Durante la giornata di sabato 11 maggio al Bellaria Film Festival abbiamo assistito ad un dibattito sul futuro del cinema italiano, che ha visto l’Amministratore Delegato di RAI Cinema Paolo del Brocco dialogare con la Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà Chiara Sbarigia, con la mediazione del professore dell’Università di Bologna Marco Cucco. 

L’ingresso nel settore dei nuovi talenti – a cura di Gaia Fanelli

Molti sono stati i temi affrontati, con un’attenzione particolare all’ingresso dei giovani talenti nel settore cinematografico in uno scenario, come quello contemporaneo, in costante evoluzione. Come Paolo del Brocco ha spiegato, il ruolo di istituzioni come il Ministero della Cultura (che fornisce un finanziamento di tax credit al 40% per le piccole imprese) è importante ed efficace nel permettere agli aspiranti registi di affacciarsi al mondo del cinema, soprattutto in una realtà dove le piccole produzioni fanno fatica ad ottenere notorietà. È necessario quindi ricorrere a nuovi metodi per favorire la circolazione del prodotto cinematografico (come l’intervento delle istituzioni), primo fra tutti la scelta di una precisa linea editoriale. Può oggi un cinema strettamente autoriale riuscire a conquistare nell’immediato il favore degli spettatori? Un’osservazione attenta ci porta a sollevare alcuni dubbi. Andando a considerare i titoli del 2023 si individuano 61 film che è possibile definire “d’autore”, il cui budget medio è corrisposto a 3.900.967 euro, con degli incassi medi di soli 526.125 euro. Sempre concentrandoci sulle uscite dello scorso anno notiamo come i budget più alti siano stati destinati sempre alla categoria sopracitata. Le spese più ampie si sono infatti verificate con Comandante di Edoardo De Angelis con 14.989.514 euro, La conversione di Marco Bellocchio con 12.650.000 euro e Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, 12.248.110 euro. 

Il pubblico dimostra inoltre di essere cambiato in seguito alla pandemia di COVID-19, sia nei gusti che nelle modalità di fruizione. Del Brocco sottolinea come il futuro sembri promettere bene per racconti avvincenti e storie emozionanti, purtroppo a scapito di piccoli ma preziosi lavori d’autore. Dal punto di vista del mercato e delle dinamiche produttive, è difficile che opere prime e seconde trovino ancora riscontro in sala se percepite come inaccessibili. 

L’evoluzione delle finestre distributive 

Il diverso comportamento del pubblico forse è da attribuire anche al discorso delle finestre distributive, ossia dell’arco temporale in cui un film può essere visto in un determinato contesto come al cinema, su dvd o su piattaforma. 

Il sistema delle finestre si è evoluto col tempo: se precedentemente un film doveva essere presente in sala per circa un anno prima di essere disponibile in home video, oggi la finestra distribuiva (per i film italiani) è per legge di 105 giorni, poco più di tre mesi. L’idea di poter avere accesso da casa ad un contenuto dopo così poco tempo dalla sua uscita talvolta ne disincentiva la visione tempestiva, e ciò spiega parzialmente la perdita di pubblico nei cinema dei nuovi film d’autore. È necessaria oggi una maggiore attrattiva, in grado di far leva sull’interesse generale e che spinga gli spettatori a recarsi in sala. 

La sovrapproduzione di contenuti

Come Chiara Sbarigia sottolinea, gli elementi dell’industria cinematografica che si sono evoluti in seguito alla pandemia sono molteplici. Un altro aspetto su cui riflettere è la sovrapproduzione a cui si è giunti, dovuta a dinamiche nate nel periodo tra il 2020 e il 2021. La determinazione che i produttori avevano avuto nell’interrompere le lavorazioni il meno possibile si è poi tradotta in una forza produttiva che, al termine delle misure restrittive, si è manifestata al meglio portando ad una creazione di contenuti con una qualità inversamente proporzionale alla loro quantità. Ciò che il mercato ora impone è proprio di produrre meno film, e cercare di tornare ai livelli pre-pandemia. 

Il contributo delle regioni

Un altro importante tema affrontato è quello del contributo delle regioni a fronte di un quadro contemporaneo come quello appena descritto. È da diversi anni che gli organi delle film commissions e film funds si configurano come un grande sostegno nei confronti dell’industria. Le prospettive sul futuro da questo punto di vista sembrano positive, i fondi forniti infatti sono aumentati molto nell’ultimo periodo. Un aspetto da non tralasciare è inoltre l’impatto del fascino dei paesaggi locali delle rappresentazioni cinematografiche, che soprattutto all’estero ha interessanti ricadute. 

Come si presenta il futuro del cinema italiano? 

Le previsioni per quello che sarà il futuro del cinema italiano dunque non sono necessariamente negative. Si pensa ad uno scenario dinamico, in costante cambiamento, in cui le istituzioni contribuiscono attivamente allo sviluppo del settore, e quest’ultimo mira a creare contenuti che entrino in dialogo col pubblico e ne mantengano vivo l’interesse. Il cinema è infatti da sempre sia arte che industria, e molto più degli altri ambiti creativi è legato alla ricezione da parte degli spettatori. Non sorprende quindi che il consiglio di Paolo del Brocco per i nuovi talenti sia di non rinchiudersi nella propria torre d’avorio ma essere consapevoli degli interlocutori a cui si rivolgono, trovando il giusto compromesso tra il proprio spirito creativo e i mezzi che si hanno a disposizione per veicolarlo a un pubblico più ampio possibile.

L’animazione e il cinema di genere nel panorama attuale – a cura di Nicolò Cretaro

Abbiamo infine approfittato della disponibilità degli ospiti per porre una domanda relativa ai grandi assenti del cinema italiano: l’animazione e il cinema di genere. 

A proposito della mancanza di una vera e propria industria dell’animazione in Italia Chiara Sbarigia ha evidenziato l’aspetto più ovvio e lineare: i maggiori costi di produzione rispetto al live action. Vi è purtroppo una grande carenza a livello storico di investimenti nel settore, contrariamente a quanto fatto in Francia dove da anni si è riusciti a sfruttare proprietà intellettuali redditizie secondo diverse modalità come con Asterix.

Per quanto riguarda l’assenza di cinema di genere Del Brocco ha sottolineato l’impossibilità di competere con la potenza culturale (e di budget) di Hollywood. Un film d’azione o con elementi fantastici realizzato in Italia e desideroso di farsi spazio nel medio-grande pubblico non gode della fiducia degli italiani, abituati a fruire questo tipo di film comodamente seduti sul divano. In effetti gran parte delle produzioni di genere degli ultimi anni, più o meno riuscite ma quasi mai di successo sono arrivate direttamente su Netflix. Sulla piattaforma troviamo infatti sia opere seriali come Suburra, Curon, Luna Nera che cinematografiche come Il mio nome è vendetta. C’è da dire però che alcuni registi con diverse velleità pop sono riusciti a portare al cinema – con successo non indifferente – mondi e dinamiche ben distanti dalla realtà, pensiamo a Garrone con il fantasy o a Minetti con i supereroi. Siamo proprio sicuri che non sia una strada percorribile?