Questo articolo contiene spoiler sul film in questione.

Quando nel maggio del 2000 uscì nelle sale Il Gladiatore, Ridley Scott era già un regista affermato e particolarmente apprezzato nel mondo cinefilo, grazie soprattutto ai suoi tre film d’esordio – I duellanti (1977), Alien (1979) e Blade Runner (1982) – un gran film e due capolavori con cui Scott si presentò al mondo della settima arte. Il Gladiatore fu, senza dubbio, il suo film di maggior successo – dopo i tre citati sopra – sia di critica che di pubblico. Scott mise in scena un film perfettamente riuscito sotto molti punti di vista, che mette al centro dello spettacolo l’epica, e che nasconde, sotto una corazza di machismo e sangue, dei messaggi molto profondi e dei personaggi complessi e sfaccettati. Un’opera che oggi alcuni cinefili disprezzano, soprattutto a causa delle sue inesattezze storiche, che però, a parere di chi scrive, non inficiano alcun modo la visione del film: Il Gladiatore non è (solo) un film su Roma o sull’Impero Romano, bensì un film universale sul potere, sulla vendetta, sulla natura dell’essere umano.

Quando si parla de Il Gladiatore non si può non fare cenno al suo protagonista, Massimo Decimo Meridio, uno dei ruoli più iconici del cinema del XXI secolo, senza dubbio la migliore interpretazione della carriera di Russell Crowe, l’eroe narrativo per eccellenza, il buono forte e coraggioso, un uomo disposto a sacrificare la propria vita per la giustizia e per un sogno di civiltà. Un personaggio perfettamente contrapposto al villain del film: l’imperatore Commodo, l’antitesi di Massimo, interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, all’epoca venticinquenne, davanti alla prova attoriale più importante della sua carriera fino a quel momento.

Figlio dell’imperatore, usurpatore della carica imperiale e della volontà paterna, assassino. Commodo è un personaggio incredibilmente malvagio ma allo stesso tempo profondamente tragico e complesso. Il personaggio di Phoenix incarna l’ambizione, la corruzione e la brama di potere, ma lo fa in un modo del tutto negativo, compiendo azioni che, pian piano, lo trascinano in un vortice di follia e autodistruzione psicofisica, con conseguenze terribili anche per chi gli sta vicino. 

“I tuoi fallimenti come figlio sono i miei fallimenti come padre” (Marco Aurelio rivolto a Commodo)

Fin da bambino, Commodo ha dovuto affrontare il peso del confronto con il padre. La personalità forte, il coraggio e gli alti valori morali del padre si scontrano con l’indole debole e con la vigliaccheria del figlio. Non riuscendo mai a trovare l’approvazione e l’amore di Marco Aurelio, il solo scopo nella vita di Commodo è diventare Imperatore, prendere il posto del padre, non solo per il potere, ma soprattutto perché essere Imperatori significa essere amati. Egli crede in questo modo di trovare, finalmente, delle persone che lo amino e adorino come desidera e come, probabilmente, non era mai stato. 

Per tutta la vita ha saputo di non essere un figlio amato o rispettato, di non essere considerato all’altezza del ruolo che gli era stato assegnato fin dalla nascita. Il solo fatto di poter diventare un giorno Imperatore, e quindi di essere amato da tutti (utilizzando la forza, se necessario) diventa per lui l’ultimo modo di provare ad avere il rispetto di coloro che gli stanno accanto. 

Ed è per questo che la decisione di Marco Aurelio di nominare imperatore Massimo diventa l’ultima goccia che fa traboccare il vaso di invidia e follia di Commodo. Il suo sogno viene spazzato via in un attimo, portato via proprio dall’uomo che lui avrebbe sempre voluto essere e che non è mai stato, da colui nei confronti del quale si è sempre sentito inferiore. Massimo è il figlio che Marco Aurelio aveva sempre desiderato, il figlio che Commodo non è mai stato.

Più si va avanti nel film, più la follia e il disprezzo verso il prossimo di Commodo prendono il sopravvento: lui odia il Senato, non accetta il fatto che qualcuno possa non portargli rispetto, non accetta il fatto che il popolo possa preferire il padre o, peggio, Massimo, ed è proprio per questo che organizza i giochi nell’arena, per dare al popolo l’intrattenimento, per far sì che la gente di Roma lo ami, noncurante delle conseguenze disastrose di questa sua azione: per finanziare i giochi arriva persino a decidere di vendere le riserve di grano, condannando il proprio popolo alla fame. Il suo è un personaggio estremamente egoista, che per ottenere l’amore e il rispetto della popolazione è disposto a sacrificare la popolazione stessa e tutti coloro che gli stanno accanto. 

Alla fine, lo spettacolo messo in scena gli si ritorce contro. Nonostante avesse provato a ucciderlo, distruggerlo psicologicamente e infine umiliarlo, Massimo, da gladiatore, diventa più amato e rispettato di lui (si pensi alla scena in cui il nipote di Commodo, giocando con una spada, dice di non essere un legionario ma un gladiatore). L’amore del popolo verso Massimo distrugge gli ultimi – pochi – barlumi di razionalità ancora presenti in lui. Da quel momento in poi, i suoi comportamenti quasi infantili prendono il sopravvento, le sue occhiaie, che denotano una forte mancanza di sonno, – sempre presenti – sembrano farsi più marcate e profonde, è chiaro come il suo personaggio stia scendendo in un vortice di follia autodistruttiva che, iniziata con l’uccisione del padre, ora sta raggiungendo il suo culmine. Irrazionalità, rabbia, nervosismo, comportamenti antisociali, sono tutti gli ingredienti di un mix che porterà il giovane imperatore alla follia e infine alla morte per mano proprio del suo acerrimo nemico.

La sfida tra Massimo e Commodo assume, sotto questi presupposti, un significato molto più profondo rispetto al classico duello tra bene e male. Scott ci mostra una battaglia tra un uomo che, seppur devastato da terribili avvenimenti della sua vita, trova nella ricerca del bene e della libertà un nuovo motivo per continuare a lottare, e un altro uomo che, invece, nonostante la vita agiata e le enormi possibilità, non si arrende mai di fronte all’evidenza e decide di trascinare tutti all’inferno insieme a lui. Alla fine del film a vincere sarà proprio Massimo che sa di aver vissuto come un uomo giusto e, proprio per questo, amato dagli altri, e che finalmente potrà ricongiungersi con la propria famiglia. Commodo, al contrario, muore come aveva vissuto: disprezzato e umiliato da coloro che sperava potessero amarlo.

Rosario Azzaro
Rosario Azzaro,
Presidente Associazione e caporedattore.