in modo stridente con l’atto terribile appena compiuto. Questo (non) volto diventa così simbolo di un male inarrestabile e, soprattutto, incomprensibile.

La voce del silenzio – Le musiche del film

Per il tema principale, “Halloween Theme”il regista si ispirò a un esercizio che suo padre gli aveva insegnato al bongo, trasferendo poi quella tecnica al pianoforte. Le sue note funsero quasi da voce per il silenzioso Michael Myers, accompagnandolo nella sua scia di omicidi. Il suo utilizzo ripetuto lungo tutto il film contribuì a mantenere un senso costante di angoscia e di pericolo imminente. Caratterizzato dal contrasto tra le note acute del pianoforte e un sottofondo percussivo elettronico costruito su un motivo ripetitivo, semplice ma abilmente strutturato, l’ “Halloween Theme” si è con gli anni fuso in maniera indissolubile con il personaggio, donando al film e all’intero franchise una vera e propria identità. Di contro, il “Laurie’s Theme” offre una melodia più dolce e malinconica, opposta non solo al tema principale, ma a tutti i motivi musicali associati al personaggio di Michael, rendendo Laurie l’antitesi dell’assassino.

L’intera colonna sonora, che Carpenter ha dichiarato di aver completato in appena tre giorni, immerge lo spettatore in un paesaggio sonoro di continua tensione, contribuendo a costruire il mondo di Halloween al pari delle immagini.

L’eredità di Halloween

Halloween diede la spinta definitiva alla consacrazione del sottogenere slasher. Spesso definito il primo vero esempio di questo filone, il film di Carpenter trasse grande ispirazione dai precursori del genere degli anni ‘60 e ‘70, tra cui L’occhio che uccide (Michael Powell, 1960)Psycho (Alfred Hitchcock, 1960) e Reazione a catena (Mario Bava, 1971). In opere come Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974) e La città che aveva paura (Charles B. Pierce, 1976), si possono rintracciare numerosi elementi che sarebbero poi diventati tipici del genere, tuttavia, è stato il successo travolgente di Halloween a dare vita e visibilità a una nuova ondata di film horror. Questo successo ha aperto la strada a dei franchise di grande successo, come la saga di Venerdì 13 (Sean S. Cunningham, 1980), che ha dato vita al personaggio di Jason Voorhees, e quella di Nightmare (Wes Craven. 1984), che ha introdotto Freddy Krueger.

Ma soprattutto, Halloween ha dato vita a numerosi sequel (tra cui ben due retcon). Nonostante l’ampia produzione di questi film, i risultati sono spesso stati discutibili e variabili in termini di qualità e innovazione.

Ritorno alle origini – Il remake di Rob Zombie

Nel 2007, Rob Zombie ha diretto una reinterpretazione audace e personale del film di Carpenter, offrendo una nuova visione della storia. Il film si apre con un’introduzione magistrale di quaranta minuti, durante la quale Zombie approfondisce il personaggio di Michael Myers, esplorando il suo passato e le esperienze che hanno contribuito alla sua trasformazione in mostro.

A differenza della versione originale, Zombie non si limita a ritrarre il killer come una figura puramente malvagia. Al contrario, presenta una dimensione di umanità insita in Michael, che emerge in relazione alle uniche due persone che ama davvero: sua madre e sua sorella minore. Vorrebbe proteggerle ad ogni costo, ma, paradossalmente, è proprio questa sua natura che finisce per inghiottire ogni cosa intorno a loro, rendendo la sua evoluzione ancora più tragica e complessa. La visione di Zombie trasforma così Michael Myers in un personaggio multi sfaccettato, invitando il pubblico a riflettere sulle radici della sua violenza e sulla perdita della sua umanità.

La reinterpretazione di Zombie ha suscitato reazioni contrastanti tra i fan e i critici, ma ha certamente riacceso l’interesse per la saga di Halloween, dimostrando che il mito di Michael Myers continua a evolversi e a catturare l’immaginazione del pubblico, anche decenni dopo la sua prima apparizione.

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Simone Pagano,
Redattore.