Cleopatra (1963) è l’ultimo grande kolossal dell’epoca classica americana, che agli inizi degli anni ’60 stava già andando incontro ad una grande rivoluzione storica e sociale. In quel periodo l’industria cinematografica statunitense si trovava ad affrontare una profonda crisi. Tra le tante cause vi era lo svuotamento delle sale cinematografiche, in parte dovuto all’avvento della televisione e in parte allo stesso pubblico, desideroso di un cambiamento in ambito filmico. In particolare, i giovani non riuscivano ad identificarsi in quel Cinema che per decenni era stato un punto di riferimento la generazione dei loro padri.
Le grandi Majors non sapevano più cosa offrire a questi spettatori che ormai andavano al cinema sempre più raramente. Il panico delle sale vuote iniziò, quindi, a diffondersi tra gli studios.
I produttori si ritrovarono a dover sperimentare nuove strategie per attirare nuovamente il pubblico e si iniziò a puntare sulla notorietà del cast, sulla maestosità delle scenografie e degli effetti speciali. Cleopatra è una pellicola che si inserisce all’interno di questa grande operazione, finalizzata a riportare il pubblico in sala. Un altro fattore che destabilizzò profondamente l’industria fu la Sentenza Paramount del 1948 che determinò la fine del monopolio delle majors sul mercato cinematografico, del block booking (trd. Vendita dei film a pacchetti) e del sistema di integrazione verticale, secondo cui una casa di produzione deteneva il controllo sull’esercizio, sulla produzione e sulla distribuzione delle pellicole. La sentenza aprì le porte dell’industria cinematografica anche alle piccole case di produzione indipendenti. Da quel momento in poi nulla sarebbe stato più lo stesso.
Qualche anno più tardi gli spregiudicati figli della New Hollywood avrebbero conquistato lo scenario cinematografico americano risollevando l’industria dal forte decadimento a cui stava andando incontro.

Una produzione travagliata

«Cleopatra è stato concepito nell’isteria, girato nel casino, montato nel panico»
– Joseph Mankiewicz

Oltre ad essere una pellicola esemplare del tramonto dell’epoca d’oro del cinema statunitense, Cleopatra è noto per essere uno dei più grandi flop della 20th Century Fox a causa dei prolungati tempi di realizzazione, degli spropositati costi di produzione, dei compensi stratosferici destinati alle star (Elizabeth Taylor, Richard Burton e Rex Harrison) e della realizzazione di scenografie imponenti e di costumi incantevoli. Basti solo pensare che la costumista Irene Sharaff disegnò per la Taylor 65 abiti diversi, che si aggiunsero ad altri 27.500 costumi, destinati alle comparse. Molti di questi vestiti non furono mai indossati. Questo fu uno dei tanti esempi di spreco del budget che avvennero durante la lavorazione di Cleopatra. Oltre a ciò, numerose costruzioni scenografiche furono lasciate incomplete per carenza di materiale e di manodopera. A causa di queste spese inutili, il budget lievitò pesantemente nel corso delle riprese: da due milioni di dollari iniziali si arrivò a quarantaquattro milioni di dollari.
Le riprese di Cleopatra iniziarono ufficialmente nel 1960 a Londra e dopo sei mesi si trasferirono a Roma, verso un clima decisamente più mediterraneo. Di conseguenza, Cinecittà fu scelta per ospitare l’immensa produzione e, in quegli anni, Roma venne battezzata “la Hollywood sul Tevere”. Tale spostamento fu necessario dal momento che la Taylor si ammalò di polmonite e fu costretta a sottoporsi ad una delicata operazione di tracheotomia.


