Nella prima parte abbiamo cercato di darvi un’idea generale delle sfide e dei retroscena nascosti nella realizzazione di un documentario ambizioso e spettacolare come Planet Earth II della BBC. Tutti, a primo impatto, notiamo la bellezza delle immagini e ci immergiamo in mondi inesplorati, tra animali selvatici e piante incredibili, senza notare che i suoni e le canzoni giocano un ruolo altrettanto importante. Il sound design, ovvero la scelta delle canzoni, dei rumori e il loro volume, rappresentano una parte fondamentale dei documentari e permettono allo spettatore di vivere un’esperienza che coinvolga non solo la vista, ma anche l’udito. Questo processo della produzione comporta numerosi studi e figure professionali adatte allo scopo, tutto deve essere al posto giusto per non disturbare lo spettatore.

AUDIO – REGISTRAZIONE

Il primo passo nel sound design di un documentario è, ovviamente, la registrazione sul campo, che prevede uno studio preliminare di cosa si andrà a registrare, delle condizioni ambientali e del tipo di riprese. Trattandosi di animali selvaggi, grandi o piccoli che siano, i team di ripresa prediligono stare ad una distanza di sicurezza per non disturbare i soggetti ripresi ed evitare possibili rischi. Negli ultimi anni le riprese aeree hanno subito un’evoluzione molto rapida che ha cambiato per sempre il modo di girare e concepire i documentari: la maggior parte, infatti, vengono effettuate tramite droni ed elicotteri, che per loro natura producono rumori che coprirebbero qualsiasi suono catturato da un microfono; oppure si sta riprendendo una lotta tra falchi a centinaia di metri di distanza utilizzando dei teleobiettivi e al momento non esistono microfoni in grado di catturare un audio pulito e focalizzato su un soggetto così lontano. Un’altra condizione può essere quella di riprese subacquee, qui esistono microfoni in grado di catturare con precisione i suoni di ambiente e creature chiamati idrofoni. Sott’acqua il suono viaggia molto più velocemente rispetto all’aria ed è possibile registrare rumori provenienti da molto più lontano. Questi microfoni, fondamentali oggi sia per lo studio biologico che geologico, registrano i cambiamenti di pressione all’interno di un fluido con molta più sensibilità rispetto a quelli tradizionali e vennero inventati durante la Prima Guerra Mondiale per individuare gli U-Boot tedeschi. Il mondo sottomarino è fatto di tantissimi suoni, molto simili a schiocchi e ticchettii, che inseriti in un documentario alla lunga potrebbero stancare l’udito dello spettatore. Per ovviare a tutti questi inconvenienti ci si rivolge a una figura tanto sconosciuta quanto importante, il Foley.

AUDIO – CREAZIONE

Nel Film-making il Foley è quell’artista che si occupa di creare o simulare i suoni che accompagnano le immagini e il nome deriva proprio dallo storico pioniere degli effetti sonori Jack Foley. Dai passi di una persona, a una porta che cigola, questa figura crea un mondo di suoni e rumori altrettanto vario e reale quanto quello presentato dalle immagini. E’ una parte fondamentale del Sound Design e sempre più presente nei documentari contemporanei. In Planet Earth II possiamo assistere a scene di animali minuscoli come piccoli ragni che tessono tele o che camminano sulle foglie. I loro movimenti sono così piccoli e leggeri che non ci sarebbe nessun audio da catturare o almeno non ci sono tecniche adatte allo scopo ed è qui che entra in gioco questa figura: attraverso oggetti del tutto slegati dal contesto come una molla metallica o dei nastri magnetici, vengono ricreati i piccoli passi delle zampe sulle foglie o il tessere della ragnatela. E’ fondamentale una certa dose di esperienza e di fantasia, ma anche una preparazione tecnica su come l’essere umano percepisce i suoni. In questo caso si predilige un suono “vicino” di “prossimità” registrando molto vicino al microfono per dare la giusta sensazione allo spettatore. Un’altra situazione comune – già accennata prima – è il mondo marino: qui si utilizzano vasche e vari tipi di microfono per ricreare la sensazione dei movimenti subacquei degli animali, ponendo enfasi sull’ampiezza del movimento e la rapidità con il quale viene eseguito. Non tutto viene realizzato dal Foley però, i ruggiti, i richiami e alcuni suoni ambientali non potrebbero essere ricreati con la giusta accuratezza e per questo devono necessariamente essere registrati sul campo oppure in un secondo momento con animali in cattività.

LA COLONNA SONORA

Un documentario come Planet Earth II non sarebbe lo stesso senza una colonna sonora all’altezza e questo è indubbiamente uno degli ultimi tasselli che compongono il puzzle. Con l’avvicinamento allo stile cinematografico, quasi da Blockbuster, anche la colonna sonora subisce mutamenti e si allinea alle tendenze del momento. I brani sono molto più “epici” e complessi di quelli utilizzati in precedenza, creando un tappeto sonoro che nei momenti di maggiore azione passa in primo piano. Così lotte tra rettili e felini si trasformano in tornei di Gladiatori facendo ampio uso di percussioni ed effetti che rievocano i kolossal del passato. Viene utilizzato tutto l’arsenale disponibile in un’orchestra, dagli archi agli strumenti a fiato, per sottolineare alcuni momenti e suscitare le giuste emozioni, immergendo lo spettatore nella bellezza del nostro pianeta esaltando le ampie panoramiche sui paesaggi più spettacolari della Terra. 

