La fragilità dell’arte cinematografica sembra essere il filo conduttore di questa edizione del Cinema Ritrovato: l’ultimo film di ‘Fatty’ Arbuckle scomparso dalla circolazione dopo lo scandalo che lo coinvolse, il ritrovamento fortuito del corto pasoliniano La ricotta pre censura, l’opera monstre di Stroheim mutilata per passare dalle sei ore ad appena due e venti, il debutto di Charles Vanel, trovato più che ‘ritrovato’, il rocambolesco restauro di Ludwig… i film che quest’anno ci ricordano quanto la pellicola sia materiale delicato e quanto sia stata soggetta al trascorrere dei decenni, sono, sfortunatamente, tanti.

È dunque ancora più importante come, a 100 anni dalla sua uscita, siamo ancora capaci di vedere, proiettato in Piazza Maggiore nella sua versione completa, Nosferatu, capolavoro horror del regista tedesco F.W. Murnau con, in accordo al suo sottotitolo “Sinfonia del terrore”, l’accompagnamento live dell’Orchestra del Teatro Comunale. Il contributo dell’Orchestra, guidata da Timothy Brock che ha anche composto le musiche per l’evento, ha contribuito ad avvicinare il pubblico all’opera di Murnau con occhi nuovi, un pubblico che, come ha notato Gabriele Mainetti nel suo intervento pre proiezione, ha riempito la Piazza straordinariamente per un film uscito addirittura un secolo fa.

Questo film si sarebbe potuto tranquillamente aggiungere alla lunga lista di opere perse per sempre o arrivateci in forme molto ridotte, vista la sua storia. Per chi non ne fosse a conoscenza, Nosferatu è un adattamento non autorizzato del libro Dracula di Bram Stoker, con nomi, luoghi e tempo cambiati ed alcuni elementi della trama leggermente modificati per evitare problemi di copyright. L’attenzione di Murnau fu inutile, dal momento che la vedova Stoker, Florence Balcombe, cercò di far distruggere ogni copia esistente del film, operazione che evidentemente non riuscì. 

Per nostra fortuna, bisognerebbe aggiungere: Nosferatu ha contribuito fortemente non solo al futuro del cinema in toto, ma anche e soprattutto all’evoluzione del genere vampiresco al cinema. Come riportato dallo studioso Christopher Frayling nella sua lezione tenuta durante il Festival, infatti, questo film potrebbe essere non solo il primo ad adattare il romanzo di Stoker (recentemente il copione di Drakula halàla, pellicola perduta finora ritenuto degna di questo titolo, è emerso, rivelando che in realtà in essa non ci sono riferimenti al soprannaturale) ma anche il primo dedicato ai vampiri in toto. 

L’imprinting lasciato da Nosferatu sul cinema successivo è evidente: anche se l’iconografia del vampiro sopravvissuta nella coscienza collettiva non è oggi quella del Conte Orlok ma piuttosto quella del successivo Dracula con protagonista Bela Lugosi, ci sono tre elementi identificati da Frayling che non erano presenti nel romanzo di Stoker e che sono entrati nell’immaginario collettivo. In primis, l’idea che il vampiro possa essere ucciso dalla luce del sole; in secondo luogo la presenza di una donna pura che distrugge la creatura malvagia sacrificandosi; in ultimo, il fatto che il vampiro porti con sé la malattia (in questo caso nello specifico la peste), un elemento che ha probabilmente le sue radici nella recente epidemia di influenza spagnola che la Germania aveva affrontato. 

Altro elemento innovativo, la decisione di Murnau di girare in esterni: buona parte dei film espressionisti tedeschi venivano girati in studio, in cui era possibile ricostruire atmosfere da incubo, specchio dell’interiorità disturbata dei personaggi, a partire dall’architettura (si veda come esempio emblematico Il gabinetto del dottor Caligari, il capostipite di questa corrente cinematografica). Nonostante ciò Murnau non rinunciò ad espedienti registici tipici dell’Espressionismo, in particolar modo l’uso delle luci e delle ombre. L’entrata in scena del vampiro è emblematica, in questo senso: il Conte Orlok esce dalle tenebre, da un arco del suo castello, per accogliere Hutter, il protagonista, il quale a sua volta si sposta dalla luce verso il buio (letteralmente e metaforicamente) assieme al padrone di casa.

