Nel secondo dopoguerra si sviluppò in Italia l’idea di esercitare la critica d’arte sfruttando il nuovo mezzo cinematografico. L’obiettivo era quello di trovare un nuovo metodo di divulgazione della cultura visiva, e rinnovare i vecchi modelli di comunicazione sull’arte. Il documentario sembrava quindi uno strumento perfetto per sfruttare la visione e trovare un’alternativa alla critica letteraria.

Il cinema quindi diventò un veicolo di diffusione di massa dell’arte, con non poche ambiguità nel trovare un equilibrio tra proposte anticonformiste e una semplice trasposizione filmica della critica tradizionale.

Il documentario d’arte nacque in realtà con Luciano Emmer, che nel 1938 aveva iniziato a girare film in cui raccontava gli affreschi di Giotto con la visione simultanea e la piacevole aggiunta della musica.

Tuttavia una vera e propria stagione del documentario d’arte vi fu nell’immediato dopoguerra, e si protrasse per diversi decenni, ad opera di diverse figure. Tra queste anche Carl Dreyer nel 1949 realizzò un film sull’arte dedicato a Thorvaldsen, sperimentando le possibilità del linguaggio cinematografico nell’esporre la scultura. In Italia i più importanti registi di documentaristi legati al mondo artistico furono Roberto Longhi e Carlo Ludovico Ragghianti.

Il primo è considerato la figura più originale di questo periodo, che però non riuscì a rendere i suoi film caratteristici e innovativi, limitandosi ad una lettura delle opere legando i movimenti della macchina da presa ai suoi discorsi. Una semplice riproduzione filmata del testo, senza distaccarsi troppo dalla tradizione. Nonostante ciò vinse nel 1948 il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia.

Chi invece traspose sullo schermo una posizione filosofica completa e complessa fu Ragghianti, che cercò di sfruttare le nuove possibilità offerte. I suoi non erano semplici documentari, ma vera e propria critica fatta sfruttando il mezzo filmico. Si interessò alla dimensione dello spazio-tempo cercando di mostrare la genesi dell’opera. Si partiva nei suoi critofilm da una visione inusuale di questa (ad esempio una visione aerea) e il testo veniva scritto solo in seguito, basandosi sul montaggio. L’idea era che il cinema fosse capace in sé di un’operazione critica.

Carlo Ludovico Ragghianti

Centrale nelle sue operazioni critiche in generale era l’idea (mutuata dall’idealismo crociano) di una circolazione dello spirito tra forma e pensiero. L’espressione artistica sarebbe quindi un impulso diventato forma, e la critica doveva indagare la genesi di quest’ultima e studiarne le articolazioni.

Questo obiettivo di fondo era l’indicazione da seguire nelle riprese dei critofilm, cercando di comprendere come l’artista avesse avuto l’intuizione.

Quello dal 1954 al 1964 fu un decennio intenso di produzione. La scelta di soggetti e temi di questo periodo è varia. Comunità millenarie (il primo, dopo alcuni tentativi preliminari), Michelangelo (l’ultimo) ed altri che vanno dall’urbanistica alla pittura fiorentina furono i suoi lavori di questo periodo, che si conciliarono in una filmografia variegata in cui emergono tutti i differenti interessi dello storico.

Questa volontà di sperimentare, scoprire, proporre novità era perfettamente in linea col carattere dello storico. Sentiva infatti una forte esigenza democratica di diffondere il valore dell’arte visto come una parte fondamentale dell’uomo e che se coltivato lo avrebbe portato ad un progresso etico collettivo. Questo interesse così indirizzato veniva chiamato “moralismo critico”, e si risolveva in un atteggiamento politicamente impegnato ad incoraggiare gli studi di storia dell’arte.

Il suo interesse per l’arte era inteso nel senso più ampio possibile: considerava tale tutto ciò che avesse a che fare con la creatività dell’uomo, non trascurando quindi il cinema, l’urbanistica, le arti decorative, la fotografia.

Nel 1945 venne nominato sottosegretario delle Belle Arti, con il compito di rimediare ai disastri della Seconda guerra mondiale. Da questa esperienza fu molto deluso, andando a chiamare “ipertiroidismo burocratico” la lentezza delle istituzioni nell’impegnarsi effettivamente nel valorizzare il patrimonio artistico.

Cercò per tutta la vita di promuovere l’educazione culturale e l’amore per l’arte, diventando una delle figure più importanti del secolo scorso.

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Gaia Fanelli, Redattrice