Un viaggio così vasto tra varie culture non sarebbe completo senza le influenze di questi luoghi; quindi, si cerca di dare il giusto spazio e contesto ai brani attingendo a suoni e strumenti locali o che si avvicinino a quelli prodotti dalla natura. Tutto questo però deve essere ben calibrato per non risultare “troppo”, con i giusti momenti di azione e distensione senza distrarre da quello che accade sullo schermo. 

L’ETICA NEI DOCUMENTARI

Un documentario nasce con l’intento di istruire, educare o creare una registrazione storica di un qualcosa, che sia un habitat come la savana o una tribù remota. Date le difficoltà tecniche della realizzazione di queste opere, l’interpretazione dei fatti assume un ruolo fondamentale: scegliere come riprendere e come raccontare un determinato fenomeno può presentarlo in modi contrapposti allo spettatore e venendo a conoscenza del fatto che non tutto quello che udiamo sia reale, viene spontaneo chiedersi se anche ciò che vediamo lo sia ed è qui che entra in gioco l’etica e la sceneggiatura di chi produce un documentario. È un problema riscontrato sin dai primi film di fine Ottocento e che oggi assume un’importanza ancora maggiore, creare un documentario, infatti, è costoso e impegnativo ed il rischio di fallimento è sempre dietro l’angolo, poiché non essendo un prodotto fruito da tantissime persone, difficilmente riesce a trovare un sostegno commerciale come altre produzioni. Per catturare l’attenzione l’obiettivo è quello di coinvolgere e stupire l’osservatore, quindi trovare punti di ripresa unici, luoghi affascinanti e soprattutto storie. Il segreto nella narrazione è la Storia: le battaglie tra insetti, quella per la sopravvivenza oppure la nascita, sono i temi più utilizzati e di maggior effetto, ma ciò può portare a raccontare un qualcosa molto differente dalla realtà. Ci sono tantissimi casi noti e critiche in merito ma qui ci limiteremo a citarne solo un paio.

NANOOK L’ESCHIMESE (1922)

Nanook l’eschimese del 1922 è un film americano scritto e diretto da Robert J. Flaherty ed è uno dei primi esempi di prodotti che uniscono le caratteristiche dei documentari a quelli del dramma. Il film racconta la vita e le difficoltà di un Inuk di nome Nanook e della sua famiglia nel Nord del Canada. Inizialmente acclamato da pubblico e critica, successivamente ricevette diverse critiche poiché si scoprì che molte scene vennero recitate e che il tipo di cultura raccontata si discostava dalla realtà. Nemmeno i nomi o la famiglia erano reali. A discolpa di Flaherty, viene sottolineato il fatto che sia stato girato in ambienti difficilissimi, da un’unica persona e con attrezzatura non paragonabile a quella odierna, inoltre l’intento era quello di raccontare un tipo di cultura non più presente permettendosi di preparare alcune scene per poterle riprendere.

WHITE WILDERNESS (1958)

White Wilderness del 1958 è un film prodotto dalla Disney e diretto da James Algar che racconta la vita selvaggia del Nord America. È ricordato soprattutto per l’aver messo in scena una convinzione comune che i lemmini, una piccola specie di roditori, conducessero suicidi di massa durante il periodo di migrazione. Questo fatto non risulta per niente vero e la scena incriminata venne smascherata nel 1982 da un’inchiesta condotta dalla CBC sulla violenza sugli animali. Si scoprì che i piccoli roditori vennero acquistati da una fattoria locale e spinti verso il suicidio solo per girare una scena per dare credito a una leggenda popolare. Più tardi si seppe che anche una scena dove un orso polare cadeva in acqua fu girata in uno studio a Calgary.

Questi comportamenti sono presenti ancora al giorno d’oggi, alcuni degli animali ripresi sono in realtà in cattività e alcuni comportamenti suggeriti o elementi della narrazione, servono solo a creare suspense e non a raccontare in modo neutrale ciò che avviene in natura. Una produzione planetaria come Planet Earth II ed un broadcaster come la BBC sono molto rigorosi su questo, ma anche in questi casi non sono esenti da critiche. Alcuni suoni o scene possono risultare volutamente forzati e creare delle illusioni nello spettatore che, magari, potrebbero essere evitate a scapito di un coinvolgimento minore.

In conclusione, abbiamo scoperto che realizzare un Documentario è una delle imprese più difficili della settima arte, che presenta tantissime sfide e compromessi non comuni, che a volte possono portare a risultati straordinari oppure a prodotti che sfruttano la finizione pur di creare spettacolo.

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Nikolaos Gea, Redattore