Un ruolo a sé stante ha poi l’ombra di Orlok, che sembra agire quasi in autonomia rispetto al vampiro stesso e che è responsabile di alcune delle immagini più suggestive e memorabili del film.

Di questo personaggio si è parlato molto, per il suo look iconico ma anche e soprattutto per la recitazione dell’attore Max Schreck (“Massimo Terrore”), che cozza volutamente con quella degli altri attori, specialmente i protagonisti, i quali assumono uno stile recitativo molto più naturalistico (anche se la cosa potrebbe non apparire evidente a noi spettatori moderni), facendo sembrare sin dall’inizio il personaggio come un essere altero, soprannaturale. Addirittura, a seguito dell’uscita di Nosferatu, l’interpretazione dell’attore fu considerata tanto realistica da spingere alcuni a credere che quello che era stato catturato sullo schermo fosse un vero vampiro. Il regista E. Elias Merhige si è ispirato al concetto per il suo film, opportunamente chiamato L’ombra del vampiro, con protagonisti John Malkovich nella parte di Murnau e Willem Dafoe in quella di Schreck, in un’interpretazione\imitazione tanto accurata da valergli la nomination agli Oscar, un evento tuttora irripetuto nella storia dei film dedicati al vampirismo.

Alcuni studiosi hanno letto nel Conte Orlok, basandosi soprattutto sul suo aspetto di simil roditore, una caricatura della popolazione ebrea, e nella distruzione che esso porta con sé un’eco del sentimento comune di prostrazione e di antisemitismo post Prima Guerra Mondiale che Hitler avrebbe poi sfruttato nella sua scalata al potere. Tuttavia, è stato altresì notato che nel cast è presente in un ruolo principale un attore ebreo (Alexander Granach). Tenendosi più sul generale, potremmo affermare come è già stato fatto da tanti critici che Nosferatu, riecheggiando il romanzo di Stoker, dipinge il vampiro come un generico Altro che invade e impoverisce con la sua diversità la terra in cui si reca.

Altra interessante lettura è quella fornita da Siegfried Kracauer nel suo saggio sul cinema muto tedesco Da Caligari a Hitler: egli vede nel personaggio del Conte Orlok l’ennesima incarnazione del personaggio del tiranno, ricorrente nel cinema espressionista (Kracauer porta come altri esempi il già citato Caligari e il dottor Mabuse dell’omonimo film). Nel caso di Nosferatu, lo studioso nota come la tirannia rappresentata dal vampiro possa essere sconfitta da un atto d’amore incondizionato. 

Ad oggi, il film è entrato nell’immaginario collettivo: il nome “Nosferatu” appare in prodotti come Buffy l’ammazzavampiri o Berserk, ci sono scene del film nel video musicale di Under Pressure, nel mockumentary di Taika Waititi What we do in the shadows il vampiro più anziano del gruppo seguito dal regista ha l’iconico aspetto del primo succhiasangue della storia del cinema… Addirittura il personaggio del Conte Orlok è presente in alcuni episodi di Spongebob!

A giudicare dalla reazione della Piazza, Nosferatu ha certo perso parte del suo terrore, ma non un’unghia del proprio fascino: lo stile di questo film è immortale, così come le sue immagini più celebri. A distanza da due anni dall’inizio della pandemia, inoltre, dimostra di poter essere ancora attuale, con le proprie sequenze dedicate al dilagare della peste, la ricerca di un capro espiatorio e la triste sequenza delle bare portate per strada che, nella mente di alcuni spettatori (nella mia di certo) avrà ricordato la parata di carri armati di Bergamo. 

Un secolo dopo, Nosferatu è più vivo che mai, un vampiro senza il quale non esisterebbe il cinema di vampiri come lo conosciamo oggi.

Questo articolo è stato scritto da:

Silvia Strambi, Redattrice