In fondo chi è lei per darsi tante arie? Non è che un’ombra sullo schermo, un’ombra: non è carne ed ossa lei!

E’ questa battuta rivolta dal personaggio di Debbie Reynolds a quello di Gene Kelly che costituisce il fulcro del capolavoro firmato da quest’ultimo in coppia con Stanley Donen: il Cinema Ritrovato ha riproposto Cantando Sotto la Pioggia in Piazza Maggiore la sera del primo di luglio, e ancora oggi fatichiamo a concepire la portata di un cambiamento tanto radicale come quello del mutamento dall’epoca del muto a quella del sonoro, un passaggio così cardine per la storia del cinema che difficilmente potrà essere replicato.

Indispettita perché derisa da Don Lockwood per via del suo ruolo di attrice teatrale, Kathy Selden controbatte definendolo nient’altro che “un ombra”: a teatro la sua voce poteva essere percepita dal pubblico, al cinema quella di Lockwood no, lui non era un attore in carne e ossa, per lei altro non era che spersonalizzato della sua essenza per via dell’obbligo di sottostare a una mediazione comunicativa (da parte dei sottotitoli o anche degli imbonitori, i maestri di cerimonia che durante il muto si incaricavano di spiegare o commentare alcuni passaggi del film).

E la cosa paradossale è che Kathy Shelden aveva ragione: Don Lockwood non era carne ed ossa, perché come affermava Sebastiano Luciani “il teatro è verbale e statico, il cinema è visivo e dinamico; mentre a teatro le cose più ideali si materializzano, sullo schermo le cose più materiali si spiritualizzano”. Non era errato affermare che Lockwood fosse un ombra, ma quelle hollywoodiane sebbene non tangibili assumevano dei valori iconici sotto duplice aspetto: da una parte c’era il cinema come fenomeno culturale e di massa che permetteva agli attori di venire riconosciuti come persone vere e proprie, dall’altra c’era il lavoro effettuato sugli stessi attori per la la costruzione della loro immagine di star che li rendeva intrinsecamente e indissolubilmente legati all’epoca in cui vivevano, il cui spirito e la cui aura divistica si aggiravano proprio come ombre nella memoria del pubblico.

In questo contesto, la frase pronunciata da Debbie Reynolds rappresenta il nucleo del film perché sintetizza perfettamente cosa costituì il passaggio fra queste due epoche del cinema, quali fratture sociali e intra-produttive comportò, sia tecnicamente che di percezione del ruolo attoriale.

Nel 1927, con Il Cantante di Jazz di Alan Crosland, cambiò davvero tutto: sebbene fosse ancora allo stato primordiale di part-talkie (ovvero muto ma con alcune parti dialogate), il cinema poteva vantarsi di avere una colonna sonora stabile e univoca incisa su un supporto e riprodotta in sincrono con le immagini. Nel 1930 il mondo intero era sbigottito: “Gimme a whisky, ginger ale on the side, and don’t be stingy, baby!” recitava – nella battuta che ha ormai segnato la storia del cinema – Greta Garbo in Anna Christie di Clarence Brown.

Gli attori parlavano, gli spettatori potevano sentire la loro voce, le star comunicavano direttamente con il pubblico. “Garbo talks!” riportavano all’unanimità i rotocalchi del tempo, impazziti dopo aver sentito la voce della “Divinafemme fatale di Hollywood. La recitazione doveva pertanto essere naturale e realistica, gli attori dovevano essere a tutti gli effetti dei professionisti in grado non più soltanto di fare smorfie e movenze accompagnati da un sottofondo musicale, ma dovevano parlare, cantare, ridere e piangere: nonostante per Garbo sia andato tutto sommato bene – a parte qualche problema di dizione presto risolto -, chi non fu in grado di accettare e adattarsi al cambiamento aveva scritta e sancita la fine della propria carriera: è il caso della coppia Mary Pickford e Douglas Fairbanks, lei addirittura prima donna imprenditrice della film industry made in USA che nel 1919 figurava tra i fondatori della United Artists, oltre che tra i 36 fondatori dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, più semplicemente l’Academy degli Oscar. Fairbanks invece era definito il Re di Hollywood e si era affermato come uno dei più popolari e apprezzati interpreti di film d’avventura grazie alle sue strabilianti doti acrobatiche. Istantaneamente l’avvento del sonoro sancì l’involontario passaggio di consegne dell’appellativo di Re di Hollywood a Clark Gable, così come condusse molto rapidamente all’alcolismo di Pickford che si ritirò dalle scene nel 1933, appena un anno prima del marito. Fine anche della loro relazione: nel 1936 arrivò il divorzio schiacciati dal crollo delle rispettive carriere. Fairbanks morì tre anni dopo.

Altro caso: Clara Bow, diva assoluta del muto e di tutti gli anni ruggenti ma dallo spiccato accento di Brooklyn difficilmente eliminabile, per il quale fu costretta al ritiro nel 1933, con conseguenti condizioni mentali sempre più instabili che la rinchiusero nelle case di cura.

Insomma, non fu proprio tutto rose e fiori per le grandi star del tempo, ma le difficoltà si ebbero anche a livello produttivo con la rivoluzione degli impianti acustici che portò alla fine di molti ruoli produttivi e alla nascita di altri: si abbandonò l’incisione su disco per favorire la registrazione su pellicola (cosiddetta registrazione sound on film), che si presentava come una striscia a lettura ottica posta alla destra dei fotogrammi e che pertanto obbligava le sale a dotarsi di importanti altoparlanti. E’ proprio in una delle scene più famose e divertenti di Cantando Sotto la Pioggia che ci viene mostrato come la limitazione alla registrazione dei suoni in presa diretta, implicava il perfetto e totale isolamento acustico del set, con la chiusura delle chiassose macchine da presa in scatole insonorizzate dotate di un foro per l’obiettivo: in tal modo la possibilità di movimento per le inquadrature era estremamente circoscritta e bisognava ricorrere alla tecnica delle cineprese multiple, nonché la registrazione della medesima scena da diversi punti di vista tramite molteplici macchine da presa, cercando in tutti i modi di evitare scricchiolii, vibrazioni e altri inconvenienti acustici: impresa difficilissima per il personaggio di Lina Lamont (Jean Hagen).

Tutto ciò, oggi e per sempre, è racchiuso in un film, immortale e inscalfibile nel suo essere testamento dei fasti che furono e al contempo celebrazione di una nuova epoca, tanto sonora quanto visiva. Un film che è anche altare glorificatore dell’immagine a colori, in un’epoca in cui i più serbavano ancora grandi rimostranze: semplicemente, Cantando Sotto la Pioggia.

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Questo articolo è stato scritto da:

Alberto Faggiotto, Redattore