La lavorazione del film fu, dunque, assai travagliata a causa dei numerosi cambi di attori e di regia, dei capricci delle star, della scandalosa storia d’amore clandestina tra Elizabeth Taylor e Richard Burton, della disorganizzazione sul set e, soprattutto, della mancata comunicazione tra la regia e la produzione. A livello registico vi furono, infatti, numerosi cambi di rotta. Inizialmente la regia fu affidata a Rouben Mamoulian, che dopo poco tempo fu licenziato. La direzione della pellicola passò, quindi, a Joseph Mankiewicz, che si ritrovò tra le mani un film decisamente problematico sotto molti punti di vista: ai numerosi casi di sforamento di budget si aggiunse un ulteriore inciampo causato dal prematuro abbandono del set da parte di Peter Finch e Stephen Boyd, rispettivamente nelle parti di Cesare e Marco Antonio. Questi imprevisti comportarono numerosi ritardi nella lavorazione del film e ulteriori perdite di tempo e, dunque, di denaro. Dopo numerose trattazioni, furono scelti Richard Burton per il ruolo di Marco Antonio e Rex Harrison per quello di Giulio Cesare.
Mankiewicz approfittò di questi cambiamenti per rimettere mano alla sceneggiatura e  divise il film in due sezioni: la prima, dal tono decisamente più politico, sarebbe stata incentrata sul rapporto tra Cleopatra e Cesare; la seconda, di matrice shakespeariana, avrebbe raccontato la passionale e tragica storia d’amore tra Marco Antonio e la regina d’Egitto.
Non ci sorprende, dunque, che Mankiewicz abbia avuto un esaurimento nervoso durante le riprese, che lo portò ad essere prima licenziato e poi successivamente riassunto quando la produzione non riuscì a trovare nessun altro regista che volesse portare a termine la pellicola.
Alla fine dell’impresa, Mankiewicz si ritrovò con ben sei ore di girato, che furono ridotte a quattro e successivamente a tre dai produttori, così da aumentare il numero delle proiezioni quotidiane nelle sale.  Le continue proteste del regista, dinanzi a questi tagli drastici, non furono in alcun modo prese in considerazione dai produttori. Questo ci fa capire come il sistema hollywoodiano concepisse ancora il produttore al vertice dell’industria cinematografica. Nel giro di pochi anni la New Hollywood, influenzata dalla Nouvelle Vague, avrebbe messo i piedi in testa a tale gerarchia interna in nome della “politica degli autori”, secondo la quale la responsabilità autoriale dell’opera filmica era da ricercare esclusivamente nella figura del regista.

Elizabeth Taylor: ultima regina e diva del cinema classico

Agrippa: Ti sembra sia stata una degna fine?
Charmian: Più che degna. Degna dell’ultima regina d’una grande stirpe.

Le scenografie solenni e i costumi sontuosi del film passano, tuttavia, in secondo piano dinanzi alla figura divina di Elizabeth Taylor. Cleopatra è, infatti, un film costruito per esaltare Elizabeth Taylor, la sua bravura da attrice drammatica, il suo carisma straordinario e la sua bellezza senza tempo. E’ il film che più di tutti ha consolidato il suo divismo a livello mondiale rendendola un’icona immortale e leggendaria. Molte attrici presero successivamente il ruolo di Cleopatra, ma nessuna di queste riuscì ad eguagliare il magnetismo della Taylor.
Inizialmente furono selezionate numerose interpreti per il ruolo, tra le quali Audrey Hepburn, ma alla fine Elizabeth Taylor venne scritturata con un contratto di un milione di dollari, ai quali vennero aggiunti altri sette milioni come percentuale sugli incassi. Un investimento economico decisamente impegnativo e folle per l’epoca. Un investimento nei confronti di una diva capricciosa, mutevole, ma con un talento straordinario in grado di trasformare ogni piccola scena in un grande momento di Cinema. Una diva che pretese costumi sfarzosi e unici per quel ruolo da regina che tanto si accordava con la sua persona. Per soddisfare ogni sua richiesta le due costumiste Renie Conley e Irene Sharaff disegnarono una quantità inaudita di copricapi massicci in stile Nefertiti, scarpette e costumi regali arricchiti da perle, cristalli, paillettes, dettagli d’oro e simboli della cultura egizia (serpenti, scarabei, ankh). Un gusto per l’opulenza che trova nella Taylor la maggiore ammiratrice e nelle parole di Plutarco la fonte storica di riferimento.
Liz Taylor riuscì a dare voce a una delle figure femminili più celebri della storia attraverso un’eleganza altera da regina e una drammaticità da attrice shakespeariana. Ancora oggi, a distanza di sessant’anni, il personaggio di Cleopatra è associato indubbiamente al viso di Elizabeth Taylor e ai suoi occhi viola.
Per concludere, Cleopatra non ha solamente sancito la fine dei kolossal hollywoodiani, ma anche di un sistema produttivo che per gran parte del Novecento aveva segnato l’industria cinematografica statunitense. Con Cleopatra si conclude l’epoca delle grandi stelle, dello strapotere dei produttori e delle produzioni sfarzose. Cleopatra è il tramonto del cinema classico hollywoodiano.

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Benedetta Lucidi,
Redattrice